di PIER PIETRO BRUNELLI E ROBERTO ROSSINI
E’ noto come Freud nell’Interpretazione dei sogni (1901) abbia richiamato, per spiegare alcuni aspetti dell’onirico, proprio il meccanismo del rebus’. Ciò avvia una connesione fra psicoanalisi e ‘tecniche dell’enigma’. La definizione di Adorno di -” arte come enigma” si può evincere anche in Lacan, quando accosta il sogno al gioco della sciarada, evidenziandone il carattere ‘artistico-enigmatico’.
Dal sogno al rebus, dal rebus al collage: «Spesso è stata notata la somiglianza del collage col rebus, con un rebus, tuttavia, che non si può risolvere» ha scritto Henning Ritter in un suo saggio. La presenza di una prima lettura – data dall’accostamento delle immagini o delle parole così come appaiono – e di una seconda lettura, ottenuta per allusione, dove il residuo e lo scarto fra i materiali in gioco attiva l’immaginazione – diventa un processo che si ritrova nell’esperienza psichico-neurologica del sognare, un meccanismo in qualche modo comune al sogno, al collage e al rebus.
Il sogno è come un film surrealista. Le immagini della realtà si intrecciano con immagini fantastiche, dove leggi del tempo e dello spazio vengono oltrepassate. Da tempo immemorabile il sogno è considerato come un’esperienza rivelatrice di un’altra realtà, ma anche di conoscenze sulla realtà delle esperienze passate, presenti e future. Così da sempre ci chiediamo: “Cosa vuol dire questo sogno?”, e spesso, come dimostra l’esperienza psicoanalitica, questa sensibilità per i sogni è essenziale per conoscersi e superare problemi e blocchi psicologici, prendere decisioni, espandere la propria consapevolezza sul mondo e gli altri.
Ma un ‘film’ è anch’esso il montaggio di una sequenza di immagini, e quindi è anch’esso una sorta di collage di diverse fotografie, le quali possono anche essere trattate in ‘post-produzione’, quindi distorte, virate, sottoposte ad effetti di luce, sfocatura, colorazione, sovrapposizione.
In effetti nei dispositivi neurofisiologici e immaginativi che generano il sogno c’è una sorta di Photoshop capace di generare montaggi filmici di ‘grande bellezza’… molti registi surrealisti, o comunque ‘onirici’, hanno la capacità di farci sognare proprio perché elaborano sequenze, scene e montaggi assai simili a quelle che si esperiscono nel sogno.
Possiamo allora considerare il sogno come un’esperienza prodotta da un regista dentro di noi, avente competenze estetiche, artistiche, tecniche, narrative. Attraverso un collage di immagini in sequenza, trattate con i più raffinati accorgimenti, il nostro regista onirico interiore ci fa sognare ‘di tutto e di piu’…
Proprio come un regista sceglie certe immagini e certi attori per proporci una certa storia, avente un messaggio e significati che poi sta a noi elaborare, comprendere e discutere, così fa il sogno. Vale a dire che quando il sogno mette in scena una persona nota, un figlio, un amante, un vecchio compagno di banco, una persona che non c’è più, un politico, un personaggio famoso, non intende farci riflettere primariamente sul rapporto che abbiamo con queste figure, in quanto queste sono gli attori e le attrici, ma non i personaggi che interpretano e il messaggio sul quale vogliono condurci a riflettere. Un figlio ad esempio, può rappresentare la proiezione che abbiamo del nostro futuro; una madre può evidenziare una nostra difficoltà nelle relazioni affettive; un’atmosfera scolastica: il bisogno di fare un esame di noi stessi; un personaggio dello spettacolo o un politico: un senso di inferiorità che vorremmo compensare con ‘sogni di grandezza’. Lo stesso possiamo dire di un uomo o di una donna, entrambi sconosciuti, con i quali nel sogno ci si trova a ‘vivere’ situazioni erotiche, belle o brutte, soddisfacenti o deludenti. Secondo un’interpretazione junghiana in questi casi viene rappresentata una dimensione interiore relativa al rapporto che un uomo ha con la sua donna interiore (Anima) o che una donna ha con il suo uomo interiore (Animus).
