… IN UN’EPOCA CHE PASSA VELOCEMENTE DALLE CERTEZZE (scientifiche) ASSOLUTE ALLE INCERTEZZE TOTALI (sociali, esistenziali e anche scientifiche), proviamo a riflettere psico-filosoficamente tra il CERTO e l’INCERTO…. (“certamente” può esserci di aiuto).
Pier Pietro Brunelli
“La filosofia va studiata non per amore delle risposte precise alle domande che essa pone, perché nessuna risposta precisa si può, di regola, conoscere, ma piuttosto per amore delle domande stesse; perché esse ampliano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’ arroganza dogmatica che preclude la mente alla speculazione”. (Bertrand Russel, I problemi della filosofia, 1912).
INCERTA/MENTE
Una delle cause più comuni della sofferenza psichica è riferibile ad uno stato ansioso di incertezza. Pare che per sentirsi sicuri si debbano possedere certezze. Ciò può essere vero per molte questioni pratiche: il lavoro, l’incolumità fisica, l’impianto del riscaldamento a posto, gli alimenti non edulcorati e così via… Ma se si parla di ‘certezze esistenziali’ o psicologiche e sociali, che riguardano le proprie aspirazioni, gli affetti, le relazioni umane, le scelte politiche, o spirituali… ecco che la ricerca di una certezza, quanto più debba risultare assoluta, tanto più genera ansie e insicurezza. Inoltre c’è veramente il rischio che una certezza troppo solida possa portare assai fuori strada, secondo un’indelebile ostinazione. Pradossalmente si può osservare come vi siano persone con convinzioni e certezze molto radicate che, tuttavia, hanno crolli dell’autostima, diffidenza verso il prossimo, timidezze, ansie e quindi un vissuto di dubbi, contraddizioni e comportamenti ondivaghi quanto incerti. E’ ovvio che le ragioni di uno stato di incertezza sono pressoché infinite o indefinibili, ma qui proviamo a fare una riflessione sull’incertezza in sé e per sé, da un punto di vista filosofico, morale e psicologico. Volendo essere ‘onesti’ viene subito da pensare che la ‘certezza’ diventa spesso qualcosa da ‘benpensanti’, ovvero un modo per raccontarsela, a se stessi e agli altri, al fine di rassicurarsi, rassicurare, cercare di avere sempre ragione, giudicare senza accettare di essere giudicati. Ogni testarda sicurezza finisce con il generare dentro di sé e intorno a sé stati di ansia e frustrazione. Intanto l’esperienza ci rivela che spesso non possiamo essere sicuri neppure di quello che vediamo con i nostri occhi, e che tutto dipende dal punto di vista… e che non si può mai essere certi di quale sia quello giusto. Non è forse meglio mettersi sempre almeno un po’ in discussione?Cioè ammettere di essere incerti e quindi di aprirsi alla possibilità di imparare, apprendere, sperimentare, dialogare e a volte ascoltare i consigli di chi sembra un po’ più saggio ed esperto? E quindi smetterla di ancorarsi a false certezze per paura di non averne…
LA NATURA UMANA E’ AMBIVALENTE, L’AMBIGUITA’ NON PUO’ ESSERE RISOLTA CON I SENSI E CON L’INTELLETTO, L’UNICA COSTANTE CERTEZZA CHE ABBIAMO IN OGNI ISTANTE E’ LA PRESENZA DEL NOSTRO MONDO INTERIORE, EPPURE CE NE DIMENTICHIAMO MOLTO SPESSO (ANCHE PER MANCANZA DI UMILTA’, TRAVESTITA DA REALISMO), E CERCHIAMO OSTINATAMENTE CERTEZZE NEL MONDO ESTERNO, DAGLI ALTRI, E DA CONVINZIONI CHE AL FINE SI RIVELANO COME PREGIUDIZI E FALSE SICUREZZE.
