di Pier Pietro Brunelli
Ma Pinocchio era veramente un teppistello bugiardo che poi diventa bravo?
Durante il mio lavoro di psicoterapeuta mi capita di chiedere ai miei pazienti che hanno problemi di senso di colpa, di insicurezza o di vergogna, cosa ne pensano di Pinocchio. Mi rispondono che Pinocchio gli è simpatico, e poi la ‘solita storia’, cioè che era un discolo, che diceva le bugie, e che poi però , alla fine, diventa un bravo bambino.
E’ un’interpretazione che, al di là del suo semplicismo, ha anche un suo senso profondo, alchemico, psicobiologico e religioso. E’ infatti nella sofferenza che c’è la trasformazione verso l’autenticità e la bontà dell’essere umano. In senso junghiano si potrebbe parlare di ‘processo di individuazione’, simboleggiato dalla trasformazione del legno in materia vivente e quindi in coscienza soggettiva, attraverso un processo di errori e di sofferenze che rendono però consapevoli e permettono di maturare e diventare se stessi. Ciò anche grazie al fatto che ci sarebbero personaggi veramente buoni e saggi che accompagnano Pinocchio nel suo processo di crescita, nonostante egli sia così cocciuto da mettersi continuamente nei guai a causa della sua indisciplinata sfrenatezza, golosità e impertinenza. Geppetto sarebbe un padre così buono che lo ama tanto. La fatina azzurra poi, gli vorrebbe un gran bene e lo porta sulla retta via. Per non parlare del Grillo parlante , che interpreterebbe una straordinaria voce della coscienza che Pinocchio, quando era ancora ‘cattivo’, arriva persino a schiacciare. I cattivi invece sarebbero il Gatto e la Volpe, Lucignolo e poi Mangiafuoco. Il Gatto e la Volpe sono senz’altro cattivi, ed il lettore li riconosce come tali chiaramente, mentre come vedremo Lucignolo e Mangiafuoco non sono ‘soltanto’ cattivi, e Geppetto, la Fatina, e il Grillo parlante non sono ‘soltanto’ bravi… ed è per questa ragione che alcuni verbi sopra riportati sono in condizionale e in corsivo.
Sulla linea interpretativa di Pinocchio ‘Pecora nera’ contornato da buoni redentori, si direbbe che si possa essere tutti d’accordo, e viene confermata da letterati, educatori, contadini, pazienti e anche dai bambini… pentiti, o che si convincono sia meglio esserlo (anche quando nosarebbe il caso). Ma se invece provassimo a vedere le cose da un altro punto di vista? Dal punto di vista di un bambino, o comunque di un povero pezzo di legno che doveva comportarsi come un bambino, o meglio ancora come un ‘bambino ideale’, idealizzato, che non fa capricci, non dice bugie, va a scuola, aiuta suo padre… e, in più, non si lamenta nemmeno del fatto che non gli si dà da mangiare, e che fa freddo, e che non può giocare con niente…
E già! Perché in fondo Pinocchio non si accontentava del tanto amore del suo padre Geppetto, il quale era povero e quindi non poteva dargli di tutto di più, come sembrerebbe che l’avido e bugiardo Pinocchio cattivo avrebbe voluto… ‘perfino da mangiare’! Suvvia, non esageriamo,. dopo tutto l’amore che suo padre gli dava… In effetti va considerato che Geppetto era un falegname e che al suo tempo essere falegname non era cosa da poco, significava quasi essere un ingegnere, ma si sa, bisogna darsi da fare per cercare lavoro, e tuttavia, Geppetto, non sembrava farsene una pena.
Ma Geppetto era proprio un padre modello?
Geppetto desiderava il suo bel giocattolo per avere un po’ di compagnia, e perciò le sue arti di falegname le adoperava per farsi un bel pupazzo di legno. Poi per scaldarsi si dipingeva il fuoco al muro e si teneva addosso diversi mantelloni puzzolenti forse da mesi, ma almeno non pativa il freddo. Inoltre la moglie di Geppetto se ne era andata in giro per il mondo non si sa a fare cosa, forse perché non lo sopportava più, o forse , si mormora, perché avesse un amante. In effetti Geppetto voleva un bambino che fosse un burattino, cioè aveva quella tipica idea fissa che hanno, purtroppo, molti genitori di considerare un figlio come qualcuno che deve vivere, muoversi e pensare secondo i loro voleri, umori e desideri… cioè come un burattino.
Quando Geppetto si rese conto che Pinocchio era un bambino le sue abitudini non cambiarono molto, d’altra parte confidando che questo bambino fosse di legno sperava che non avrebbe dovuto neppure comprargli da mangiare. Però lo avrebbe mandato a scuola da bravo bambino, anche perché così avrebbe potuto continuare a praticare le sue attività contemplative, probabilmente anche con i suoi amici all’osteria. Ricordiamo che l’amico che gli aveva regalato il pezzo di legno – per disfarsene in quanto già parlava come un bambino – era soprannominato Mastro Ciliegia (per il naso rosso… da sbevazzatore?). Non si sa come Geppetto trascorresse le sue giornate, ma di certo aveva amici da osteria che avrebbero potuto confortarlo davanti a un fiaschetto in più per la fuga della moglie… e anche regalandogli un potenziale bambino da compagnia ‘in legno’, tipo arteterapia, o ‘figlio’ concepito per risolvere i problemi psicologici e poi eventualmente – un domani – anche economici dei genitori.
Intanto Pinocchio doveva essere bravo sin dall’inizio e sempre, ma così non fu, infatti, quando gli venne fame arrivò persino a rubare una focaccina su una bancarella, sobillato da quell’altro teppistello senza famiglia di Lucignolo, che purtroppo non era ancora finito al riformatorio. Insomma a causa di questa fame ne combinava di tutti i colori, in quanto oltre alla golosità non voleva rassegnarsi a restare anoressico, tipo scheletro di legno.
Fu così che Pinocchio venne giustamente messo in galera, in quanto – come pare essere giusto – i bambini devono andare a scuola e fare i bravi, anche se non hanno da mangiare e se si azzardano a rubare una frittella vanno puniti con rigore… per il loro bene s’intende.