Quindi il montaggio onirico è un film che adopera immagini e narrazioni di qualcosa per dirci un’altra cosa. Il cibo non è il cibo, così come il sesso non è il sesso, e certe azioni negative non sempre hanno un senso negativo, così come quelle buone non sempre hanno un senso buono. Un incubo, ad esempio, dove avviene qualcosa di violento o di intollerabile potrebbe indicare che nel mondo reale ci stiamo sottoponendo a situazioni di finzione, di accondiscendenza di sopportazione che per l’inconscio sono intollerabili. Sogni dolci, delicati, rassicuranti possono a volte indicare che stiamo invece sottovalutando in modo consolatorio una situazione verso la quale dovremmo prendere provvedimenti, ad esempio andare dal medico o tenere meglio sotto controllo le proprie risorse economiche.
Insomma il collage filmico che produce il sogno è enigmatico, come un rebus, perché vuole che noi ci interessiamo dell’inconscio e delle sue più profonde necessità. Il sogno anche se potesse adoperare un linguaggio semplice e chiaro per dirci cosa vuole, non lo farebbe, perché vuole che noi stiamo lì a interrogarci, a immaginare, ad elaborare intorno a immagini, simboli, misteri, fascinazioni, emozioni, stranezze, mostruosità stupidità, passione e tutto ciò che abbiamo dentro e che è incommensurabile con il mondo esterno.
Quando Edipo sognò che avrebbe ucciso suo padre e posi si sarebbe accoppiato con la madre pensò che il sogno aveva proprio quel significato, e lo interpretò quindi in modo ‘concretista’. Allora scappò lontano da Tebe, ma sulla strada incontrò proprio il padre che gli sbarrò il passo, non riconoscendolo lo uccise e poi per una serie di vicende finì proprio a letto con sua madre non sapendo che anche questa fosse proprio lei. Come si vede qui il sogno si è preso una sua rivincita contro l’interpretazione concretista dei suoi simboli, infatti questa è stata la causa stessa che ha provocato ad Edipo ciò che più temeva. Se Edipo avesse compreso che quel tale che uccideva nel sogno non era veramente suo padre, e che la donna che poi amava, seppure ne aveva le sembianze non era sua madre, avrebbe dato un’altra interpretazione: simbolica, artistica, immaginativa. Avrebbe dunque reagito in modo diverso, magari avrebbe risposto con un rito, con un performance, con un’azione artistica o con un raccoglimento interiore, meditativo, spirituale, o anche psicoanalitico, o, magari con un atto di ‘arteterapia’: ad esempio un collage!
Se Edipo avesse potuto parlare del sogno con il suo analista avrebbe potuto costruire verbalmente un ‘collage’ di diversi significati simbolici, ed uno di questi sarebbe stato che avrebbe fatto bene a porsi in una dimensione creativa, generatrice, di maturazione, in quanto doveva distaccarsi dai suoi genitori non in senso concreto, ma in senso simbolico, spirituale, individuativo, e cioè di ritrovare se stesso, attraverso la sua libertà, la sua responsabilità e certamente non scappando concretamente dai suoi fantasmi persecutori (i quali poi si sono concretizzati). L’artista, il performer, il regista sono produttori di immagini, film e azioni artistiche che esprimono i fantasmi, piuttosto che scappare da essi, o piuttosto che credere che essi rappresentino quello che sembrano essere nei sogni.
Ecco allora che per capire i sogni, nel senso di poterne trarre un senso profondo, trasformativo, compensatorio, maturativo, liberatorio, ecc non dobbiamo limitarci ad interpretazioni troppo tecnicisti che, logocentriche, incentrate a modelli teorici e di pensiero ancorati a quadri interpretativi ‘troppo ragionati’. Certo che il ragionamento serve, ma questo va associato con il raffinamento delle nostre capacità immaginative, le quali possono sensibilizzarsi osservando il mondo delle arti, del cinema, della creatività. Possiamo raffinare il nostro conoscere l’inconscio e il sogno attraverso l’arteterapia e tecniche di immaginazione attiva che ci aprono ad una sensibilità simbolica, spirituale, immaginale del mondo interiore.
