La Psicoterapia immaginale – riferita agli insegnamenti post-junghiani di James Hillman (vedi nota in fondo all’articolo) – non è non deve diventare una sorta di insegnamento spirituale, per quanto il mondo immaginale possa essere stimolato e attraversato da ‘ispirazioni spirituali’ che emergono dal dialogo terapeutico. Va però tenuto sempre ben presente che i vissuti amorosi sono sempre intensamente correlati ad aspetti mistici e spirituali. Eros è un dio. Si tratta quindi di ‘terapizzare’ una spiritualità erotica ferita. Ciò non implica necessariamente una fede religiosa o una specifica devozione teologica, ma comporta un’apertura verso la trascendenza, l’infinitezza dell’anima che esperisce la fenomenicità misterica e poetica della vita amorosa. Anche una ‘fede’ perfettamente atea, se così si può dire, è pregna di spiritualità laddove viene impiegata come fonte di ispirazione per viaggiare nel mondo immaginale dell’anima, nella missione di patologizzare e di risanare, e quindi di dare un senso e un telos trasformativo e terapeutico alla sofferenza amorosa. D’altra parte le pene d’amore sono incommensurabili, irriducibili e indefinibili, la ratio più fine non basta per comprenderle, e comunque ciò non convince il mondo immaginale. Seppure bisogna ‘farsene una ragione’, essa deve sapersi coniugare ad una visione immaginale e simbolica, secondo la ragione ispirata e misterica dei poeti, dei mistici, e appunto, degli innamorati. Una psicoterapia immaginale del trauma amoroso deve ispirare l’anima sofferente con immaginazioni e poetiche di guarigione, eroticamente spirituali. In tal senso le pene d’amore si risolvono solo ascendendo ad Olimpo e ad Afrodite, quale rinascente pulsione di vita nell’universo.
Erlebnis: l’autentica esperienza soggettiva.
Un pathos amoroso, per quanto possa essere classificato con un’etichetta psichiatrica o psicopatologica, è anche un pathos spirituale… Il suo senso autentico, unico e irripetibile nel suo mistico e indefinibile vissuto animico – la erlebnis, come si dice nella fenomenologia: la conoscenza riferita all’esperienza interiore e relazionale effettivamente vissuta sulla propria pelle e nella propria anima. Il paziente ‘traumatizzato in amore’ esprime il suo malessere sia attraverso un meticoloso reportage di fatti e di circostanze e sia attraverso metafore espressive ed elaborative della sua sensazione di essere posseduto, e di essere precipitato in un’invisibile trappola infernale. Pare che il desiderio del paziente sia quello di trovare nella psicoterapia non tanto un processo di rielaborazione coscienziale (seppure può richiederlo), quanto una sorta di esorcismo e di stregoneria capace di strapparlo a forze maligne che egli proietta ed introietta rispetto alla figura del partner, visto come un angelo che ha gettato la maschera e si è rivelato essere un demone, ovvero un vampiro. Il dialogo tra paziente e terapeuta non può prescindere dalla comprensione condivisa di questo stato d’animo, emotivo e immaginale, sconvolto e attraversato da visionarietà trascendenti, dense di significazioni e interpretazioni intorno al bene e al male, alla vita e alla morte, al diabolico e all’angelico. Un lancinante desiderio sessuale, un bisogno irrefrenabile del corpo e della psiche dell’altro, una possessione degli istinti e delle perversioni, molto spesso gettano l’anima in una fanghiglia inconfessabile, e non si capisce più dove finisca il male e inizi il bene, dove sia amore e dove sia lussuria… è un inferno di dolore e di piacere che strazia l’anima in una pena che pare eterna. Non si tratta di un film dalle tinte fantasy e surreali, ma di una condizione psichicamente e corporalmente reale, invasata da spiriti maligni ed anche salvifici, in quanto immagini che attivano le sensazioni e i sentimenti patemici di Eros ferito, abbandonato, morente…
Lo psicoterapeuta immaginale