Senza pretendere di andare con ordine, quindi secondo la narrazione, lasciamoci guidare da alcune immagini a colpo d’occhio, quelle che riescono a generare sdegno circa il comportamento da criminalità minorile del bugiardo Pinocchio, come ad esempio quando, preso dai morsi della fame si aggirava per la casa alla ricerca di un tozzo di pane, e giunse a tirare una martellata – mi pare proprio un martello o altro corpo condundente – al Grillo parlante che in quel momento voleva insegnarli niente meno che: la morale! Poi preso dallo sgomento e dai crampi della fame andò a supplicare sotto una finestra un pezzo di pane, ma ricevette una secchiata d’acqua. Tornato a casa fradicio, svenne davanti ad un braciere che Geppetto aveva lasciato accesso – per dimenticanza, essendosi forse dovuto recare d’urgenza all’osteria, e non certo affinché Pinocchio siscaldasse, poteva infatti bastargli il confortante fuoco sempre dipinto sul muro – sicché Pinocchio si bruciò i piedi e perse anche le gambe… Tanto poi il bravo Geppetto glieli avrebbe ricostruito, ma a patto che si fosse comportato bene, altrimenti lo lasciava così… e poi Geppetto arrivò persino a vendersi la giacchetta per comprare l’abbeccedario al figlio, preferendo poi farsi un vestito di carta di giornali… insomma, qualsiasi cosa, piuttosto di andare a lavorare e provvedere ai suoi doveri di padre… chissà come avrebbe fatto se fosse stato un padre separato e la moglie avesse giustamente preteso gli alimenti, non accontentandosi, neppure lei, della sua bontà. Fortunatamente, per Geppetto, questa madre come sappiamo non c’era, e allora viene da pensare che il bugiardo Pinocchio oltre ad avere lo strano vizio di mangiare al quale non riusciva a rinunciare, avesse anche una certa fame d’affetto, e quello che gli dava il padre, per quanto fosse vero, gli doveva sembrare un po’ strano, o un po’ malato… tuttavia Pinocchio dovette comprendere sin dall’inizio che se stava male era solo per colpa sua in quanto non si accontentava di vivere nella meravigliosa atmosfera che l’affidabile (sic!) Geppetto aveva creato per lui…
Del resto se il figlio avesse studiato, per quanto senza madre e denutrito, avrebbe poi fatto un bel figurone in paese e chissà che Geppetto non si sarebbe poi sistemato con lo stipendio del figlio… cosa che poi effettivamente avvenne alla fine della storia. Ma come abbiamo detto, non bisogna assolutamente pensare che Geppetto fosse cattivo, o non amasse Pinocchio, tuttaltro, era bravo e lo amava moltissimo, solo che era un po’ – possiamo dirlo – un disadattato, un alcolista e un immaturo. Ciò però non va considerato a riguardo delle tremende monellerie di Pinocchio, dovute solo ed esclusivamente al suo caratteraccio di natura… almeno così pare.
Il punto è che Pinocchio peggiorava le cose, perché quando faceva una monelleria – anche per non morire di fame e di abbandono – nel tentativo di discolparsi, diceva bugie e questo lo faceva talmente sentire in colpa e vergognarsi che, invece di diventare rosso come un peperone (non poteva perché le guance erano di legno), gli cresceva il naso. Per questa reazione ‘psicolegnosa’ si sentiva ancora più umiliato e svergognato, tanto che poi avrebbe fatto veramente qualsiasi cosa per redimersi, anche perché si rendeva conto che a causa dei suoi intollerabili bisogni fisici e psicologici di bambino rischiava di far morire di crepacuore il suo bravo papà, il quale mostrava sempre più il suo dolore… proprio il suo… senza mai interrogarsi su quello del figliolo: senza mamma, senza cibo, senza riscaldamento, senza giocattoli, in un mondo cattivo, di egoisti, di benpensanti e di matti …
Ma la Fata Turchina era proprio una dolce e materna educatrice?
Anche la celebre Fata Turchina – che dovrebbe essere la consolatrice materna di un bimbo orfano di madre – merita qualche osservazione a suo discapito. Questa sedicente fata che c’è e non c’è, che dà sempre le belle cose ai bambini di buona famiglia e tiranneggia, ricatta e colpevolizza Pinocchio si qualifica in tutta la sua essenza borderline e anche un po’ sadica. Ad esempio quando con ‘amorevole’ intento educativo fa preparare per Pinocchio tanti bei dolci golosi, il quale non sta più nella pelle dalla gioia e dalla gratitudine verso la sua beniamina, fino poi a scoprire che quei dolci erano fatti apposta di gesso, per tormentarlo e fargli spaccare i denti. E che dire di quando la fatina si finge come ‘bambina morta’, con tanto di tomba con su scritto:
QUI GIACE
LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI MORTA DI DOLORE
PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO FRATELLINO PINOCCHIO
Ma questa messa in scena colpevolizzante che getta Pinocchio in una depressione terribile pare essere una bugia lecita, in quanto avrebbe una funzione giustamente punitiva ed educativa. Si sa: solo i grandi possono dire le bugie! Del resto Pinocchio aveva sempre gli strani vizi, che spesso hanno i bambini, di voler mangiare e giocare un pochettino, e poiché a volte cercava di fare il furbetto in funzione di tali turpi voglie, bisognava punirlo severamente. Perciò la fata nonostante i suoi superpoteri lo lasciò penzolare a lungo con la corda al collo – dopo essere stato impiccato dal gatto e dalla volpe (forse come fata sarebbe potuta intervenire prima con uno dei suoi numerosi animali ammaestrati…) tanto che sarà poi il falco a sincerarsi che, una volta caduto a terra, Pinocchio era ancora vivo. Del resto pur di fargli capire che ‘fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio’ era giusto far correre a Pinocchio un effettivo rischio di morire ammazzato.