Il collage è particolarmente importante per capire il sogno, non solo per i motivi che abbiamo sopra accennato, ma anche perché consente di reimpossessarsi delle immagini proposte dall’immaginario consumistico e spettacolare che ci sommerge e che spesso finisce con il toglierci le nostre stesse facoltà immaginative, più autentiche e spontanee. La nostra immaginazione è ormai colonizzata da immaginazioni preconfezionate che colpiscono in ogni istante la nostra psiche, e che giungono anche a deformare e a complicare il mondo del sogno.
Un’arteterapia che presume la riconquista dell ‘immaginario attraverso il collage – quindi con la rielaborazione e il montaggio di immagini che possiamo prendere dai giornali, da internet, dalla televisione o anche dalle confezione dei prodotti che consumiamo, o da un biglietto dell’autobus piuttosto che da un depliant – possiamo apprendere interiormente, con un’esperienza immaginativa diretta, da ‘sogno ad occhi aperti’, come fa il nostro inconscio a produrre i sogni dentro di noi e quindi anche come possiamo meglio comprenderlo.
Ma non deve trattarsi di una comprensione volta solo a sfruttare l’inconscio, a carpirne i segreti per ottenere qualcosa, si tratta invece di comprendere che esso, in quanto ‘profondità del mondo interiore’ vuole che noi lo visitiamo proprio come artisti, viaggiatori, avventurieri che voglio scoprirlo. L’inconscio produce sogni non solo per dargli un’utilità, ma proprio come un’artista, un regista, un narratore , per affascinarci, per invitarci alla bellezza, all’esperienza simbolica, ad una vita che sia anche immaginale e non solo concreta.
Il sogno può essere compreso solo quando comprendiamo la nostra esigenza di avere un rapporto con la vita basato anche sul gioco, l’espressività, la fantasia. Da questa dimensione Puer dell’artista interiore si connette poi anche una dimensione Senex, che è quella del ricercatore spirituale, dell’alchimista, del mistico che si apre all’incontro con l’invisibile, con il non noto, con l’anima. Ma questo è un altro discorso che va sviluppato altrove. Per ora diciamo solo che il sogno considerabile come l’opera di un’artista onirico che – come ogni artista – gioca con grande creatività , ma anche che vuole trasmettere ispirazioni di estremo valore simbolico e spirituale. La tecnica di base di questo artista oniruico, che tutti abbiamo dentro di noi, è il collage, che viene adoperato come un’arterapia generata dal mondo interiore avente lo scopo non solo inviarci messaggi da decifrare, ma di sensibilizzarci a nostra volta a fare arteterapia, ad aprirci all’immaginazione mantenendo viva una sensibilità artistica, creativa e ricettiva.
L’Arteterapia è un’esperienza personale per connettere la materia allo spirito. Ogni artista è un’arteterapeuta di se stesso. Il collage è una tecnica alquanto impiegabile in Arteterapia, anche perché tutti la possono imparare con relativa facilità, seppure essere artisti. Il collage materico o digitale, o misto, è una possibilità di esperire e comprendere la funzione simbolica delle immagini del sogno e attraverso di queste anche il mondo interiore di cui il sogno è messaggero, tra immaginazione, fantasia e realtà.
Le immagini di questo articolo sono di Max Ernst, un grande surrealista che ha lavorato con svariate tecniche di collage ed in modo particolarmente ‘onirico’. Nel seguente paragrafo rivolgiamo l’attenzione alla sua esperienza, che è poi esemplare per comprendere le molteplici possibilità di coniugazione, espressiva ed interpretativa, tra arte e sogno.