Lo psicoterapeuta immaginale dell’anima vampirizzata – di chi subisce un dissanguamento libidico/spirituale – deve necessariamente fare un grande lavoro su se stesso, un training poetico-immaginale che gli consenta di mantenere sempre vivo il suo mondo immaginale, con ‘antivirus’ sempre aggiornati affinché non si infetti e si indebolisca, a svantaggio sia di se stesso e sia della sua pratica terapeutica. Egli deve dunque sviluppare una relazione con se stesso e con il mondo allenata ad una particolare sensibilità, che è ad un tempo immanente e trascendente, quindi spirituale e corporea, organica e simbolica, immaginativa, poetica e realistica. Solo grazie a questo allenamento fatto di costanti letture, di osservazione della natura, di pratiche artistiche e psicocorporee, di profonda autoanalisi di se stesso, di supervisione e confronto con altri colleghi e persone di saggezza, egli può riuscire a ‘metterci l’anima’ e quindi a ‘farsi farmaco’. In un certo senso deve potersi sacrificare, quasi che fosse un po’ un prete diabolico e un po’ una buona prostituta, un purificato-perverso, un Arlecchino mercuriale, un vecchio-bambino, capace di essere e dare ascolto e comprensione con complicità, fantasia, compassione e affetto. E per fare ciò deve cercare di far risuonare le corde più alte e melodiose dell’anima, le sue come quelle del paziente, ma deve anche accettare di abbassarsi a pulire le latrine dell’anima, le sue come quelle del paziente. Si tratta di un lavoro logorante sul piano psichico, che comporta grandi soddisfazioni, ma anche frustrazione e cadute energetiche. Bisogna sapere che la psicoterapia immaginale, poiché comporta un alto grado di coinvolgimento del mondo interiore dello psicoterapeuta, il quale, nella misura in cui non si ‘purifica’ e si ‘tonifica’, ha anche maggiori rischi di burnout: perdita di energia, svuotamento di senso, stati depressivi ed ansiosi, autoisolamento, introversione da esaurimento. Lo psicoterapeuta immaginale deve quindi avere la capacità di non sopravvalutare le sue energie, di riposarsi, attuare pratiche di rilassamento e di tonicità psicofisica, e deve quindi imparare ad amarsi e a volersi bene, anche riuscendo, per come è possibile a gratificarsi. Anche questo modo di imparare a gestire se stesso, al fine di far fronte ad una continua sollecitazione da parte delle sofferenze e delle negatività dei pazienti e dei loro vissuti, è un’esperienza che va trasmessa nella terapia, quale immaginazione e fiducia nella possibilità di rinascere e di affrontare le difficoltà con il maggior equilibrio possibile.
Anima e Spirito
Ma di cosa parliamo quando parliamo dello Spirito? E dell’Anima? Ovviamente si tratta di argomenti infiniti. Noi possiamo sfiorarli per quanto attiene al loro senso psicologico, tuttavia per precisare ulteriormente di che senso psicologico si tratta dobbiamo fornire almeno qualche chiarimento. Innanzitutto va ricordato il pensiero di Jung, quando afferma in diversi scritti che la psicologia non pretende di dimostrare una qualche verità metafisica o religiosa, ma che è suo compito di esplorare come la spiritualità si manifesti nella fenomenologia della psiche. Non si tratta di ateismo o di credenza, si tratta di rendersi conto che nella psiche e nei suoi prodotti, fantasie, sogni, sintomi, sentimenti, idee ed emozioni si presentano aspetti archetipici che sono sovrapersonali e che afferiscono all’inconscio collettivo e al concetto di Spirito. Ciò è particolarmente esperibile nella gioia e nel dolore dell’esperienza amorosa, che fa percepire un coinvolgimento spirituale e non solo dei sensi e dell’intelletto. In un celebre saggio del più volte citato James Hillman – il maestro della ‘psicologia archetipica’ discepolo e continuatore di Jung – intitolato “Picchi e valli”, vi sono importanti considerazioni psicologiche per comprendere le differenti, ma contigue, fenomenologie psichiche dell’anima e dello spirito. I ‘picchi’ rappresentano ciò che riguarda lo spirito, il soffio celeste (pneuma) che non appartiene al mondo terrestre ma aleggia su di esso, nel bene come nel male, da tutta l’eternità. Le ‘valli’ invece riguardano il regno immaginale dell’anima/psiche, capace di tenere insieme l’aspetto animale e l’aspetto divino dell’essere umano. Le nubi mattutine si adagiano talvolta tra le valli, le vediamo all’alba, come una visione poetica che reca sulla terra lembi di paradiso o il presagio di angusti nubifragi, che si rivelano nelle trasparenze dei primi raggi solari. Si tratta di un’ispirazione immaginale dell’anima che lega la vita terreste a quella celeste, la natura allo spirito. E’ immaginale in quanto è una visione che è