DUBBI AMLETICI E ‘METAPSICHICI’
Amleto si tormenta nel dubbio perché vuole essere certo di cosa sia giusto o non giusto fare(Vedi il mio E- Book TRAUESPIEL, AMLETO E IL GIOCO DEL DESTINO … qui in copertina). Ne fa una questione di certezza etica, morale, intellettuale, politica… non ha mai l’umiltà di ascoltare i suoi sentimenti più profondi e di ricercare un’ambito, una realtà, una persona dove andare a chiedere un consulto, fare un ritiro spirituale, e cercare un percorso al fine di riconciliarsi con se stesso, senza pretendere di avere prima la certezza di agire o non agire. L’incertezza è un’occasione propizia per ascoltarsi, per svuotare la mente, per meditare, per pregare, per rinunciare a lottare e a vincere, per affidarsi allo spirito e attendere che esso porti le risposte migliore. L’anima non vuole certezza, vuole essere libera di errare, e richiede che i problemi non vengano forzatamente affrontati dall’Io prioritariamente su un piano di realtà esterna, ma dapprima, o almeno contemporneamente rispetto al mondo interiore. La domanda allora non è: “come devo fare ad avere certezza di qualcosa?”, ma “come questa incertezza mi serve per compiere un’intima ricerca su me stesso… per conoscere me stesso!”.
Per molte persone ‘iper/razionaliste’, e in una logica dei fenomeni della realtà fondata solo sui principi di causa ed effetto, relativamente dimostrabili scientificamente, la conoscenza di se stesso, del cosmo, del mistero sono considerati come incerti tenttivi di esplorare l’inconoscibile, e in tal senso vengono negati, o tuttalpiù lasciati nel recinto della religione, per i sacerdoti e chi ci crede, o tuttalpiù nei mondi irrazionali degli artisti. Carl Gustav Jung ha considerato che in questo atteggiamento vi è una sorta di ‘fobia verso il ‘non conoscibile’ che ha denominato misoneismo. Se qualcosa non può essere oggetto di conoscenza razionale, per quanto la possiamo percepire e d esprimere, essa va sminuita sotto l’ordine della fantasia e perciò ‘non esiste’. Liquidare in tal modo l’esperienza interiore e l’incommensurabilità del cosmo nel quale pure oggettivamente essa vive, è un pregiudizio che, del resto qualunque psicologia che considera la natura dell’in-conscio (in-conoscibile) non può accettare. Secondo Jung i simboli che esprimono i miti, le religioni e che si ritrovano nelle fantasie individuali e collettive, quindi nei sogni come nelle fiabe, rinviano a qualcosa di non conscibile di cui percepiamo la presenza o l’assenza e alla quale abbiamo accesso per via simbolica. L‘esperienza di noi stessi, del mondo interno ed esterno nella sua incommensurabilità, degli altri abbiamo certamente anche per via sensibile, ma questa non è sufficiente se non si espande in una dimensione simbolica, ed in tal senso i simboli esprimono la certezza che il mistero, l’inconoscibile’ seppure non possiamo argomentarlo logicamente e dimostrarlo sperimentalmente è una ‘realtà psichica’ che esiste, e sulla quale dobbiamo individuare i fondamenti autentici (certificati in se stessi) del vivere. Una psicologia ad orientamento junghiano non mira a dare certezze all’individuo in funzione di principi normativi generali ai quali si dovrebbe adattare, si tratta invece di orientare l’individuo ad individuarsi (processo di individuazione) e quindi di compiere il difficile cammino di adattarsi a se stesso, e quindi di trovare certezza non in una meta definitiva e in verità assolute, quanto in un cammino di conoscenza del suo proprio mondo interiore, che gli appartiene nella misura in cui viene riconosciuto come parte appartenente all’universo.
I MASSIMI SISTEMI
I filosofi nella loro ricerca della verità e della comprensione dei fenomeni si sono per primi interrogati sul vero e sul falso, ma come ben si sa sono state prodotte molte ipotesi intorno alla certezza o alla verità, e d’altra parte ciascuno, anche se non è filosofo ha le sue opinioni, sicché ciò che è certo per una persona diventa incerto per un’altra. Dunque una certezza soggettiva, non è la stessa cosa di una certezza oggettiva, che vale per tutti; inoltre anche quando in una comunità o in una cultura si hanno certezze consolidate vediamo che queste diventano relative, e, spesso vengono considerate assurde o inconcepibili da altre comunità e altre culture. Va poi osservato che con l’evolversi di una comunità o di una cultura le ‘certezze’ consolidate si trasformano, cambiano, e che quindi una certezza assoluta diventa sempre relativa rispetto ad un punto di vista, o a d un certo sfondo, o background conoscitivo.