Il fatto è che la fatina riusciva però alternando con ambivalente maestria comportamenti buoni, con quelli un po’ severi, ad ottener la fiducia di Pinocchio. Infatti la brava fata lo aveva anche perdonato e gli aveva trasformato le monete di rame in monete d’oro – per portarle a Geppetto s’intende (in effetti avrebbe dovuto, la fatina, segnalare il caso ai servizi sociali, ma poiché a quel tempo erano suppliti da lei, allora continuava a fidarsi di Geppetto e alasciargli il figlio in pieno affidamento).
Quindi per Pinocchio la fata era senz’altro brava, ed il cattivo bugiardo e inaffidabile era lui. La fata era tanto brava che per costringere Pinocchio a curarsi con un amara medicina gli diede perfino una pallina di zucchero, ma poiché Pinocchio non ce la faceva a buttare giù la medicina, fece arrivare quattro conigli vestiti di nero con una bara, nella quale sarebbe dovuto entrare dentro ancora vivo, dal momento che sarebbe presto morto per non voler prendere la medicina. Insomma questa fata, ci sapeva fare, miscelando sapientemente dolcezza e trucchetti dell’orrore: un metodo educativo che oltre ad essere efficace dovrebbe anche preservare la salute psicologica di un bravo bambino… almeno se non impazzisce, o continui a commettere altre diavolerie come Pinocchio (speriamo che siano sempre meno i genitori che si trovino consciamente o inconsciamente ad adottarlo). Non si tratta solo di punire ededucare con cinismo, ma anchedi colpevolizzare in modo più o meno sottile, ad esempio inculcando nei figli l’idea che vengano nutriti, vestiti, accuditi e mandati a scuola con sommo sacrificale amore e sofferenza e che ogni loro comportamento da bambini può far ‘moriredi crepacuore’. In ciò infatti vi è un doppio messaggio, e cioè l’idea che marti e provvedere ai tuoi bisogni e sopportare la tua infanzia mi fa soffrire e mi può far morire, non mi dà quindi molto gioia, se non di facciata per un rispetto della morale che nobilita il genitorestesso. Inltre il bambino crede che i genitori non siano obbligati a dargli ciò che gli spetta non ‘per legge’ – in quanto se si fanno i figli si ha il dovere di provvedere a loro – ma solo per compassionevole amore, che costa ai genitori persino l’infelicità. Ma l’amore è un’altra cosa, non ricatta, non colpevolizza, non confonde, e soprattutto rende sempre felice chi ama, esso è un sentimento incondizionato che non può essere barattato con le responsabilità e i doveri e gli impegni e la chiarezza che i genitori devono sforzarsi di preservare, anche chiedendo aiuto alla psicologia qualora non vi riescano. Se c’è un amore sano, anchese i genitori si devono togliere il pane di bocca per i propri figli, non glielo fanno sapere, anche perché sentono davvero che nonostante dolori e sacrifici, grazie ai figli ‘la vita è più bella’ e sono loro grati come al più grande dono – tanto che poi possono anche sopportare il rancore dei figli quando effettivamente per il loro bene devono correggerli e limitare le loro naturali irresponsabilità e intemperanze infantili. Insomma Geppetto avrebbe potuto contare sulla psicologia della Fata Turchina, ma francamente, la signora avrebbe avuto a sua volta bisogno dello psichiatra…
Va poi ricordato che il ‘metodo Fata Turchina’ era anche suffragato da giudici e tutori dell’Ordine, i quali proprio perché Pinocchio era un bambino senza famiglia da educare, lo punivano in modo severo, umiliante ed esemplare, secondo una leggittima giustizia sommaria che certi discoli meritano di certo (soprattutto se non sono rampolli delle classi agiate).
Lo psicoterapeuta americano Michael Titze ha esaminato il ‘complesso di Pinocchio’[1] come un ‘complesso di vergogna’, per cui il bambino si sente umiliato e intimidito da pretese degli adulti che non riesce a soddisfare, e che , essendo un bambino non riesce a riconoscere come assurde, ambigue, o addirittura squilibrate e squilibranti. Anche con Winnicott si può spiegare il ‘Complesso di Pinocchio”, nel senso che il bambino assume la colpa su di sé delle intemperanze e delle insufficienze dei genitori, in quanto pur di ‘salvare la loro immagine’ e quindi di poterli amare e di sentirsi amato in modo normale, preferisce considerarsi sbagliato, colpevole e cattivo. D’altra parte se un bambino in una famiglia disfunzionale elabora fantasie troppo negative sui genitori, per troppo tempo e senza mai la possibilità di scagionarli, allora rischia veramente di diventare autistico, psicotico, schizofrenico. Infatti se è il genitore ‘il cattivo’, il bambino avvertirà un senso di costante terrore e cercherà di difendersi o con varie forme di finzione e “falso Sé”, o sviluppando forme di dissociazione allucinatorie, fantasie persecutorie, ritiri autistici. Perciò la scelta più sana è quella del bambino–Pinocchio che crede alle colpevolizzazioni dei genitori, pur di potersi fidare di loro, ma con ciò perde la fiducia in se stesso, e, nel tentativo di soddisfare qualche suo bisogno di gioco, o di infantile curiosità, diventa discolo e dice le bugie, per poi pentirsi e vergognarsi come un criminale che rischia giorno e notte il collegio-riformatorio (e di fare la fine di Pinocchio). Questa paura fa diventare rossi, fa tremare, blocca lo stomaco, fa andare al gabinetto, o blocca il respiro e in sintesi comporta quello sconquasso psicofisiologico che in Pinocchio viene simbolizzato con l’allungarsi del naso che avviene quando, per potersi difendere, il bambino mente in modo ridicolo, nascondendosi invano dietro un dito, o dietro il naso (cosa che poi lo fa sentire ancor più umiliato e in colpa).