presente nell’anima individuale quanto nell’Anima mundi, l’anima dell’umanità intera che è nell’inconscio collettivo, dal quale discende la soggettività dell’inconscio individuale. Ciascuna psiche individuale è come una foglia di uno stesso albero psichico, che rappresenta l’inconscio collettivo dell’umanità. Una visione di questo genere, cioè il sentire che siamo tutti diversi, ma anche tutti legati da una comune radice psichica e biologica, ha portato gli esseri umani ad interrogarsi su un mondo di mezzo tra la terra e lo spirito, un mondo dell’anima la cui sostanza espressiva è l’immaginale, comune a tutti i mortali ma per ciascuno diverso. Lo Spirito appartiene all’alterità, e ne abbiamo presentimento quando ci interroghiamo sull’eternità, sull’infinito e su tutto ciò che riguarda il soprannaturale, Dio, gli Dei, o anche le entità demoniache, le forze del male. Lo spirito nel bene e nel male attiene alle forze animiche della natura e dell’Universo – invece l’anima sta tra la terra e il cielo, appartiene ai mortali, ed è essa che permette di ‘dialogare’ con lo Spirito. In tal senso, in una prospettiva hillmaniana, una terapia immaginale, non mira a condurre il paziente verso le vette dello spirito, ma a “fare anima, cioè a patologizzare, a liberare la possibilità di riconoscere i suoi dolori e i suoi disturbi come se questi fossero necessari al compiersi dell’avventura vitale della sua anima.
In seguito ad una vampirizzazione da trauma amoroso è fondamentale medicarsi e nutrirsi attraverso la ricerca di una fonte spirituale d’amore e di bellezza, di pace e di lealtà volta a ripristinare la natura trascendente della psiche. Il ‘lato oscuro della forza’, la tenebra passionale’ deve essere rivisitata con animo poetico, come una narrazione che dall’Inferno, conduce al Purgatorio e poi alle prime visioni del Paradiso Terrestre … Solo attraverso questo accompagnamento immaginale sarà possibile tornare ad irrigare l’anima inaridita e devastata dalla sofferenza amorosa. L’anima mortificata va nutrita con simboli e immagini vivificanti, attraverso i quali la morte diventa inizio di una rinascita. Ciò non vuol dire affatto che bisogna seguire il sentiero tracciato da un credo o un cammino spirituale specifico o obbligatoriamente ortodosso, ma che bisogna ‘aprire gli occhi’ verso la direzione di un ‘amore celeste’ e quindi di una fonte spirituale della vita amorosa che non sia solo derivata dall’’amore terrestre’. In tal senso nella terapia del trauma amoroso il detto ‘chiodo scaccia chiodo’ non vale, almeno fino a quando non si sia riacquistata la vista di un amore più elevato, che si scorge dai ‘picchi’ della vita spirituale. L’anima che muore d’amore ha bisogno di visioni azzurre… malinconiche, ma piene di sorridente fiducia e speranza. Allora è certo, che ce la può fare!
Trascendenza
Anima e Spirito hanno entrambi una dimensione trascendente e a-razionale perciò a volte si sovrappongono, si confondono, ma anche si contrastano e si separano, intrecciando le umane vicende a quelle divine, nell’esperienza di ciascuno e a seconda delle molteplici narrazioni mitiche, religiose ed anche, psicopatologiche. L’esperienza più immediata e spontanea per il salire e il discendere dell’Anima, tra la Carne e lo Spirito è l’Amore. Da questa ascesa e discesa nascono le peripezie di Eros e Psiche, tra le sofferenze del mondo Infero e le paradisiache gioie degli amanti nella loro primigenia ingenuità. Entrambe queste zone dell’istinto e dello spirito, restano comunque oscure e immature nella misura in cui sono scisse dalla coscienza e perciò possono diventare trappole invisibili. Per uscirne occorrono speciali ispirazioni immaginali. Si osservi che la parola ‘ispirazione’ vuol dire letteralmente ‘essere visitati da uno spirito’. Un innamorato è ispirato da Eros, o da Afrodite, e ciò nel bene e nel male, secondo quelle che sono le gioie e i tormenti della leggenda di Amore e Psiche. Vi è dunque un aspetto spirituale nell’Amore e uno passionale (patemico – cioè un ‘sentire dell’anima’), e questo connubio genera infinite possibilità di relazione erotico-affettiva, da quelle più felici a quelle più patologiche, con la possibilità di invertire le une nelle altre, secondo processi profondi ed estremamente soggettivi.