I COLLAGE ONIRICI DI MAX ERNST
Max Ernst (1891 – 1976) è stato un artista tedesco che, contribuendo attivamente alla nascita di movimenti d’avanguardia artistico-letteraria come il Dadaismo e il Surrealismo, ha indagato e sperimentato nuove forme espressive, con l’intento di contravvenire alle categorie stabilite e di abolire le frontiere tra i generi. Questa ricerca è stata seminale per lo svilupparsi di tutta l’arte contemporanea fino ai giorni nostri. È quella che potremmo definire ‘poetica del frammento’, dove il frammento non è né una mancanza né un vuoto; è piuttosto un silenzio riempito, richiede appunto che vi sia un ‘tutto’ cui fare riferimento, cioè che vi sia un costrutto originario che abbia funzione di paradigma.
Un processo che ha indubbiamente molte cose in comune con la memoria e il sogno, che sono a loro volta fatti di ‘parti’, di forme e di materiali, di luoghi ed immagini che seguono un loro percorso in modo originale, ricostruendo in questo modo una nuova realtà personale.
«Non è la colla che fa il collage» questa frase programmatica di Max Ernst rappresenta forse la migliore sintesi di una metodologia espressiva che ha le sue radici storiche nel linguaggio proprio delle avanguardie artistiche del ‘900. Il termine collage, piuttosto generico e che potrebbe rimandare a prima vista ai banchi di scuola, ai ritagli, alle colle e a tutte quelle industriose invenzioni di un fai-da-te dell’immagine che spesso solo la creatività dell’infanzia riesce a pensare e a produrre, definisce in realtà una ars combinatoria capace di generare forti immaginazioni e irrefrenabili sovvertimenti di senso.
Il collage scatena, infatti, l’utilizzo dei materiali più disparati e i più audaci giochi di significazione: tutto ha teoricamente l’autorizzazione a stare insieme, a contaminarsi e a generare nuovi ordini, e soprattutto disordini.
La contemporanea ‘società dell’immagine’ è il risultato di uno stratificarsi di segni prodotti da molteplici linguaggi e dall’evoluzione delle pratiche di comunicazione, con giochi verbo/visivi, incastri di figure e tecniche differenti, rimandi, citazioni e riutilizzi: l’accostamento di elementi provenienti da diversi contesti. Nel collage, in particolare, ritagli e spezzoni di immagini e parole di diversa provenienza sono montati seguendo delle connessioni più o meno consapevoli, seguendo spesso le indicazioni formali scaturite dai materiali stessi, attraverso la casualità che ne permea l’origine, l’esecuzione e la lettura successiva del collage stesso.
Gli straordinari collage di Max Ernst – in particolare quelli di Une semaine de bonté ou les sept éléments capitaux (pubblicati nel 1934) – per i quali si è parlato sia di rebus sia di sogno, sono l’oggetto di una storia senza parole, costituita da 184 illustrazioni, realizzate a partire da figure e scenari tratti da romanzi di Età Vittoriana, riviste di scienze naturali, cataloghi commerciali, enciclopedie, tagliati con estrema minuzia e assemblati, con un incomparabile livello di precisione, in modo da ottenere nuove immagini, stranianti, mai viste prima. Freud parlerà di questo aspetto psicologico dell’arte come di ‘modalità visionaria’, utilizzando il termine unheimlich (perturbante).
La struttura dell’opera segue la scansione dei giorni della settimana, con partenza dalla domenica, divisa in sette sezioni caratterizzate da un elemento ‘capitale’ (il fango, l’acqua, il fuoco, il sangue, il nero, la vista, l’ignoto) e da una breve epigrafe che fa da filo conduttore delle immagini; il fatto che ad ogni quaderno sia abbinato un colore conferisce all’opera un ulteriore tratto distintivo. Sappiamo quanto vicino fossero i Surrealisti al mondo alchemico: «Le ricerche surrealiste presentano una notevole analogia con le ricerche alchimistiche: la pietra filosofale è in sostanza ciò che doveva permettere all’immaginazione dell’uomo di prendere una rivalsa sulle cose» così André Breton, nel Secondo manifesto del Surrealismo (1929). Il titolo, oltre che con i sette giorni della Genesi, è messo ironicamente in rapporto con il nome dell’associazione filantropica francese – fondata nel 1927 e ancora attiva – la ‘Semaine de la bonté’ appunto.