Gli scienziati moderni, cioè quelli che hanno sempre più separato la scienza dalla filosofia, cioè lo studio di fatti e cose misurabili e sperimentabili, da quelle che riguardano i problemi dell’essere e dell’anima umana, hanno delimitato il campo della certezza a questioni appunto dimostrabili con esperimenti, la cui validità deve essere confermata dal fatto che lo stesso esperimento è ripetibile e verificabile con lo stesso risultato. Ciò ha dato luogo a leggi scientifiche che, tuttavia, non sono valide in assoluto in quanto sono sempre rivedibili, e che, anzi, proprio grazie a ciò consentono un’evoluzione conoscitiva e la scoperta di altre leggi, anche queste sempre con un qualche fattore di incertezza che consente ulteriori approfondimenti.
FEDE, SAPERE E CERTEZZA
Un modo completamente differente rispetto a quello degli scienziati o dei filosofi (che fondano la loro certezza su ragionamenti logici e razionali) è quello dei religiosi, i quali però fondano la loro certezza su dogmi o su eventi e ierofanie non dimostrabili né scientificamente, né logicamente, e quindi sulla fede. D’altra parte se la fede potesse basarsi su una certezza dimostrabile razionalmente, con esperimenti e pensieri, non sarebbe più una fede, un dare fiducia gratuitamente, ma sarebbe un credere a qualcosa che appare certo perché ha una qualche garanzia di credibilità verificabile. Tommaso d’Aquino, e la scuola della scolastica, hanno costituito la base del pensiero filosofico cattolico, mirato a trovare una dimostrazione filosofica sulle ‘verità della fede’. Invece la corrente neoplatonica di Agostino ha riportato la fede in un ambito di indimostrabilità considerando ciò come un modo di preservare il ‘sentimento della fede’, piuttosto che la sua ‘certificazione intellettuale’. Questa ricerca sulla certezza di Dio è un tema centrale nella storia della filosofia che incomincia a vacillare solo con la modernità. Allora Pascal rinuncerà ad ogni dimostrazione, e pure ad ogni fideismo, considererà invece che per vivere meglio, è meglio crederci, sulla base della famosa ‘scommessa’, per cui è bene scommettere che Dio esiste, se poi ciò non fosse, per quanto la scommassa sarebbe persa si avrebbe vissuto con maggior pace, bellezza e fiducia.
Con la modernità la filosofia ha incominciato a mettere in discussione la stessa possibilità di interrogarsi razionalmente sulla verità di certe questioni fondative della natura umana, e ha rivolto il suo interesse maggiore non più ai problemi dell’essere – l’ontologia – ma a quelli del conoscere – la gnoseologia (o teoria della conoscenza). Dunque la sola cosa su cui sia possibile esplorare per trovare una certezza, non è la ‘cosa in sé’, ma il modo in cui la esploriamo, affinché si possa almeno essere certi che non stiamo esplorando in modo sbagliato. La fenomenologia di Husserl ha messo tra virgolette ogni giudizio sulla realtà, al fine di coglierne il manifestarsi evitando il più possibile che ciò potesse essere edulcorato non tanto e non solo da convinzioni prregresse, ma dallo stesso metodo del conoscere, che nella sua stessa indagine rischia di trasformare l’oggetto stesso della conoscenza. Ecco allor che conoscere diventa contemplare, lasciare che i fenomeni ci tocchino e ci compemetrino attraverso un’osservazione che mira più ad esperire che a conoscere. Così con Heiddegger la conoscenza non riguarda più il mondo, l’esperienza di ‘essere nel mondo’, e la sola certezza fondamentale è quella di esser-ci (dasein).