La poesia amorosa esprime e feconda le congiunzioni ed i contrasti tra gli aspetti spirituali e passionali dell’amore, quindi della sessualità e dei sentimenti. Essa esprime il bisogno di sentire e di elaborare la natura trascendente della psiche (nei termini di Jung la “funzione trascendente”). A volte certe relazioni sono assai povere di spirito, diventano quasi esclusivamente passionali, dal momento che si basano solo sul sesso o solo sul sentimentalismo, senza alcuna condivisione di tipo spirituale, e quindi senza un’apertura verso la totalità. Insomma l’amore tra due partner per poter fluire in modo generativo, deve congiungersi anche ad un condiviso amore universale, per la vita e il mondo.
“Sentimento oceanico” e Grande Madre
Ricordiamo che la parola “Psiche” vuol dire “Anima”, e che lo stesso Freud adoperava la parola Seele – anima in lingua tedesca – in quanto voleva tenere ben separato il concetto di mente da quello di psiche, al fine di accogliere e analizzare gli aspetti simbolici e irrazionali che caratterizzano la natura dell’inconscio. Le moderne neuroscienze sono arrivate a spiegare i vari processi psicofisiologici che governano e producono le sostanze biochimiche di certe emozioni e persino dei sentimenti, ma molto spesso si scambia la causa per l’effetto, vale a dire che ci si ostina a non voler vedere che in moltissimi casi sono i processi biologici che soggiacciono e rispondono a quelli psichici, e ciò soprattutto quando si parla dell’esperienza amorosa. Per quanto Freud abbia impiegato il termine libido (che indica desiderio e voluttà in relazione al sesso e all’ amore) isolandolo rispetto ad ogni accezione spirituale o poeticizzante, egli ha spesso ritenuto giusto spiegare che ciò era necessario non per esaurire ogni possibilità di comprendere l’amore ad un livello poetico. E’ alquanto significativo – per rinforzare cautamente il senso psicopoetico di questo libro anche in relazione ai fondamenti della psicoanalisi classica – ricordare che Freud fu molto colpito dal concetto di “sentimento oceanico” espresso da Romain Rolaind (premio Nobel per la letteratura, 1916). Questi era un poeta e un narratore che seppe ispirare aspetti sovrapersonali della psicologia dell’anima/psiche e dell’amore secondo Freud. Nel saggio intitolato Il disagio della civiltà (1929), Freud considera il “sentimento oceanico” come l’essere pervasi da un sentire regressivo e fusionale che riesce ad indebolire l’Io fino a disorientare le capacità intellettuali più elevate, tuttavia considera che tale sentimento non ha un carattere patologico ed è addirittura naturalmente costitutivo della relazione amorosa. A tale riguardo Freud scrive:
Al culmine dell’innamoramento, il confine tra Io e oggetto minaccia di dissolversi. Contro ogni attestato dei sensi, l’innamorato afferma che Io e Tu sono una cosa sola, ed è pronto a comportarsi come se le cose stessero così.
Quindi una psicoterapia del trauma amoroso deve occuparsi di comprendere anche come il “sentimento oceanico” – che Freud considerava una sorta di trasporto spirituale, come fusionalità con l’universo – sia stato stravolto da uno tsunami devastante, dopo il quale l’Anima non sente più di essere immortale, non sente dunque più la possibilità immaginale di riunificarsi alla totalità nell’eternità dell’Amore. Il “sentimento oceanico” si può esperire come uno stato fusionale ed estatico che pervade l’anima umana quando si congiunge all’anima del mondo, e quindi in senso junghiano ad universo che appare come totalità numinosa, quale archetipo della “Grande Madre”. L’innamoramento, il legame amoroso, rende il partner amato come un mediatore del ‘sentimento oceanico’… nell’amplesso, come nella tenerezza, nell’affetto concreto, l’innamorato percepisce l’amato come il tramite che gli consente di sfiorare il cielo e le stelle. E’ una sensazione di immortalità perché l’archetipo dell’amore è ‘per sempre’.