Se da bambini si è vissuta una dimensione affettiva ed educativa colpevolizzante e punitiva, dove i genitori e gli educatori non si rendevano conto e non ammettevano i propri limiti, problemi, incapacità, facendo pagare tutto ciò al bambino, poi da grandi se ne hanno conseguenze più o meno croniche e acute, sul piano della sicurezza interna, dell’autostima e delle relazioni affettive. Ciò proprio perché nell’infanzia il bambino ha dovuto non solo subire un’atmosfera ingiusta e disfunzionale, ma ha dovuto anche prendersene la colpa, in quanto pur di accettare e di fidarsi dei ‘grandi’ – cosa di cui ha estremo bisogno – preferisce sentire che i problemi, le infelicità, le incomprensioni dipendono da una sua inadeguatezza. Ad esempio una paziente disse che quando era bambina la madre la picchiava, spesso senza che lei comprendesse davvero il motivo. Si ricordò allora di un volta che ciò avvenne quando aveva sette anni, per la strada andando a scuola. Giunta a scuola decise di non voler fare più ritorno a casa, ostinandosi a non uscire dalla classe alla fine della lezione. La mamma la venne a prendere tutta gentile e preoccupata, guardandosi bene di raccontare alle maestre cos’era successo la mattina andando a scuola. La bambina non ebbe il coraggio di dire nulla, anche perché in quanto lei era una bambina non sarebbe stata creduta, avrebbero fatto presto a dire che diceva bugie, e comunque avrebbe rischiato di indispettire ancor di più la mamma (la quale essendo adulta poteva essere libera di fingersi al momento comprensiva e quindi di mentire, per poi picchiarla dopo, in privato). Al fine con estrema ansia la bambina si convinse come un automa (un burattino), che doveva andare a casa con la mamma, la quale lungo la via assunse un comportamento indifferente, come se niente fosse. Una volta giunta nella sua stanzetta la bambina vide che aveva lasciato le pantofole in ‘disordine’, una di qua e una di là per terra, cioè come la mamma non avrebbe voluto. Ecco allora che capì perché la mamma l’aveva picchiata, si prese la colpa e si tranquillizzò, in quanto, in tal modo si fece una ragione del comportamento della madre e poté tornare a fidarsi.
D’altra parte ai bambini può bastare anche di sapere che i genitori sono stanchi e nervosi perché lavorano e che perciò hanno diritto di arrabbiarsi anche perché giocando o andando al bagno li hanno disturbati. Insomma il bambino nel quale si forma il ‘Complesso di Pinocchio’, che rischia poi di condizionarlo in vari modi per tutta la vita, viene fatto credere con successo di essere la ‘pecora nera’, così che i genitori possano sentirsi sempre bravi e lavarsi la coscienza da ogni loro responsabilità e incapacità. Se la mamma o il papà mollano il bambino troppo spesso da nonni e baby sitter non sono loro ad avere torto e il bambino prova disagio e dispiacere, non sono i genitori ad avere torto, ma è il bambino che merita un certo trattamento, anche solo per il fatto stesso di non riuscire a farsene una ragione e di pretendere che i genitori si comportino diversamente… in tal modo, almeno, il bambino potrà continuare ad amarli, seppure con qualche rabbioso pensiero nei loro confronti, il che dimostra ancora una volta che il cattivo è lui.
Un altro esempio – ma sono moltissimi e variegati nella maggior parte dei casi clinici – è quello di un paziente al quale da bambino, non era permesso di andare a giocare con altri bambini nel cortile in quanto questi erano ritenuti ‘cattive compagnie’ perché appartenenti a famiglie di basso rango. Allora questo paziente si ricordava di quanto stesse male nel guardare dalla finestre gli altri bambini che giocavano vivacemente a pallone, e quindi detestava i genitori e li odiava. Ma poi dopo un po’ dimenticava questa rabbia e alla sera era lieto di poter stare un po’ con i genitori a guardare la televisione. Durante l’analisi comprese che questi ingiustificati perdoni dei genitori gli erano possibile perché al fine riteneva che i suoi genitori avessero ragione, in quanto era lui il cattivo che voleva farsela con le ‘cattive compagnie’ e anche per il solo fatto di desiderare qualcosa che i grandi – che sono buoni – non volevano. Non parliamo poi di cosa succede nell’adolescente, quando gli impulsi della sessualità vissuti in una famiglia con genitori castranti, pretenziosi, seduttivi e colpevolizzanti, vengono percepiti con estremo senso di colpa e vergogna. Una bambina che giunge alla pubertà potrà sentirsi in colpa perché sulla maglietta spinge il seno, cosa che sembra un po’dare fastidio al padre, il quale è invece un incapace perché non sa comprendere la crescita della figlia. Oppure un’adolescente si sentirà in colpa se a pranzo vede alla televisione pubblicità o varietà con ragazze discinte e ne prova attrazione, mentre i genitori le guardano serenamente, invece di interessarsi di lui, almeno a tavola…
Naturalmente il bambino, così come l’adolescente vive una forte ambivalenza tra odio e amore verso il genitore, per cui quando odia tende ad essere effettivamente indisciplinato, monello, bugiardo. In parte ciò è fisiologico e naturale, in quanto il genitore deve avere anche una funzione repressiva e punitiva, ma sempre secondo chiari esani principi di giustizia, che vanno a tempo debito spiegati e motivati. Invece talvolta o spesso i genitori impongono le loro stranezze e i loro capricci infantili credendosi assurdamente legittimati in quanto genitori. Allora il bambino può rispondere con comportamenti negativi e disordinati, come fa Pinocchio con il suo ribellismo da monello. Però poi si assume la colpa anche di questa ribellione, oltre quella dei genitori che la hanno provocata, sviluppando così gli elementi di una nevrosi, ovvero di un conflitto interno tra le naturali spinte pulsionali e del desiderio, e la castrazione genitoriale che lo ricatta in cambio della possibilità di mantenere una relazione fiduciaria. In sintesi il bambino-Pinocchio deve accettare di punire se stesso, di sacrificarsi, di prendersi la colpa e la vergogna pur di preservare una relazione amorosa sufficientemente affidabile. Questa è poi anche la ‘ragione inconscia’ per cui la maggior parte delle persone non danno un gran peso le ingiustizie che Pinocchio deve sopportare, ma solo le sue nefandezze, considerate poi come le uniche cause dei suoi guai, in quanto se fosse stato bravo – senza mangiare, senza giocare e senza un amore sano, e senza una sua propria aspirazione di vita e quindi fosse stato un burattino compiacente alle esigenze del papà e di una società iniqua e di una fata borderline – allora certi guai non gli sarebbero capitati.