Dunque la ricerca della certezza ha generato molteplici e variegate incertezze, delusioni, paradossi e querelle in ogni ambito del sapere. Tuttavia ciò ha anche provcato reazioni per cercare di asserire e fortificre le certezze possibili con maggior determinazione e spesso con testarda ostinazione. Dalla scienza alla religione alla politica alla vita interiore, la presunzione prometeica della certezza come ‘verità in tasca’ o ‘come eroica missione salvifica e universale’, ha provocato e provoca stati di confusione disastrosi: ntolleranza, fondamentalismo, totalitarismo, deliri di onnipotenza. L’aveva per primo capito Socrate, insistendo sul fatto che “Il saggio è colui che sa di non sapere”. In psicologia e psicoterapia, l’arroganza della certezza, di voler interpretare ogni cosa, secondo teorie, quadri clinici, etichette è davvero molto, molto rischiosa. Dobbiamo essere umili nei confronti dell’anima-psiche, non dobbiamo mai pretendere di piegarla alle nostre credenze e convinzioni che al fine ci rendono ciechi e sordi rispetto a quelli che sono i reali e irreali processi dell’inconscio. LE CERTEZZE CI CONDIZIONANO PERSINO NEI NOSTRI SENSI, COME DIMOSTRANO LE IMMAGINI DI QUESTO ARTICOLO, CHE CI ILLUDONO O CI FANNO VEDERE SOLO QUELLO CHE VOGLIAMO VEDERE…
TECNO-CONTROLLO E PROGNO-MARKETING
Oggi si cerca la certezza nella statistica, quindi nei trend, negli exit poll, nell’analisi di mercato, nei profili dei consumatori, nei prognostici ‘certificati’ da fonti autorevoli… Oppure in formule assicurative sempre più sofisticate o in appartenenze a gruppi e a teandenze ideologiche che a tutti i costi tendono a ‘vendere’ certezze e verità ‘in tasca’. Siamo poi in preda all’ansia del controllo con i telefonini, i tom tom, i check-up, le analisi del DNA, le diagnosi e i consulti con super esperti. Ora è giusto tutelarsi, rivendicare una società più sicura e che dia certezze per il domnani, avvalendosi di giusti strumenti scientifici e di saperi umanistici, sociali, politici, filosofici… ma ciò non dovrebbe essere inversamente proporzionale con la ricerca di un senso di sicurezza che riguarda il nostro mondo interiore e quindi di una maggior fiducia verso il mondo esterno, nonostante le sue asperità, le sue sfide e i suoi problemi. Se ne evince che quello che ci manca di più e di cui spesso ci dimentichiamo è la certezza che viene dal voler conoscere veramente noi stessi, in modo da poter affrontare il destino con maggior forza, creatività, accettazione, speranza, voglia di reagire. Più ci perdiamo nell’ossessione delle certezze probabilistiche e scientifiche e più ci rifuggiamo nelle regressioni, quindi facilmente perdiamo il contatto con la certezza intima dell’esperienza vitale, libera, spontanea, capace di coltivare una sicurezza interiore e di affrontare i rischi che fanno parte della vita nelle sue progressioni.
L’ANSIA DELL’IGNOTO
Passiamo dunque su come in certi ambiti, quelli umani, psichici, spirituali, non sia tanto l’incertezza a rendere insicuri, quanto l’esasperata ricerca di certezza. Il bisogno ossessivo di sicurezza rende insicuri. Questo bisogno può essere visto come una causa di sofferenza di moltissimi disturbi, complessi e stati d’animo conflittuali, dovuti all’esacerbarsi di convinzioni e difese nevrotiche. L’incapacità di accettare e di gestire l’incertezza, più che l’incertezza in se stessa, si traduce in sindromi ansioso depressive, fino a forme psicotiche paronoidee volte a difendersi in modo maniacale dall’incertezza.
L’essere umano soffre molto, e a volte moltissimo perché non riesce a sopportare l’incertezza. In una certa condizione ciò è comprensibile, per esempio l’incertezza del posto di lavoro, di una diagnosi medica, di una relazione affettiva in crisi, ecc., ma possiamo osservare che i pazienti, le persone, manifestano spesso stati di incertezza a riguardo di eventi, situazioni, modi di essere e di pensare, che sono generati d una propria contraddizione interna, che non dipendono dall’esterno, ma dal non riuscire a decidere quale sia la cosa giusta, come se fossero in un bivio. Capita spesso che queste persone abbiano una tale urgenza impellente di scegliere, che non riescono a fermarsi e a riflettere un momento su come considerare il bivio stesso (che può essere poi anche un dedalo di vie controverse), esse vengono prese dall’ansia e dal panico per il fatto stesso di trovarsi in una dimensione di incertezza, la quale è tuttavia normale nella vita, laddove invece sarebbe anormale e patologico non riscontrarla o non incontrala. In un certo senso l’incertezza è il presupposto di ogni esperienza iniziatica, rifuggire da essa non consente un’evoluzione interiore. Le persone unilaterali, quindi fissate ad un punto di vista, incapaci di considerare le umane ambivalenze e contraddizioni, sembrano essere invece guidate da una maniacale certezza che, in quanto tale può portare a tragici errori, e che, nella migliore delle ipotesi non consente di considerare i differenti aspetti e le differenti possibilità sulle quali l’incertezza impone giustamente di soffermarsi. Accettare l’incertezza è quindi importante per crescere e per comprendere, e quindi anche per mettersi in discussione, per trasformarsi.