Quando finisce, quando vi è un abbandono, il ‘per sempre’ non esiste più, e la morte appare in tutta la sua minacciosa potenza che relega all’annientamento e all’oblio. Perrdere l’amore implica l’angoscia di affacciarsi sull’abisso del nulla. La pulsione di vita si trasforma crudelmente in pulsione di morte. Entro questi termini il sentimento oceanico si rivela come una vana e angosciosa regressione verso un ‘complesso materno’, come desiderio fusionale e simbiotico, invasato da fantasie edeniche, illusorie quanto immature. La Grande Madre appare negativa, divorante, abbandonica. Il Paradiso è perduto per sempre e vivere non ha più alcuno scopo spirituale, trascendente, cioè capace di intuirsi nell’amore che supera la morte. Ciò costringe comunque ad un rinnovato, per quanto tragico confronto tra la Grande Madre e l’Io, confronto che avverrebbe attraverso il Sé. L’immagine di questo confronto tra la soggettività e le forze oceaniche e universali della Grande Madre è sovente riferita a San Giorgio e il Drago. L’eroe e il drago, nella sua mostruosa fascinosità hanno bisogno l’uno dell’altro, perché ciò consente di “fare anima”, secondo la psicopoetica di Hillman. Si è costretti a navigare tra le tempeste del sentimento oceanico, senza esserne travolti, ma senza neppure rinunciare ad esso. Il partner traumatizzante, che spesso ho definito come ‘vampiro amoroso’, è considerabile come un rappresentante del drago materno, con il quale bisogna confrontarsi e lottare pur di esperire in profondità lo psichismo del ‘mondo immaginale’. Tuttavia si tratta spesso di un ‘vampiro amoroso’ che viene proiettato sul partner dal momento che la relazione amorosa viene compromessa. Per quanto si cerchi di evitarlo l’amore si converte in odio, la sopportazione in afflizione, la stima in disprezzo, la tolleranza in bisogno frustrto di vendetta. L’anima abbandonata è comunque ‘vampirizzata’ a prescindere dalla negatività del partner più o meno classificabile sotto le etichette del narcisista, del borderline, dello psicopatico o del ‘leggendario vampiro amoroso’ (mi si consente di dire che è divenuto leggendario, e non sempre in modo appropriato, grazie alle mie ricerche che ho elaborato con articoli e libri a partire dal 2010). Insomma quando una relazione diventa infelice, abbandonica, persecutoria, l’altro diventa sempre cattivo agli occhi dell’altro, e viceversa. Inizia una sfida con ‘il lato oscuro della forza’, l’odio che restava occultato dalla romantica luna amorosa…
Afrodite e l’eternità
Eros è il dio dell’amore ed è figlio di Afrodite, la quale è anch’essa dea dell’amore. Come può essere interpretata la differenza tra Afrodite ed Eros? Senza avventurarci in una estrema sintesi della mitologia70 e dei testi filosofici, (in particolare del Simposio di Platone), potremmo considerare che Afrodite rappresenta una dinamica amorosa più matura, mentre quella di Eros è più infantile e perciò più esposta ai complessi genitoriali, alle ingenuità, a cadere preda dell’Ombra e quindi anche della vampirizzazione. Eros attraverso l’unione amorosa ricerca l’eternità, ma per via della sua sostanziale immaturità (ricordiamo che è un puttino) finisce con il perderla. Con ciò entra in conflitto con sua madre Afrodite, la quale invece è la dea che attraverso l’amore rende capaci di percepire l’eternità in modo più maturo. Afrodite la più vecchia di tutte le dee, secondo la leggenda prevalente (le Teogonie di Esiodo), nasce quando l’eterna copula tra il Cielo e la Terra, Urano e Rea, viene interrotta da Crono, il Dio del tempo, il quale tagliò il fallo del padre con un falcetto. Da allora cessò l’eternità e iniziò il corso del tempo, sotto l’egida di Crono. Il fallo di Urano cadde nelle mare generando eburnee e bellissime spume, dalle quali nacque Afrodite, che vuol dire ‘nata dalle spume del mare’. Così Afrodite dea dell’Amore reca a noi mortali quell’oceanico sentimento di eternità che è nell’estasi, nell’ebbrezza e nel tormento di tutti gli amanti. Afrodite, dea dell’Amore è ciò che ci resta dell’eternità e se la perdiamo perché è stata vampirizzata, allora perdiamo anche l’anima…
Per andare a salvare i naufraghi e coloro che stanno affogando (vampirizzati e non), o almeno per fornirgli una possibilità di salvarsi, bisogna dare loro rotte, mappe e bussole celesti e terrestri, che insegnano a recuperare il senso dell’eternità perduta nelle tempeste amorose dell’anima. Si tratta di mappe poetiche, mitiche, spesso misteriose e variamente decifrabili, ma pur sempre tracciate da ispirazioni spirituali di grande ‘sentimento oceanico’ che consentono di preservare un umano senso dell’eternità. Esso protegge dall’angoscia di morte ricostituendo nell’immaginale il senso archetipico e trascendente dell’Amore che, in quanto tale, è per sempre. La vampirizzazione traumatizza perché annulla il senso afroditico dell’eternità nel mondo immaginale. Per guarire occorre rielaborarlo, ripristinarlo, farlo rinascere… ricercandolo innanzitutto nelle sue sorgenti spirituali, di Amore Celeste… alorra poi potrà anche tornare ad incarnarsi in una Corrispondenza di amorosi sensi (Foscolo).