Il ‘complesso di Pinocchio’ si paga da bambini, ma ancor di più da adulti quando la nevrosi si acutizza per una contingenza – ad esempio una relazione affettiva problematica, un malessere, un evento sfavorevole – dove ansia, depressione conflitto si esasperano a causa di una condizione complessuale che resta inconscia e che si è formata nell’infanzia. Del resto Pinocchio, come tutti i bambini, ha la meravigliosa capacità di tirare avanti con la fantasia e l’innocenza, rimuovendo nell’inconscio cose che sono inaccettabili e che perciò preferisce non vedere. Ciò gli consente di sopportare grandi sofferenze accontentandosi di poco, anche solo di un giocattolino o di una fiaba, cioè di qualcosa che lo distrae. Ma poi da adulto questo rimosso si ripresenterà, ritornerà, sotto nuove forme e situazioni che sembrano non avere più nulla a che fare con il disagio subito nell’infanzia, sebbene siano la eruzione di un vulcano dormiente, la cui lava incandescente deriva da formazioni emotive e ideative interiori accumalatesi nell’infanzia e che possono restare silenti per lungo tempo, fino a quando per una contingenza o una relazione infausta la nevrosi non si acutizza.
In molti casi , qualora non ci si renda conto di come e perché e quando il proprio Pinocchio interiore si sia preso troppa colpa e troppa vergogna ingiuste, si subirà una nevrosi più o meno conclamata per un condizionamento dovuto ad un complesso infantile inconscio, quale è il cosiddetto ‘Complesso di Pinocchio’. Il conflitto interiore che ne deriva nell’adulto può comportare varie disfunzionalità e infelicità interiori e relazionali. Ad esempio non si accetterà di assumersi alcune responsabilità, anche quando si sbaglia, o si eviterà ogni situazione in cui si può fallire, si sarà colti da ansie eccessive per paura di forze punitive giudicanti (anche se non sono così importanti), non si riuscirà a dire no e a rivendicare i propri diritti, si tenderà a subire partner negativi (essendosi abituati da piccoli ad amare genitori negativi, o comunque senza poter vedere le loro parti positive in modo oggettivamente differenziato da quelle negative, al punto di assumere queste ultime su di sé).
Nel caso che il bambino, o l’adolescente, rifiuti ogni colpa, ogni responsabilità, e che quindi l’ambivalenza tra odio e amore verso il genitore non possa integrarsi decolpevolizzando a torto o a ragione il genitore (ovvero sia quando sarebbe giusto perché ci si è davvero comportati male o quando è sbagliato perché sono i genitori ad essersi comportati male) allora si sviluppano sindromi di tipo borderline, narcisistico e psicopatico. Ci si convince di avere sempre ragione e di doverla in qualche modo farla pagare agli altri per le proprie difficoltà anche se gli altri non hanno colpa. Ciò può derivare anche dal fatto che il genitore pur di assicurarsi una overdose di amore dal figlio rinuncia alla sua funzione repressiva e punitiva, e quindi anche educativa, in nome di un permissivismo ad oltranza. In tal modo il genitore si mostra incapace di assumersi la responsabilità di punire e quindi anche di farsi odiare pur di preservare la salute, l’educazione e il benessere del figlio, confidando poi anche di fare in modo di pacificarsi in un secondo tempo. Se il genitore non si comporta in tal modo, cioè come un genitore, allora il figlio lo percepisce non soltanto come un debole, ma come uno che ha paura di lui. Ora siccome si ha paura dei cattivi, il comportamento ultrapermissivo e sempre decolpevolizzantedi un genitore verso il figlio fa assumere nel figlio l’idea di avere una qualche cattiveria interiore così grande e minacciosa che il genitore è costretto ad abdicare alla sua funzione, e con ciò sente di perderlo, di non poterlo avere e lo odia. Queste convinzioni e sentimenti disturbanti sono opposti a quelli del ‘complesso di Pinocchio’ in quanto colpevolizzano totalmente il genitore al fine di potersi togliere le proprie colpe senza che queste abbiano la possibilità di redimersi con l’educazione e il ruolo direttivo del genitore. Sono quindi disfunzioni di carattere psicotico, perciò alquanto più perniciose e gravi del ‘complesso di Pinocchio’ che è di carattere nevrotico. Tuttavia sebbene la nevrosi sia meno ‘patologica’ della psicosi, qualora non venga elaborata e trasformato, può recare condizionamenti, infelicità e danni anche di forte rilevanza, in particolare quando nella vita adulta incontra condizione che possono renderla conclamata in modo acuta o cronico, e ad un certo livello sintomatologico ed esistenziale di sofferenza e intollerabilità.
Il ‘Complesso di Pinocchio’ esprime allegoricamente, attraverso una rilettura della narrazione di Pinocchio, il vivere con la convinzione d’essere sbagliati e di avere qualche disvalore per cui la vita punisce e ferisce a causa della propria incapacità e colposità. Invece, gli ‘sbagliati’, erano i propri genitori ed educatori, ed una volta diventati adulti bisogna rendersene conto. Ciò non vuol dire che si è perfetti e immacolati, anzi vuol dire che finalmenteci si potrà prendere le proprie ‘vere colpe e responsabilità’ erivendicareciò che è giusto. Se il ‘vaso della colpa’ è colmo, per colpe non ‘vere’, cioè attribuite e accettae ingiustamente, non si potrà ad esempio negoziare un conflitto con una controparte in modo equilibrato. Infatti se nel conflitto si ha adesempio solo un 20% di colpa o di responsabilità, e l’altro ne ha 80%, piuttosto che riuscire ad accettare il proprio 20% di e rivendicare l’80% di colpa dell’altro, si entrerà in una profonda destabilizzazione in quanto quel 20% diventa insopportabile per un ‘vaso della colpa già troppo colmo’. Si passerà quindi facilmente dalla parte del torto con comportamenti difensivi non credibili e falsati, si potrà persino mentire – come Pinocchio – per salvarsi la faccia e salvare la relazione, nonostante la propria colpa o responsabilità sia alquanto limitata rispetto a quella della controparte. Si potrebbe parlare in modo analogo del ‘vaso colmo della vergogna’, che inibisce e genera ostacoli rispetto a tante situazioni relazionali: affettive, sessuali, lavorative. Non conviene avere il Complesso di Pinocchio, che rende il vaso della colpa e della vergogna pieno di colpe e vergogne che erano invece dei genitori, della società o degli educatori, per poterlo svuotare terapeuticamente, bisogna analizzare come esso si è riempito ingiustamente nel corso della propria vita a cominciare dall’ infanzia, quando si è cercato di adattarsi alla pretesa di fare il ‘bravo burattino’.