LA REALTA’ CERTA E INCERTA
Per i greci più antichi la certezza era data da tutto ciò che risulta evidente ai nostri sensi… se vedo e sento qualcosa sono certo che qualcosa esiste ed è fatto in un certo modo. In seguito i filosofi delle scuole eleatica ed eraclitea dimostrarono che dei sensi non ci si poteva fidare, per cui si poteva essere certi delle cose solo attraverso la ragione. Ma i sofisti affermarono che la ragione essendo mediata dal linguaggio non può condurre l’uomo ad alcun tipo di certezza che inoltre una verità assoluta da conoscere non esiste. Socrate e Platone si opposero ai sofisti proclamando la certezza di un mondo reale delle idee, di principi morali, spirituali e conoscitivi di cui si può essere universalmente certi. Aristotele vide la certezza nell’evidenza della realtà sperimentabile esprimibile anche attraverso le ferree regole della logica, per cui ad esempio, si può esser certi che una cosa o è o non è (tuttavia questa cosa, come ciascuno può sapere nel suo intimo, per le questioni interiori, affettive, ‘psichiche’, rararamente è completamente valida, tra mutamenti, contraddizioni e ambivalenze varie …). I medievali affermarono l’idea di una certezza intimamente soggettiva garantita dalla fede, ovvero di una verità interiore che accomuna l’essere umano e le cose in virtù della medesima origine divina. La principale disputa filosofica occidentale che si protende dal medioevo fino all’ 800 riguarda le varie interpretazione del nominalismo e del realismo, il primo considera che di fatto la realtà ultima è inconoscibile, e tuttalpiù possiamo nominarla senza per questo illudersi di avere individuato verità fondamentali e incontrovertibili, il secondo invece postula che a fondamento della realtà vi siano fattori universali che la costituiscono e che il pensiero non solo nomina, ma che può e deve cogliere nella loro essenza (quaestio de universalibus).
Jung esplorò la disputa filosofica sugli universali da un punto di vista psicologico, con un imponente opera di ricerca dalla quale trasse la sua teoria dei Tipi psicologici,(1921) individuandoi innanzitutto due orientamenti di base della personalità: introverso ed estroverso. La personalità introversa si relazione in primis al mondo interiore attraverso il quale esperisce e dà senso a quello esteriore. Per tale personalità gli ‘universali’ e quindi i fondamenti della realtà, sarebbero una questione che dipende principalmente dal mondo interno, e quindi da un’intima esperienza soggettiva che consente di aprirsi all’universo. Per gli estroversi invece il mondo interno è prevalentemente uno specchio di quell’esterno e quindi la conoscenza è maggiormente orientata all’oggettività. Possiamo dire che l’introverso tende a trovare più certezze in ciò che ‘sente’ (intelletto del sentire e dell’esperire) mentre l’estroverso le cerca più in quello che può vedere e toccare (intelletto dell’argomentare e verificare) . In tal senso la disputa sugli universali, per Jung, sarebbe relativa ad una questione psicologica, più che ad argomentazioni filosofiche che cercano di asserire veridicità e certezze sui fondamenti della realtà.
CERTEZZA, VERITA’ E MENZOGNA
Possiamo dire con il filosofo Emanuele Severino che fino alla modernità vi è una sorta di identità tra verità e certezza, e che quindi gli antichi filosofi e scienziati nella ricerca della certezza volevano anche individuare la verità.
