La Gioconda sta per scoppiare a ridere!
Ricercatori, critici, storici e letterati da circa cinque secoli si interrogano sul minimalistico e arcano sorriso che si legge sulle labbra di Monna Lisa. Cosa voleva esprimere Leonardo attraverso quell’ineffabile sorriso, che è poi il segno caratteristico di quello che sarebbe diventato il ritratto più celebre di tutti i tempi? Tante sono le ipotesi e le congetture. In campo psicologico vi sono quelle ‘para-freudiane’ che individuano un perturbante aspetto del materno, oppure quelle ‘para-cognitiviste’ che considerano come il senso di quel sorriso venga attribuito dallo stato d’animo dell’osservatore. Io qui propongo una riflessione alla quale sono giunto attraverso un mio libro “Carna e il Carnevale delle donne”, dal sottotitolo Psicomitologie del riso e del sapere femminile. (Lithos, Roma). Ecco qui di seguito un estratto dove si offre una nuova ipotesi sul misterioso sorriso di Monna Lisa:
Accade di ridere ‘dentro se stessi’ senza che nessuno se ne accorga. Talvolta ciò viene espresso solo con un fugace incurvarsi delle labbra. E’ il lieve segno somatico di un pensiero, un ricordo, un’immagine buffa che affiora nella mente. Talvolta si ride interiormente quando si sta per fare o si pensa di fare uno scherzo a qualcuno, oppure quando si sta per assistere allo scherzo che qualcuno sta preparando alle spalle di qualcun altro. Affinché lo scherzo riesca non si può certo lasciar trapelare ilarità. Per poter ridere di gusto si deve attendere che l’altro ci caschi, perciò ci si trattiene dal ridere, temendo tuttavia di scoppiare… Prima che ciò accada forse non si riuscirà ad evitare il trasparire di una leggera beffarda smorfia sulle labbra, un astuto scintillio ridente negli occhi, il tutto celato con un’aria saputa e taciturna che è però pregna di una risata potenziale che deve restare ‘secretata’… Questa è la condizione in cui potrebbe trovarsi La Gioconda, (Iucunda, gioiosa) dal misterioso contenutissimo sorriso… Forse il suo mistero consiste nel fatto che da lì a poco potrebbe scoppiare a ridere; e se così fosse perché? che cosa sa? La Gioconda potrebbe essere stata immortalata in quell’attimo che precede un’irrefrenabile risata, come quella che deve trattenere chi sa che sta per attuarsi uno scherzo che provocherà sgomento, sorpresa, sovvertimento… Va osservato che da Duchamp in poi (diciamo fino a Banksy) – la Gioconda è stata ‘ridipinta’ in una vasto repertorio di modi scherzosi e spesso oltraggiosi. Ma l’allusione leonardesca (che noi ipotizziamo) verso un qualche ‘scherzo’ deve riguardare qualcosa di non banale, qualcosa che Leonardo vede relativamente alla condizione di ingenuità, illusorietà, infantilismo che ridicolizza il vissuto umano. La femme fatale di Leonardo sembra essere in procinto di ridere in faccia ai suoi spettatori, come se ne cogliesse i limiti, le ombre, le immaturità, i paradossi. Ride dentro di sé dell’inconsapevolezza di chi la guarda. E’ un sorriso interiore tragico e pessimistico in quanto ha consapevolezza che in ogni momento può accadere uno scherzo destabilizzante di ogni nostro piano, di ogni ragionamento, credenza o certezza. In ultimo la Gioconda è spietatamente consapevole dello scherzo cruciale che la morte gioca alla vita. Ella ha coscienza sapienziale della tragicommedia dell’umano, con i suoi goffi progetti salvifici, le sue ansie pindariche, le sue fallaci manie di grandezza e i suoi melodrammatici deliri depressivi su base narcisistica.
A Carnevale lo scherzo della vita e della morte viene celebrato come una beffa, della quale è bene essere umanamente consapevoli, al fine di vivere con maggior entusiasmo e benessere […]. La Gioconda sa che la vita è trasformazione e che si è di passaggio, e quindi non bisogna prendersi troppo sul serio. In effetti rasentiamo o oltrepassiamo il ridicolo quando ci identifichiamo totalmente nelle nostre maschere passeggere in quanto Persone (ricordiamo che dall’etrusco e poi dal latino Persona significa Maschera). Alla Gioconda scappa da ridere dinnanzi a maschere narcisiste, tronfie e sgargianti, incapaci di comprendere che vivere non vuol dire stare al centro del mondo e sentirsi esseri superiori e neppure vittime predestinate. Questa donna suadente ci guarda con una beffarda compassione; è come se pensasse di noi ammiratori: “Ah poverini! Quanto siete scemi!” – in parte sfuggono solo coloro che hanno una certa capacità di ‘autocanzonatura’… Ella sa che prima o poi il destino busserà e recherà un qualche brutto scherzo che farà crollare i castelli in aria e i fantasmi ai quali si è creduto tanto, come fossero stati eterni, immortali e assoluti. Ella ride di chi non accetta e non conosce l’impermanenza e la relatività, e vive come se l’Io fosse un Dio invincibile, o che vuole diventarlo, o che si lamenta di non riuscirci.