Come comprendere e curare il “Complesso di Pinocchio”?
Se Pinocchio non impazzì e non finì precocemente suicida o tossicodipendente fu solo grazie alla sua ribelle energia infantile avallata dal suo complice Romeo Lucignolo, il quale gli fece provare almeno la gioia di andare una volta al Luna Park, la gioia di essere un bambino e che un mondo di adulti disturbati voleva negargli per esigenze narcisistiche, borderline e psicopatiche. Purtroppo questa gioia cosò una punizione al quanto sadica: diventare un asino che viene frustato e poi esposto al circo e al pubblico ludibrio! Il mondo degli adulti e della società che studia e che lavora sarebbe poi quello che educa i bambini provocando loro traumi, umiliazioni, paure e li picchia selvaggiamente come animali. Proprio un bel modo di educare i ragazzi affinché non diventino dei violenti o degli squilibrati! Ma per fortuna, il cuore e la mente da scunnizzo ribelle di Pinocchio erano vivi e autentici, e non legnosi e mortiferi come quelli dei suoi educatori apparentemente sani e buoni e in realtà malati e cattivi.
Un altro personaggio che si rivela di buon cuore, nonostante sia considerato un orco spietato è Mangiafuoco, il quale si commosse tantissimo nel constatare la bontà di Pinocchio che era disposto a sacrificare se stesso facendosi buttare nel fuoco al posto di Arlecchino. E qui, il Collodi ‘esoterico’, se possiamo dirlo – cioè quello che scriveva una storia che conteneva elementi di denuncia della pazzia degli adulti, fino al punto di farli credere corretti e buoni educatori, nonostante le loro miserie nei confronti di un bambino svantaggiato, maltrattato, sofferente, orfano di madre – qui Collodi dicevamo, è straordinario in quanto rivela la straordinaria saggezza istintiva di Pinocchio che vede in Arlecchino la grandezza e la miseria della natura umana, il suo mistero infero e mercuriale, il suo equilibrio acrobatico ripreso poi da Picasso o da Freud come enigmatica metafora della natura umana.
Tante figure e situazioni rivelano la possibilità di rileggere Pinocchio in modo capovolto, come un capro espiatorio che è sottoposto all’ingiustizia psicologica è sociale di adulti disturbati e disturbanti, i quali, per quanto siano ‘buoni’ e ‘amorevoli’, sono comunque ciechi, incapaci, deficitari e anche crudeli nella loro incoscienza e nella loro ignoranza. Mentre invece sono le situazione all’Arlecchino, di furberia, ma anche di ingenuità estrema che evidenziano la bontà di Pinocchio e la possibilità di salvarsi e di salvare. Anche quando Pinocchio si fa imbrogliare dal Gatto e dalla Volpe rispetto alla possibilità di far crescere l’albero degli zecchini, non ci casca per se stesso, ma per il desiderio di portare gli zecchini al suo Papà e di comprare:
“ Prima di tutto […] per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me”.
In effetti Pinocchio si lascia fregare dal Gatto e la Volpe perché gli appaiono come gli unici personaggi che gli danno la possibilità di riscattarsi, e di fare qualcosa di collaborativo, da cui trarre autostima e soddisfazione e con l’obiettivo di riguadagnarsi la stima degli altri, inclusa quella del Padre e della Fata Turchina che lo avevanosempre visto solo come un ceffo da galera da sopportare e da raddrizzare. Se questi ultimi due e il Grillo parlante avessero avuto un po’ più coscienza, anche solo elementare, della psicologia dell’infanzia, e quindi dei bisogni di un bambino, di certo Pinocchio non si sarrebbe cacciato nei guai come spesso faceva e neppure si sarebbe fidato del Gatto e della Volpe con tanta ingenuità, dettata dalla speranza di togliersi di dosso il ‘marchio di Caino’ ingiustamente affibiatogli dalla squilibrata stupidità degli adulti e della società.
