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Mondo infero e carne psichica

Tratto da Carnevale e Psiche (autore Pier Pietro Brunelli – Moretti & Vitali)

L’intensità della relazione tra ‘Carnevale e Psiche’ è alquanto evidenziata dal seguente passo di Hillman:

” La parola “carnevale” deriva dal latino carnem levare, cioè ‘eliminare la carne’, e si riferisce a un momento di psichicizzazione che elimina l’atteggiamento naturalistico ed è perciò vissuto come una morte. Alle figure di Carnevale che pretendono questa eliminazione oppongono resistenza le emozioni corporee dell’Io onirico, le quali temono per la propria ‘vita’ e, in preda al panico, si difendono contro questa stranezza interpretando il ‘carnevale’ riduttivamente, come un momento di esuberanza della carne”  (Hillman, 1979: 220-221).

Dunque, la carne di Carnevale è una ‘carne psichica’, la corporeità è esaltata come reazione ad una irruzione del mondo psichico nella quotidianità dell’esperienza vitale. La valenza psichica del Carnevale cinge in un inebriante abbraccio l’area istintuale insieme a quella delle funzioni coscienziali superiori. Si tratta di un abbraccio che trascina verso il mondo infero, l’antico mondo dei morti di Ade/Dioniso ove solo psiche vive, al di là dei corpi. Il mondo alla rovescia di Carnevale volge contram naturae, patologizza e capovolge ogni ordine per far emergere  il mondo infero e con esso la morte; ma, come vedremo, si tratta di una morte rigeneratrice perché consente di rivitalizzare la psichicità alleggerendola dai pesanti condizionamenti della  materia terrena, che ancorano la vita ad una regolazione causale e finalistica, eppure fallace.

Bachtin considera che le simbologie carnevalesche invitano a considerare la potenza rigenerativa del ‘basso’, il mondo della materia, rispetto all’alto, il mondo dello spirito, eppure ci porge immagini e riflessioni che evocano una dimensione mediana tra spirito e materia che è quella di psiche, non considera cioè che la vitalità del bios è intrinsecamente connessa ad una dimensione psichica.

Pertanto riportiamo il seguente passo di Bachtin perché contiene i simboli essenziali dell’‘energetica carnevalesca’, che è nostra intenzione leggere in termini archetipici e psicoculturali. Scrive Bachtin:

“L’alto è il cielo; il basso è la terra; la terra è il principio dell’assorbimento (la tomba, il ventre) ed è nello stesso tempo quello della nascita e della resurrezione (il seno materno). E’ questo il valore topografico dell’alto e del basso nel loro aspetto cosmico. Sotto l’aspetto propriamente corporeo, che non è mai del tutto separato con precisione dall’aspetto cosmico, l’alto è il volto (la testa), il basso gli organi genitali, il ventre e il deretano. E’ con questi significati assolutamente topografici che ha a che fare il realismo grottesco, ivi compresa la parodia medievale. L’abbassamento consiste, in questo caso, nell’avvicinamento alla terra, come principio che assorbe e nello stesso tempo dà la vita; abbassando si seppellisce e nello stesso tempo si semina, si muore per nascere in seguito meglio e di più. L’abbassamento significa anche iniziazione alla vita della parte inferiore del corpo, quella del ventre e degli organi genitali e, di conseguenza, di iniziazione ad atti come l’accoppiamento, il concepimento, la gravidanza, il parto, il mangiare voracemente e il soddisfare le necessità corporali. L’abbassamento scava una tomba corporea per una nuova nascita” (Bachtin, 1965:26).

La “tomba corporea”, il “basso”, gli istinti e la pulsionalità di cui parla Bachtin hanno con tutta evidenza una loro dimensione psichica e, anzi, in un certo senso si tratta di immagini e di esperienze vitali che più di tutte sono connaturate con l’inconscio e quindi con il mondo sotterraneo dell’Anima/Psiche.