Lo scherzo cruciale allora si rivela quando crolla la maschera inautentica e con essa il velo di Maya che avvolge la nostre miserie come le nostre grandezze. La Gioconda sorride sapendo che prima o poi giungerà uno scherzo che metterà sotto sopra ogni esistenza mancata, cioè che sovvertirà quel narcisismo con il quale chi più e chi meno si traveste. E’ uno scherzo scioccante che la Gioconda conosce e che tiene celato affinché si manifesti come sorpresa rivelatrice e forza destrutturante delle false sicurezze e delle mascherature che si assumono quando ci si identifica entro una dimensione vitale troppo limitata, entro una soggettività incapace di tenere conto della totalità, nelle sue ambivalenze e nel suo divenire.
Dietro la maschera, con i suoi orrori e la sua follia, ciascuno può provare a riconoscere un ineffabile sorriso di consapevolezza, ciascuno può essere jocundo come la Gioconda, recante il suo enigmatico mistero sorridente trattenuto sulle labbra. E’ un sorriso tragico perché evoca il vano tentativo di contenere e rinviare all’infinito il destino mortale che spetta a ciascuno. A differenza della rassicurazione mistica, salvifica e religiosa, o della vanogloriosa difesa narcisistica che esalta la propria eroica prepotenza eternizzante – la propria decadente grandeur – vi è una reazione apotropaica carnevalesca che risponde allo scherzo della morte con uno scrosciante riso di umanità. E’ un riso sardonico e tuttavia profondo, liberato ed interiore, che a Carnevale emerge manifesto e collettivo in una stramba collisione ‘orrido-comica’ tra il bene e il male, tra la vita e la morte. Dentro la consapevolezza profonda, quella che non si lascia catturare né dalla maniacalità, né dalla depressione, c’è una parte del Sé che carnevalescamente ‘gioca alla Gioconda’. E’ l’immagine di una Sophia che sorride dietro alle nostre fragili maschere ‘pre-mortuarie’, e che perciò accompagna benevolmente l’anima a vivere le sue inevitabili avventure e peregrinazioni nell’Ombra che precede l’al di là. La Gioconda non parla, ma svela con ironia trattenuta e celata, i limiti e le hybris dell’Io che dinnanzi all’ineluttabilità della morte arranca allertando tutte le soluzioni possibili, da quelle più sprezzanti, nichilistiche e mondane, a quelle più soprannaturali e spiritualmente suggestive.
Ella però non intende umiliarci lasciandosi andare a ridere e a deriderci, laddove siamo presi o invasati dalle nostre maschere e dalle nostre convinzioni, che siano troppo puer o troppo senex, troppo materialistiche o troppo fideistiche e spirituali, troppo irrigidite da moralismi (permissivi o coercitivi che siano) e da giudizi apodittici quanto unilaterali. Del resto quando, in un modo o in un altro, ci prendiamo troppo sul serio – nella vita di tutti i giorni come nei massimi sistemi – la vita inizia a prenderci in giro e capita che ci prepari qualche scherzo terapeutico, inteso come un risveglio, una sfida, una ‘secchiata d’acqua gelida’ che ci costringe ad un ‘bagno di umiltà’ e poi forse a cambiare direzione. Monna Lisa tutto questo lo sa e sorride, non può e non vuole dire o fare qualcosa per ‘salvarci’, per renderci consapevoli, preferisce che ci arriviamo da soli. Ci guarda e trattiene il sorriso che noi le provochiamo con il nostro narcisistico penare intorno a drammi e a commedie che per quanto siano grandi e importanti rivelano i limiti e la pochezza egoica dell’Io narcisisticizzato. In effetti, oltre ad essere narcisisti, siamo ridicoli e tragicomici quando siamo troppo egocentrati, come se fossimo al centro di un mondo che, in fondo, non ha nessuna importanza se non quella che importa a noi. Monna Lisa, seppure con indulgenza, osserva le nostre ‘manfrine esistenziali’ e dentro di sé pensa a quanto siamo buffi per tutto ciò che ci crediamo di essere o di non essere, e si trattiene per non scoppiare a riderci in faccia, sapendo che prima o poi un qualche ‘scherzo del destino’ ci costringerà a uscire da quella scena che ingombravamo nel bene e nel male come una ‘prima donna’… un posto che può spettare solo a lei con il suo enigmatico e trattenuto sorriso.