Al fine l’intrepido Geppetto – buono quanto demenziale – si butta in mare verso l’America alla ricerca di Pinocchio con una barchetta a remi. Purtroppo la neurodeliri non esisteva ancora e non venne bloccato, ma un “pesce-cane” che poi era una balena, fortunatamente se lo divorò a mo’ di Giona, ospitandolo nella sua confortevole pancia. L’industrioso Geppetto, anche in qualità di falegname, approfittò di alcuni relitti ingurgitati dalla balena, e con essi si costruì un’alcova di fortuna, ma anche piacevole ed ecologica. Fu così che Pinocchio dovette andarlo a cercare, rischiando di annegare pur di salvare suo padre improvvisatosi navigatore per colpa sua, come al solito. La sorte aiuta gli audaci, tant’è che Pinocchio finì nella pancia della suddetta balena e poté riabbracciare suo padre. Come è ovvio gli propose di tornare a riva, e che avrebbe fatto il bravo e si sarebbe occupato di lui, dimenticandosi ancora una volta che sarebbero i genitori quelli che dovrebbero occuparsi dei figli…
Ma questa volta Geppetto batte se stesso, e con la sua rinnovata aria di rassegnata colpevolizzazione dice al figliolo che in fondo lui sta bene così, che nella pancia della balena in fondo non gli mancava niente e che ormai lui si accontentava di poco. Del resto, nella pancia del pesce-cane/balena arrivavano spesso resti appetitosi di naufragi, come barili di vinello, cibarie varie, scatole impermeabili di sigari e ovviamente pesce fresco… e si poteva perfino accendere il focherello per arrostirli e per scaldarsi, giacché nel mare c’è pieno di pezzi di legno… insomma l’ideale per un povero padre stanco di lottare e che a questo punto, bonariamente, giunse a consigliare al figlio di tornarsene da dove era venuto, di andarsene per la sua strada e di lasciarlo lì, tranquillo…a godersi la crociera. Ma Pinocchio comprendendo che il padre era un po’ malato di mente, o stordito, decise comunque di metterlo in salvo e ci riuscì con svariati stratagemmi e con una certa fortuna… se possiamo chiamarla così, giacché una volta giunto con il padre sulla terra ferma la narrazione volge al lieto, fine che però, corrisponde ad un nuovo infausto destino di sacrificale sopportazione, seppure in chiavedi ‘eroe modello’ (non più monello). Infatti Pinocchio, convintosi ormai di dover espiare tutte le sue colpe e vergogne, decise di diventare bravo, anzi super bravo, mettendosi a studiare e nel contempo a lavorare da mane a sera per mantenere non solo suo padre, ma anche la fata Turchina, la quale giustamente andava ripagata profumatamente e a tempo indeterminato in quanto si era oltremodo prodigata per la salute e l’educazione di Pinocchio. Ecco che, finalmente, Pinocchio era diventato un bravo bambino pronto a maturare per essere poi un esemplare cittadino del domani… ovvero un bravo e ubbidiente burattino, acriticamente rispettoso della morale benpensante, opportunista, manipolatoria che mira a colpevolizzare e a condizionare i più deboli per meglio sfruttarli e sottometterli.
Il ‘Pinocchio capovolto’ per liberarsi da ingiusti sensi di colpa, insicurezza e vergogna
Di certo non era questa la morale perbenista edi facciata che voleva esprimere Collodi, e come abbiamo detto vi sono interpretazioni che leggono, in modo non certo banale, il calvario di Pinocchio. Nel suo simpbolismo profondo infatti si esprime un processo di crescita e maturazione interiore che costa un calvario di errori e sofferenze, ma che poi porta ad una ‘nuova nascita’, cioè ad una ‘rinascita’. In senso psicosimbolico, archetipico, esoterico la narrazione evoca un processo di trasformazione della materia – il legno che dallo spagnolo si dice anche ‘madera’ – perciò in ogni cosadi ‘madre natura’, anche se inanimata, come la pietra o il legno, vi è la scintilla della vita biologica, psichica e spirituale.
L’interpretazione che qui abbiamo proposto, anche con ironia, nell’opporsi alla vulgata banalmente moralistica di Pinocchio, ha un obiettivo essenzialmente terapeutico e umanizzante. Si tratta di decolpevolizzare e incoraggiare il Pinocchio che spesso si nasconde in noi in quanto complesso infantile di vergogna e di colpa ingiustamente inculcate e acquisite, per poter fare da parafulmine alle disfunzionalità e ai disturbi degli adulti. Sono molte le persone che non riescono a vedere nella propria vita – così come anche nella narrazione di Collodi – il ‘Pinocchio capovolto’, e quindi la negativa e subdola esperienza psicologica per cui: non soltanto si è dovuto subire le ingiustizie e i deficit degli adulti – i quali per quanto buoni e accudenti sbagliavano su diverse questioni cruciali – ma ci si è dovuti sentire in colpa e vergognarsi al posto loro, in modo di poter preservare un sufficiente grado di fiducia verso di loro, indispensabile per potersi sentire sufficientemente accettati e protetti. D’altra parte rileggere il ‘Pinocchio capovolto’ nella propria infanzia non vuol dire esimersida ogni responsabilità e non ammettere i propri errori o punti di vista sbagliati, ma vuol dire fare giustizia nell’inconscio affinché certi tratti da Geppetto del padre, o da Fata Turchina della madre, o e certi moralismi educativi alla Grillo parlante, non la facciano franca sempre e in tutto, così che Pinocchio debba poi passare la vita a difendersi e a discolparsi di colpe e vergogne che sono le loro.
Ora come psicoterapeuti, o anche come pazienti, possiamo constatre che sono moltissime le persone che vivono sensi di colpa e di vergogna perché hanno vissuto un’infanzia avente un quadro allegoricamente paragonabile a quello del ‘Complesso di Pinocchio’ . Per sciogliere questo ‘complesso infantile’ che può condizionare pesantemente tutta la vita, bisogna rileggere il Pinocchio che c’è in se stessi in modo capovolto, comprendendo nel profondo che un certo doloroso e ingustificato ‘sentirsi sbagliati’ – intriso da sensazioni di vergogna, stati di insicurezza, sensi di colpa, relazioni difficili e infelici – è dovuto a condizionamenti subiti nell’infanzia a causa di adulti problematici e destabilizzanti. Ecco allora che ‘Pinocchio capovolto’ – possibilmente con l’aiuto di un’analisi psicoterapeutica – inizierà a scoprire un nuovo se stesso e perfino che quel naso lungo penitenziale – così simpatico, ma anche ridicolo e crudele – potrà strapparselo via e farlo diventare il suo ‘bastone del potere’, da usare non contro gli altri, ma come simbolo del potere interiore, della padronanza di sé, del decondizionamento dai complessi infantili, e quindi di una rinascita della propria persona nella libertà e nell’autenticità.