In effetti, certezza e verità non sono la stessa cosa, mentre la certezza può costituire una parte della verità, la verità non può essere parziale. Un conto è essere certo di alcuni aspetti delle cose, un altro conto è accedere alla loro verità ultima, alla loro oggettività assoluta. In tal senso la ‘verità’ è una qualità peculiare di valori e concetti metafisici su cui non è dato avere certezza, se non rispetto alle proprie personali convinzioni filosofiche e religiose. Con la modernità i filosofi sembrano rinunciare alla ricerca della verità e dei principi metafisici ‘assoluti’ e si rivolgono soprattutto ai metodi per acquisire conoscenze affidabili e certe. Cartesio diceva che siccome è possibile dubitare di ogni cosa, l’unica cosa certa è la possibilità di dubitare, e da ciò deriva il celebre cogito er go sum. Tuttavia questo per Cartesio implicava la necessità di tenere ben separati materia e spirito (per togliere ogni dubbio!) negando quindi, ad esempio ogni possibile interazioni tra anima e corpo, e quindi cercando la certezza nella riduzione dei fenomeni vitali secondo dinamiche essenzialmente meccaniche. Spinoza invece vedeva una corrispondenza ontologica tra il pensiero e la realtà, considerando spirito e materia quali aspetti di una medesima sostanza, da ciò deriverebbe la certezza che l’esistenza è partecipazione ad un universo che non è puramente materiale, né scisso dallo spirito. Altri filosofi, come gli empiristi inglesi del XVII e XVIII secolo arrivano invece ad affermare che ciò che vediamo e sentiamo è solo un fenomeno che avviene nella nostra coscienza, per cui non possiamo neppure essere sicuri che il mondo esterno esista davvero (scetticismo gnoseologico di Hume). Sulla base di altri presupposti Kant affermò che si può avere certezza solo del mondo fenomenico, di ciò che appare – ma del mondo noumenico, ovvero delle ‘cose in sé’ non si può avere alcuna conoscenza, dato che la nostra ragione per i suoi limiti a priori non può penetrarvi.
Durante l’Ottocento il positivismo, e quindi con l’imporsi della scienza, esaltarono la potenzialità del metodo scientifico rivolto ad individuare dati di realtà di cui si può avere certezza. Ma anche questo ideale scientifico di certezza cominciò a vacillare dovendo constatare il suo fondamentale ‘riduzionismo’, cioè il fatto che esso riduce e limita la realtà in funzione di particolari ipotesi teoriche e sperimentali. Così in contrasto con i sostenitori della verità come ‘certezza scientifica’, riemergono gli spiritualisti che, come Bergson, evidenziavano l’incapacità della scienza di comprendere il mistero e la verità ultima che caratterizza l’essenza stessa dell’esperienza umana. Nel campo delle ‘scienze umane’ il perseguimento della certezza lascia sempre più terreno all’ipotesi, le quali hanno una loro rivedibilità e permettono di investigare a prescindere dal voler dimostrare un risultato ultimo e definitivo . La cosiddetta ‘Scuola del sospetto’, ovvero delle ipotesi che la conoscenza e l’esperienza siano radicalmente condizionate dall’intrinseca e svilente natura ‘troppo umana’ dell’essere umano (Nietzsche), dall’inconscio, con i sui scherzi e le sue censure (Freud), dalla società e dai modi di produzione (Marx), mirano in modi e in ambiti diversi, a ricercare non tanto la verità, ma a smascherare la menzogna che rende fuorvinte ogni verità, e conduce l’essere umano nell’incertezza, o peggio ancora verso false certezze.
