L’amore erotico è una forma di follia? Seppure per ragioni differenti Freud e Jung hanno considerato l’innamoramento come una forma di psicosi. La ‘psicologia popolare’ dice che quando ci si innamora non si capisce più niente, si perde la testa. Poi osserviamo quanto siano persistenti quelle forme di innamoramento non corrisposto, o di persone problematiche ‘da far impazzire’, con la conseguenza di lancinanti sofferenze psicologiche… ma non se ne esce, nonostante ogni sforza di volontà e a volte neppure annullandosi con psicofarmaci, alchol, droghe. Una follia così grave che a volte porta persino alla fantasia di annientare se stessi pur di allontanarsi da pene d’amore diventate tormentose, ma impregnanti la psiche in un modo che sembra indelebile. Canti e poesie esprimono lo starzio dell’anima incatenata nella follia dell’amore. Oppure l’idilliaca emozione degli innamorati che dopo aver portato sulle vette paradisiache dell’eterna felicità, un po’ alla volta discende verso le più quiete valli della quotidianità… così che se tutto va bene ci si ama e ci si sopporta, accettando pure qualche momento di follia, ma non è più la follia maniacale dell’innamoramento idilliaco. Dunque il ‘morir d’amore’ è una follia che si capovolge dal bene al male, che si insinua nell’anima con le forze del destino e che se ne va a prescindere da ogni volontà, e a volte si trasforma in odio. Insomma quando psiche è presa da Eros, non si trova in una condizione ‘normale’, tanto che le metafore, le leggende e pure le scienze, considerano l’innamoramento una forma di follia, la quale dovrebbe essere frequentata solo attraverso importanti istruzioni per l’uso. Ma come si fa ad innamorarsi saggiamente? Non è in fondo proprio il sentirsi preda dell’amore, piuttosto che della ragione, che conduce a quella trascendente emozione di essere fuori di sé, tutt’unjo con l’amato7a? Allora se l’amore erotico è una forma di follia così come diagnosticarla e come curarla? Oppure che tra tutte le forme di follia è incurabile dato che tutti ne vogliono cadere malati, e se sono già caduti non si vogliono curare. Scrive Umberto Eco in Il nome della rosa:
Mi commossi così sulle pagine di Ibn Hazm, che definisce l’amore come una malattia ribelle, che ha la sua cura in se stessa, in cui chi è malato non vuole guarirne e chi né è infermo non desidera riaversi (e Dio sa se non fosse vero!). – Adso da Melk in Il nome della rosa di Umberto Eco.
L’amante che soffre per amorenon vuole guarire, ha persino paura di guarire, invece spera che l’amato si possa curare, e che quella cura corrisponda alla possibilità di continuare ad amarlo e di essere ricambiati in una relazione di reciproca felicità. Ma se di questa follia si ha bisogno, tanto che la si cerca e non la si vuole abbandonare dobbiamo chiederci se possa in qualche modo giovare alla psiche. Va poi osservato che ci sono persone che, dopo essere uscite da forme di follia amorosa veramente dolorose, ritengono di averne avuto già abbastanza e che non ne vogliono più. La follia che hanno vissuto ha in qualche modo indurito la loro possibilità di cercare Eros o di esserne cercati. Le frecce di eros si spezzano su una specie di corazza psichica, per cui non possono nè entrare, né uscire. Quindi si tratta di una forma di immunità rispetto a uno stato dell’anima e dei sentimenti indotto da Eros che è considerato così folle da tenere lontano, o da rinchiudere in una specia di ospedale psichiatrico immaginale, affinché non possa fare altri danni.
L’interpretazione del mito platonico dell’amore scivola spesso nella dicotomia tra anima e corpo, così che vi sarebbe un ‘amore platonico’ inteso come passione puramente spirituale e un ‘amore erotico’ inteso come attaccamento ai ‘piaceri della carne’. Il grande studioso della filosofia greca E.R. Dodds così chiarisce questa interpretazione piuttosto superficiale dell’Eros secondo Platone:
(E.R. Dodds, (1951) I greci e l’irrazionale, Firenze, La nuova Italia, 1998, 3^ed. p. 265).
La ‘follia erotica’ di Platone è dunque una esperienza di anima e di corpo, e il suo telos è sia terreno e sia spirituale. In Platone si evince anche il concetto freudiano di sublimazione, cioè di una carica erotica che non investe solo ‘oggetti sessuali’, ma che si protende nella operosità, nelle arti, nella società, in tutte le azioni che l’essere umano può condurre con piacere e con amore. Quindi, le altre forme di ‘follia divina’ che sono esposte nei capitoli successivi hanno bisogno della ‘follia erotica’.