A Carnevale il mondo sotterraneo dei morti esprime una sua follia festosa in quanto emersione dell’infero nel mondo dei vivi. Jung considerava l’infero come una metafora dell’oscurità dell’inconscio. Le strane creature mascherate del Carnevale sono osservabili come rappresentazioni di contenuti che emergono dall’inconscio. In molti rituali, miti e credenze il ‘capovolgimento’ è la modalità che fa emergere il mondo infero nel mondo supero.

Va anche osservato che il mondo infero risulta ‘normalmente’ capovolto in modo speculare rispetto al mondo supero. A Carnevale quindi tutto viene capovolto, giacché esso è la festa del mondo infero che viene in superficie.

Hillman evidenzia il senso archetipico del ‘capovolgimento’ e fa osservare come  la teologia egizia avesse attentamente esaminato la condizione capovolta del mondo infero. Scrive Hillman:

Gli egizi avevano descritto con minuzia estrema questo mondo rovesciato che sta sotto i nostri piedi. I morti camminavano capovolti, testa in giù e piedi in su: “Le persone là camminavano con i piedi sul soffitto. Questo comporta la spiacevole conseguenza che, poiché la digestione procede in direzione opposta, gli escrementi arrivavano alla bocca” [J. Zandee]. Il mondo infero è l’inverso rispetto al mondo diurno, e dunque il comportamento sarà invertito, pervertito. Ciò che dalla prospettiva del giorno è solo escrementi (i residui diurni di Freud) diventa cibo per l’anima quando è capovolto (Hillman, 1979: 55).

Il ‘levarsi’ della carne

La ritualità carnevalesca allude alla ‘liberazione dalla carne’ attraverso il suo ‘consumo vistoso’. Ciò consentirebbe, all’Anima (Psiche) – simbolicamente liberata dalla corporeità – di celebrare festosamente il mondo infero. Molti sono gli esempi di rituali che prevedono una cerimonia festosa in seguito alle esequie funerarie, le quali hanno anche il compito di provvedere a diversi procedimenti di ‘liberazione dalla carne’, affinché l’anima possa effettivamente distaccarsi (vedi Hertz, 1907). In tutte le culture d’origine, la relazione tra anima e corpo costituisce questione fondamentale – pragmatica e metafisica – di ogni ontologia e di ogni teologia.

Il Carnevale, seppure in modo festoso e popolare, è considerabile come una sorta di filosofica risposta esperienziale collettiva al dilemma della scissione tra anima e corpo. D’altra parte è pure innegabile che la carnalità carnevalesca sia fortemente enfatizzata in tutta la sua terrena immanenza. In tal senso il simbolico viene incarnato, assume una sua corporeità nel bios. Da questo punto di vista il Carnevale implica una concezione simbolica parallela a quella cristiana in quanto il corpus del simbolico (il verbo che si fa carne) assume un’importanza fondamentale. Questo corpus carnevalesco viene deconcretizzato ed  elevato ad una dimensione extracorporea, che potremmo indicare come ‘dimensione infera’, e nel senso di Hillman come ‘anima’. Sebbene la festa carnevalesca appaia come un giubilare trasgressivo, all’insegna dei piaceri della carne, essa presuppone un notevole ‘psichismo’, sotteso dal confronto tra vita-Eros e morte-Thanatos.

La ‘carnalità dell’anima’ carnevalesca è stata considerata dallo psicoanalista svizzero Daniele Ribola (nel corso dei suoi insegnamenti presso la Scuola Li.sta di Milano) nei termini di un’ulteriore possibile interpretazione di Carne Levarem in quanto: levarsi della carne, cioè ‘elevarsi del corpo verso una dimensione d’anima’ – in tal senso non si tratta di ‘levare la carne per eliminarla’, ma di farla levitare verso l’alto. Tale ‘elevazione’ può essere intesa come l’effetto dell’anima che irrompendo dal mondo infero solleva la carne, conferendole ‘spirito vitale’. Questa incarnazione di psiche, contestuale ad una psichicizzazione della carne può indicare una correlazione con il mito della dea Carna (come suggerisce Walter, 1992), protettrice degli organi interni e capace di tenere lontani gli incubi (altre considerazioni su Carna e sul significato etimologico del Carnevale sono proposte in II.2 e in II. 5).