LA SCIENZA , L’ ANIMA E I SENSI
La filosofia del pensiero scientifico contemporanea, con Popper e Khun, ha poi messo in crisi l’idea di una scienza capace di fornire certezze stabili e incontrovertibili, dimostrando che essa può portare tuttalpiù a ipotesi, le quali devono poter essere smentite, falsificate e rivoluzionate, da ulteriori ipotesi, nella misura in cui si vuole approfondire la conoscenza. In tal senso anche per la scienza la certezza resta un orizzonte irragiungibile, al quale è possibile avvicinarsi solo virtualmente. In termini umilmente psicologici, riferiti alla nostra anima, dobbiamo dunque considerare – come sosteneva già Eraclito – che essa è insondabile per la sua infinitezza, e che se delle cose finite non possiamo avere certezza, di certo non possiamo averla per quelle infinite. Ma questo non vuol dire rassegnarsi, vuol dire al contrario aprirsi, vivere con maggior fiducia verso l’infinito e l’inconoscibile, affidandosi maggiormente al sapere dell’anima e non solo a quello dell’intelletto, non tanto per abbandonarsi ad un misticismo confuso e fideistico, ma per essere più in sintonia con la natura dell’anima-psiche nell’universo; in tal senso James Hillman, prosecutore e nuovo interprete del pensiero junghiano ha insistito sul concetto di “fare anima”, ispirandosi poeta Jhon Keats: «
La filosofia è lo sfondo, se non l’ispirazione fondante di ogni psicologia (come ha ribadito più volte Umberto Galimberti) ed in tal senso ogni psicologo se ne deve occupare. La filosofia contemporanea, sia quella che si riferisce alla corrente calda, ovvero l’ontologia (che come abbiamo detto sopra indaga l’essere), e sia quella riferibile alla corrente fredda, ovvero la gnoseologia (che indaga sul modo di conoscere) ha innescato un dibattito sulla certezza che vede preponderanti i detentori di una idea probabilistica di ogni verità o certezza, come dire che non si può e non si deve essere certi di nulla. I filosofi della ‘ripresa metafisica’ sulla scia di Heidegger vedono la verità nel senso etimologico di disvelamento che, tuttavia resta una sorta di miraggio irragiungibile per la ragione umana – si pensi alle tematiche lanciate dal movimento del ‘Pensiero debole’ espresso da Gianni Vattimo. I filosofi del linguaggio – seguendo il celebre adagio di Wittgestein che recita: “tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente, e su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” – sono scettici rispetto alla possibilità del linguaggio e del pensiero di esprimere una certezza concettuale su questioni che non abbiano una stretta evidenza pragmatica. Ciò vuol dire che posso essere certo solo di quelle cose che sono effettivamente utili per migliorare la vita dell’uomo, fino a quando si rivelano tali. Quindi compito della filosofia non è quello di spiegare come raggiungere la verità, ma di indicare vie sicure, aventi certezza anche parziale, ma verificabile nei fatti concreti, con lo scopo di migliorare in divenire le conoscenze e le azioni umane. In un certo senso la psicologia clinica dovrebbe sempre indulgere al Pensiero debole’, in quanto quello pragmatico che rinuncia al ‘parlare seriamente’ di cose sottili, diventa cinico e in definitiva depressogeno ai fini di incanalare la sofferenza psichica, non tanto verso certezze, ma verso una consapevolezza più profonda, che è certamente la via migliore per confronatrsi con le difficoltà, reagire, evolvere e guarire.
Insomma tutto l’excursus filosofico di cui si è fatto cenno può essere utile a sviluppare discussioni, idee, fantasie, su ciò che ci appare come certo e come incerto. Non abbiamo trovato risposte, ma abbiamo effettuato un breve percorso di conoscenza. Così non sono importanti le risposte al fine, ma le domande che ci siamo fatti, e l’incertezza è stata la spinta che ci ha resi più consapevoli e quindi anche più sicuri, seppure nell’incertezza.
La questione della certezza può poi essere affrontata secondo una prospettiva psicologica: le false certezze percettive che ci danno i fenomeni di gestalt; le false certezze ideologiche che derivano dalla compensazioni di aspetti conflittuali della personalità… e quindi le false certezze su se stessi e sugli altri…; l’incertezza che sviluppa fobie e paure, oppure quella che porta ad atteggiamenti prudenziali estremi che si traducono in comportamenti difensivi e spesso nevrotici; e poi ancora le certezze che ci impediscono di fare nuove scoperte come il fenomeno della ‘fissità funzionale’ per cui essendo sicuri che una cosa si può fare solo in quel ‘certo’ modo non riusciamo ad intravedere nuove possibilità inventive e innovative …del resto la pazzia stessa è a volte certezza, e compito del terapeuta è il tentativo, ad esempio, di liberare il soggetto dalla ‘certezza paranoide’ di essere perseguitati, o dalle mille malsane certezze che derivano da complessi e visioni del mondo distorte, nonché da esperienze traumatiche e disturbanti che inducono ad interpretazioni e convinzioni errate, parziali e fuorvianti.