Nota tecnica bibliografica:
“Immaginale” è un termine coniato dall’orientalista Henry Corbin (1958) nella nozione di mundus imaginalis , il quale si ispira ad una dizione araba altrimenti intraducibile, alam al mithal, in riferimento ad un insieme di mistici islamici sciiti e sufi, i quali fra il XII e il XV secolo, hanno esplorato una dimensione immaginativa di conoscenza, recepita mediante l’emergere di visioni interiori. Il concetto di “immaginale” quale vita dell’anima-psiche, è stato elaborato da James Hillman nella sua Psicologia archetipica che ha rivoluzionato i presupposti classici della Psicoterapia. In estrema sintesi l”immaginale’ può intendersi come il manifestarsi energetico delle immagini del mondo interiore, individuale e collettivo.
Pier Pietro Brunelli Psicologo-Psicoterapeuta ha introdotto in Italia, dal 2010, una visone junghiana del ‘Trauma amoroso’ relativa al narcisismo e all’immagine del vampiro (in particolare la metafora diagnostico terapeutica di Truma da Narcisismo – TdN, o ‘da vampirizzazione’) . E’ autore di vari articoli e libri su questi ed altri argomenti. Il libro più recente è SE L’AMORE DIVENTA UN INFERNO, Rizzoli, 2016) – Riceve a Milano, Genova e Roma – sono possibili, anche consulti via Skype.
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Prof Brunelli Le sono grata per la sua chiarezza ,mi permetta di dirle che ha il dono di una comunicazione poetica nella prosa.Concetti di grande profondita’resi fruibili a tutti coloro che intendono aprire il cuore al sentimento cosmico..perche’,nonostante tutto,Non vogliono cedere alle “lusinghe”della morte.Grazie Prof.
Grazie a lei per l’incoraggiamento e la partecipazione.
Grazie per la partecipazione e l’incoraggiamento
Oh….capisco….vero….ha ragione.. ma chi si sente uno zombie….come può sentire di essere dono, aiuto per gli altri…..cosa si può donare se non ci è rimasto nulla? O se nella vita affettivamente non abbiamo mai avuto nulla? ….Ora come ora, quello che ho è solo un vuoto doloroso…ma a chi può servire? Uno spazio buio…..a chi serve?… Il trauma amoroso svuota…fa sentire inutili, sbagliati, difettosi…..fa sentire di essere non solo inutili, ma anche dannosi per gli altri….e questo toglie anche l’ ultima speranza, quella di avere una dimensione di utilità sovrapersonale…
Calpestati, usati, violati, svuotati, abbandonati, disprezzati…cosa possiamo dare? Diamo l’ empatia, la disponibilità, la capacità di accogliere che ci hanno portato alla situazione di abuso….e ancora e ancora….ma anche se diamo e diamo….non siamo comunque in grado di ricevere….perché siamo vasi bucati….Qualcuno ci ha bucati…..feriti…ancor prima dell’ ultima ferita mortale….e da allora niente…. ogni cosa non resta, e non riempie…solo scivola via….e come si può riempire un vaso bucato? Solo in un modo: immergendolo…ecco il meccanismo fusionale e simbiotico…
E anche il dono di sé agli altri, nell’ arte nel volontariato, nella politica….alla fine può essere un’ esperienza “immersiva”….e fusionale.. ma mi chiedo….e le chiedo…..come tale…non è ugualmente irreale e pericolosa? Ho fatto l’ esperienza inversa a molti dei traumatizzati d’ amore. Ho vissuto la fusione religiosa e ho vissuto un’ intensa azione volontaristica….e sociale…..ho capito che erano coperte di Linus…poi ho vissuto un amore….ma alla fine ho scoperto che era la stessa coperta….desiderio di immergersi in un Altro per non sentire più il vuoto….incolmabile…..forse il punto è proprio questo vuoto….che c’è e per alcuni non è possibile riempirlo… Se non immergendosi….ma ogni immersione…toglie il respiro e senza respiro….non c’è Vita…non so….considerazioni sparse…..per condividere e confrontarsi…..