Quindi Carnevale recupera quella componente materiale e corporea che, come ha spiegato Jung manca nella Sacra Trinità, a causa di una concezione dello spirito unilateralmente protesa verso un monoteismo maschile (vedi Jung, 1942/1948). Secondo Jung il concetto di Unus Mundo, cioè di unità tra materia e spirito implica una dimensione di quaternità nel quale lo Spirito è un complexio oppositorum che comporta un congiungimento alla materia. Il cristianesimo avrebbe invece espunto la materia relegandola in una sorta di corporeità femminile e diabolica (cfr. Franz, von 1988). In tal senso Carnevale rappresenta una sorta di recupero psicoculturale della corporeità e della femminilità, il che non deve essere considerato nei termini di un semplicistico materialismo concretista.

[1] L”Ombra” è un archetipo scoperto da Jung, che incontreremo più volte nel corso del presente saggio (vedi in particolare I.5).

[2] Bachtin investiga il senso della cultura e del riso carnevalesco, ponendo al centro della sua attenzione l’opera di Rabelais: letterato per antonomasia del ‘Carnevale’. Dice Bachtin: “Tutte le forme carnevalesche sono decisamente esterne alla chiesa e alla religione. Appartengono a una sfera del tutto particolare della vita quotidiana. Per il loro carattere immediato, tangibilmente concreto, e per il potente elemento di gioco, esse sono vicine piuttosto alle forme artistico-figurtive, soprattutto quelle degli spettacoli teatrali. Ed effettivamente le forme degli spettacoli teatrali del Medioevo gravitano in prevalenza intorno alla cultura carnevalesca della pubblica piazza e in un certo qual modo ne fanno arte. Comunque il fondamentale nucleo carnevalesco di questa cultura non è la forma puramente artistica dello spettacolo teatrale, e in genere non entra nel campo dell’arte. Si colloca piuttosto ai confini tra l’arte e la vita stessa, presentata sotto la veste speciale del gioco. Il carnevale infatti non conosce distinzioni tra attori e spettatori. Non conosce il palcoscenico neppure nella sua forma embrionale. Il palcoscenico distruggerebbe il carnevale (e viceversa la soppressione del palcoscenico distruggerebbe lo spettacolo teatrale). Al carnevale non si assiste, ma lo si vive, e lo si vive tutti poiché esso, per definizione è fatto dall’insieme del popolo. Durante il carnevale non esiste altra vita che quella carnevalesca.  E’ impossibile sfuggirvi, il carnevale non ha alcun confine spaziale “ (1965:9-10).

[3] Solo per citare un esempio si pensi al Kumbha Mela, la più grande festa Hindu , ove milioni di persone celebrano il caos e la relatività del bene e del male, della luce e delle tenebre (vedi Cimino, 2000). Maschere, costumi, colori  di diverse feste shivaitiche dell’India  esprimono aspetti archetipici che troviamo riflessi anche nel ‘nostro’ Carnevale. Ma in tutte le culture d’origine troviamo ‘riti di passaggio’ di carattere festoso aventi radici archetipiche che si intrecciano e si congiungono come quelle del Carnevale.

[4] Il Carnevale celebra  un corpo vivente (leib), pieno di emozioni ed effervescenze d’anima, e non un corpo ‘cartesiano’, meccanico, anatomico (körper). Qui il riferimento va ad E. Husserl, “[…] io trovo il mio corpo nella sua peculiarità unica, cioè come l’unico a non essere mero corpo fisico (körper), ma proprio corpo vivente (leib)” (Husserl, 1931). Si veda anche Umberto Galimberti, 1983. La vita del ‘corpo vivente’, più che mai a Carnevale, non può essere considerata solo come una qualità della materia, perché il Carnevale è proprio la festa della materia animata da ‘una forza vivente materiale e spirituale ad un tempo’. In tal senso consideriamo che la vita del corpo carnevalesco è una chiara affermazione della natura cosmo-bio-psichica dell’essere umano.

 

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