LIBERARSI DALL’ANSIA DELLA CERTEZZA
Infine possiamo dire che dal punto di vista psicologico la condizione umana esita ontogeneticamente (ciclo di vita dell’essere umano) e filogeneticamente (genesi della specie umana) in un intricato cammino di dubbi ed incertezze e che il senso dell’evoluzione della persona e dell’umanità sta proprio nella ricerca di punti fermi, di sicurezze e di verità in grado di affievolire l’ansia dell’ignoto e di garantire certezze per il futuro. Eppure quando per sentirsi sicuri si pretende di ancorarsi ed irrigidirsi entro certezze totalitarie per se stessi e per gli altri, ecco che tutto va a rotoli, o comunque diventa regressivo, sotto l’egida di un fantasma materno che dovrebbe garantire un’impossibile protezione totale. La saggezza di ogni tempo e di ogni luogo indica attraverso miti, simboli e leggende che si può avere certezza solo del presente, e che quindi una buona condizione psicologica è quella di chi non si protende a lungo nel passato o nel futuro, ma che vive e si lascia vivere nel qui ed ora e nel continuo divenire, secondo un’attitudine interiore che sa essere contemplativa, che non vive nella disperata ricerca di certezze, che non analizza e non giudica, e che perciò, seppure è assai più difficile di quel che sembra, cerca semplicemente di fare del suo meglio nel bene, per sé e per gli altri
CONCLUDENDO sulla dialettica certezza/incertezza, possiamo rievocare la confortevole e ‘certa’ conclusione a cui giunse il Magnifico Lorenzo :
“…chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza…”.
TUTTAVIA DI QUALCOSA POSSIAMO ESSERE CERTI: MEGLIO PORSI DOMANDE DEL SEGUENTE TIPO E CERCARE DI DARSI LE MIGLIORI RISPOSTE POSSIBILI (ACCETTANDO DI RESTARE INCERTI…)
“Il mondo è diviso in spirito e materia e, se lo è, che cos’è lo spirito e cos’è la materia? Lo spirito è soggetto alla materia o è investito di poteri indipendenti? L’ universo ha unità di scopi? Sta evolvendo verso quale meta? Vi sono realmente leggi di natura, o noi crediamo in esse soltanto per il nostro innato amore per l’ordine? L’ uomo è ciò che appare all’ astronomo, una minuscola massa di carbone impuro e di acqua, che striscia impotente su un piccolo ed insignificante pianeta? Oppure ciò che appare ad Amleto? Forse entrambe le cose insieme? Esiste un modo di vivere nobile ed un altro abbietto, o tutti i modi di vivere sono semplicemente futili? Se esiste un modo di vivere nobile, in che cosa consiste e come possiamo raggiungerlo? Il bene deve essere eterno perché vi si dia un valore o vale la pena di cercarlo anche se l’ Universo cammina irresorabilmente verso la morte? Esiste qualcosa come la saggezza o quel che sembra tale è soltanto l’ultimo perfezionamento della follia?” (Bertrand Russel, nella Storia della Filosofia Occidentale, Milano, Longanesi, v. I°, pp. 9-10)
DEL RESTO SE CERCHIAMO SOLO CERTEZZE, NON POSSIAMO AVERE FEDE E FIDUCIA, E DIVENTIAMO SEMPRE PIU’ INCERTI, DIFFIDENTI,INSICURI, INCAPACI DI SPERIMENTARE, DI ESSERE NELLA SPONTANEITA’, SENZA BISOGNO DI CERTIFICAZIONI, CONTROLLI OSSESSIVI, IDEE FISSE E TOTALITARIE. FORSE COSI’ POSSIAMO ESSERE CERTI ALMENO DI UNA COSA: DELL’AMORE CHE HA MOLTEPLICI FORME E MANIFESTAZIONI, ANCHE QUELLE CHE A VOLTE NON ABBIAMO LA CERTEZZA DI VEDERE E DI SENTIRE E CHE VENGONO OSCURATE DA INGIUSTIZIE, ODIO E SOFFERENZE. POTRA’ SEMBRARE CONSOLATORIO, MA NONOSTANTE TUTTO, PERSONALMENTE E COME PSICOTERAPEUTA, L’ESISTENZA DI UNA FORZA RISANANTE CHE CHIAMIAMO AMORE, E’ UNA CERTEZZA SULLA QUALE – AL MODO DI PASCAL – MI SENTO DI SCOMMETTERE E DI RICERCARE.
One Comment
Leave A Comment
You must be logged in to post a comment.
Thanks and congrats!!