Lo capisco… quando ci si sente depressi è così difficile… a volte bisogna riposarsi, chiedere conforto, e il supporto di specialisti… ma io mi permetto di consigliarle questo link https://www.dzogchen.it/it/the-first-gar-of-the-dzogchen-community/ Ci sono altri posti e gruppi così, anche di tipo diverso… io cerco di frequentarli quando posso… e mi farebbe piacere se in questo blog ne vengono suggeriti altri. Un carissimo saluto
Grazie per il suggerimento e grazie ancora di quello che fa in questo prezioso blog!
Questo articolo è una meraviglia!!! Grazie del suo lavoro, grazie di questo blog!
Sento molto vero tutto quello che ha scritto. Ma ho un dubbio….
Ho vissuto un’esperienza amorosa traumatica di quattro anni dalla quale ne sono uscita abbandonata dall’oggi al domani con una mail e un silenzio mortifero di 7 mesi. Lui era per me un TUTTO come un dio…io la sua estensione…io non esistevo per me ma solo per lui, per la sua volontà, per compiacerlo. In cambio avevo l’illusione di ciò che lei scrive “la fusione….la simbiosi, l’estasi”.
Depressione, anoressia, insonnia, autolesionismo, idee suicidarie, in trattamento con xanax escitalopram e psicoanalisi una volta a settimana.
Distrutta…sto combattendo una dura battaglia con il drago.
Dicevo un dubbio: Il sentimento oceanico…in che modo potrebbe essere d’aiuto? Sentirsi parte di un tutto….ma questo tutto è amore e dolore al contempo, talvolta questo tutto è madre talvolta matrigna.
Nell’accettazione adulta della realtà c’è un’accettazione degli opposti irriducibili che la compongono, e mi sembra che percepire la realtà come la grande madre a cui guardare e dalla quale cercare l’amorevole abbraccio sia un’altra proiezione immaginativa pericolosa perchè irreale. Forse l’unica alternativa è accettare che non ci sia nessuna madre, nessun abbraccio, nessun paradiso, ma solo una Vita così com’è in ogni momento che non accoglie, non cura, non ama ma semplicemente vive, e al suo interno noi possiamo solo vivere come ci è dato vivere. Questo però non consola, non scalda, non toglie dall’angoscia, non placa l’ansia, questa visione di un tutto “indifferente” non mi dà gioia e su questo tutto proietto l’immagine talvolta luminosa e benefica talvolta sadica e perversa….la stessa che forse proiettavo sul mio amato e carnefice…ma non è cosi? E se è così, se anche il TUTTO a cui riconnettersi per uscire dal tunnel depressivo della vampirizzazione è incerto instabile capriccioso e inquietante….allora cosa ci può salvare?
Quando siamo feriti in amore, se riusciamo ad avere la forza di metterci alla ricerca dell ‘Isola che non c’è’, allora lungo la strada possiamo scoprire che ci sono altri come noi con i quali condividere questa ricerca. Allora possiamo scoprire che quell’isola consiste proprio nell’esperienza di condividere con altri una ricerca che dà un senso sovrapersonale alla nostra vita. L’arte, la religione, la politica, lo sport, la natura, la cultura, la solidarietà sociale… sono tutte possibilità per incamminarsi lungo la via che porta ad esperire un ‘sentimento oceanico’, un’abbraccio con la Grande Madre dell’universo che ci rende consapevoli di non essere soli, ma di essere universi, gli uni verso gli altri… Non mi riferisco a miracoli o a esperienze mistiche e magiche straordinarie, mi riferisco a curarsi di se stessi prendendosi cura anche degli altri… mi riferisco alla possibilità di dare un senso al dolore nella ricerca della bellezza e dell’amore in tutte le sue forme… la Grande Madre buona in noi si esprime quando pensiamo e facciamo qualcosa di buono per il mondo, allora accade di incontrare altri che sono in questa vibrazione d’amore e anche di responsabilità. Non è facile, è impegnativo, ma in questa disponibilità di anima ‘chi cerca trova’.