GUARDA IL VIDEO SU PINOCCHIO CAPOVOLTO Tratto dalla conferenza di Pier Pietro Brunelli alla Casa degli Psicologi di Milano (febbraio 2016)
httpv://www.youtube.com/watch?v=KU29o4B_CQM&feature=youtu.be
[1] MICHAEL TITZE La vergogna e il “Complesso di Pinocchio”
Rivista di PSICOLOGIA INDIVIDUALE
Anno XXVI Gennaio-Giugno 1998 Numero 43
10 Comments
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La ringrazio di cuore, non ero mai riuscita a cogliere il significato esoterico della storia di Pinocchio, l’avevo solo classificata come non piacevole senza approfondire, ora capisco perché. Pensi che c’era un quadro di Maione in casa dei miei che raffigurava un vicolo con un arco, ma guardando l’opera nella sua totalità si intravedeva la figura di un pinocchio con un’orbita vuota (che richiama alla mente il Vangelo “Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo), prostrato, lugubre, un po’ come quello dell figura, era spaventoso tanto che ho tolto il quadro perché mi angosciava, mi chiedo se la cosa fosse voluta dal pittore e comunque pare significativo del fatto che riuscire a vedere il proprio pinocchio interiore sia un passaggio obbligato per procedere nella via della Vita, quella vera.
Una cosa su cui sono perplessa riguardo il suo bellissimo articolo è il fatto che i bambini con genitori troppo permissivi abbiano bisogno di “punizioni”, io credo invece che i limiti al bambino per la sua sicurezza debbano essere posti con le spiegazioni e se non funzionano permettendogli di mettere la mano sul fuoco della candela, ovvero permettendogli di sbagliare.
Grazie ancora.
Rivedrò il punto che lei mi ha indicato. Io intendevo dire che veramente ci sono bambini viziati, che poi si trovano in difficoltà perché il mondo non conferma quello a cui i genitori li hanno abituati. Con le buone, ma poi anche con qualche castigo o rinuncia, se occorre, è fondamentale che i bambini riconoscano che ci sono dei limiti, e che il genitore abbia una sua equilibrata autorità. Solo così potranno crescere piu sereni, nell ‘intento di conquistare l’autorità degli adulti. Quando i genitori sono in balia dei capricci dei figli, non si rendono conto che un tale permissivismo può determinare nell’adolescente e poi nel giovane adulto, inquietudini, ansie e infelicità, problemi di identità, dicrescita e di relazioni con gli altri, amorose ed amicali. Non bisogna trattare il bambino come un pinocchio da correggere e colpevolizzare, ma di certo neppure come una star del cinema alla quale è concesso tutto, e quindi dandogli la sensazione di avere un grande potere, che non ha e non dovrebbe avere, perché questo può essere altrettanto frustrante (e a volte persino peggio).
In effetti un eccessivo permissivismo può essere sentito dal bambino anche come mancanza di attenzione da parte dei genitori e quindi ricerca di questa attraverso atti non graditi che poi si perpetuano nelle relazioni, da qui la mancanza di rispetto per gli altri. Avevo un amico da bambina la cui madre aveva adottato il motto “Ehhhh, lascialo fare!” e ne combinava di tutti colori, compreso dare fuoco ai giornalini sul tappeto della camerina e togliere il freno a mano all’auto, ora a ha più di 40 anni e ne combina sempre qualcuna anche non volendo.
Forse la questione è solo una mia errata interpretazione del termine “repressione” che potrebbe consistere anche nel semplice spiegare al bambino le conseguenze deleterie del suo comportamento sulla sua sicurezza o sui rapporti con gli altri.
Sono d’accordissimmo, il permissivismo che finisce con il viziare il bambino, lo rende spesso un presuntuoso irresponsabile, fragile nei confronti del mondo fuori dalla famiglia, che non lo mette sul piedistallo come invece è stato abituato. Diciamo che al polo opposto deel pinocchio incompreso e colpevolizzato, c’è quello della ‘narcisizzazione’ dei figli consideerati quasi idoli ai quali va concesso tutto di più. Questo può portare ad una condizione ancora più perniciosa perché le ferite narcisistiche restano occultate sotto un manto di ‘io grandioso’, e sono quindi più difficili da individuare e risanare.
Bellissimo articolo..mi rivedo con questa analisi a quasi 40 anni di età ripudiata dai genitori perché ho deciso di non ascoltarli e farmi una famiglia..mettendoli secondo non so quale turba psichica al secondo posto e non volergli più bebe.. .abbandonata e accusata di egoismo vado avanti..con la ricerca continua delle mie colpe che non riesco a vedere in me ma in loro.un bel dolore da affrontare che potevano risparmiarmi..ma non si può nemmeno più parlare con loro..
Da grandi bisogna consolare il proprio pinocchio interiore ferito, con giuste autogratificazioni.
E se Pinocchio cresce, creando anche una dolorosa ma inevitabile frattura e la Fata Turchina non accetta questa frattura?Fino a che punto si può spingere la Madrina per recuperare il suo trono?
La madrina deve fare il suo lavoro di educatrice con gli strumenti pedagogici e psicologici moralmente e legalmente leciti. Certamente è una fiaba, però fa apparire che siccome è una fatina può manipolare, mentire, ricattare, affamare, traumatizzare e far rischiare la morte ad un bambino…
Fantastico questo articolo. Mi ci rispecchio molto, e non avevo mai considerato questo punto di vista della favola.
Io sono stata uno di quei bambini che ha subito i problemi e gli squilibri dei genitori, il che ora, in eta` adulta, mi porta ad affrontare una serie di relazioni che riportano a galla questi conflitti interiori. La cosa curiosa e` che quando capito in queste relazioni sbagliate, ho una parte ribelle che fuoriesce sottoforma di pensieri in qualche modo ossessivi, che si ripetono fino a che il livello di sopportazione finisce, e l’unica via d’uscita e` il termine della relazione.
Spero, con l’aiuto della psicoterapia, di riuscire a conciliare le diverse parti che entrano in conflitto dentro di me, a trovare un equilibrio che mi permetta di vivere le relazioni in modo sano.
Dobbiamo comprendere il ‘pinocchio’ che c’è in noi e cercare di dargli le cose giuste e belle che per qualche motivo non ha avuto in modo bello e giusto come si dovrebbe… e che in qualche modo hanno portato alla formazione di radicati e inconsci sensi di colpo e di autosvalutazione.