Le ambientazioni sono prevalentemente all’interno di stanze arredate in modo eccessivo, spesso con pesanti tendaggi dai quali fanno capolino enigmatiche figure, presenze in contrasto con lo spazio domestico in cui si trovano, o in esterni, con scorci di città, cupi e anonimi boschi, o sui flutti di mari esotici; in questi scenari si dipanano situazioni assurde, violente, crudeli, spesso blasfeme, che coinvolgono esseri umani, alle volte ibridati con bestie reali e immaginarie, come uccelli, leoni o dragoni.
I temi ideali che attraversano questo romanzo-collage sono quelli dello ‘spirito del tempo’ e risentono dell’atmosfera del Dadaismo e del Surrealismo: la sessualità, l’anticlericalismo, la negazione della famiglia e della borghesia, il rifiuto del patriottismo nazionalista da mettere in relazione con la preoccupante situazione politica dell’epoca e con l’aumentare dei pericoli di un’ascesa al potere da parte dei nazional-socialisti. Potere, violenza, torture, omicidi e catastrofi costituiscono i temi dominanti e le scene cariche di concitazione e di brutalità, visibili su numerose illustrazioni, sono sapientemente modulate ed enfatizzate attraverso l’attenzione per il dettaglio secondario, per le leggi del caso, per le figure retoriche dei linguaggi visivi e verbali, in una sorta di grottesca antitesi con il titolo.
Oltre che pratica comune nel surrealismo, altri smontaggi e rimontaggi di spazi linguistici e figurativi, con accostamenti arditi e un’implicita chiamata in azione dello spettatore, si ritrovano nelle esperienze artistiche contemporanee al lavoro di Max Ernst, come nel Simbolismo, Dadaismo, Metafisica, ma: «Nessuno tra gli artisti della Modernità ha portato così lontano come Max Ernst l’elemento che mette la parola fuori gioco e costringe il pensiero stesso a ricomporre il proprio alfabeto: nei romanzi-collage le cose hanno perso la parola, ma hanno guadagnato l’immagine. E le immagini che si levano incongrue nei romanzi-collage sono i segni di un alfabeto che non ha ancora nome, emanazioni di un potere di combinazione che non ha alcuna fretta di rivelare il suo enigma”.[G. Montesano, Le sirene cantano quando la ragione si addormenta, in Max Ernst. Una settimana di bontà. Tre romanzi per immagini, Milano 2007 pp. 496-497].
SU ARTETERAPIA in Albedoimagination vedi anche IMMAGINAZIONE ATTIVA – PERFORMANCETHERAPY – PARATEATRO – MUSICOTERAPIA e DANZATERAPIA
5 Comments
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I sogni sono espressioni artistiche dell ‘inconscio. Sono enigmatici, come lo è l’arte, perché in tal modo ci obbligano ad interrogarci nel profondo.
… moltissimi anni fa andai a Verona a vedere una mostra di Klee e trovai un catalogo enorme sul surrealismo che comprai tornando con queste chilate di arte. Lessi un’interessante notazione su Leonardo che insegnava a sviluppare l’immaginazione attraverso l’osservazione delle macchie sui muri. Egli suggeriva ai suoi allievi di vederci lotte di forme, questo venne visto come una sorta di “surrealismo ante litteram”, come anche l’artista seicentesco Bracelli, il quale illuminò molto il dadaista Tzara e gli altri surrealisti con le sue “Bizzarrie”. Ricordo anche di aver letto tra i diari degli artisti tedeschi del secondo espressionismo, Grosz e Dix, come i primi collage nacquero proprio durante la guerra. Infatti in questo periodo la posta e le spedizioni erano intense, alcune cartoline venivano assemblate con collage e parti di immagini, se non sbaglio soprattutto quelle della croce rossa alle quale lo stesso Dix si ispirò (dovrei dare un’occhiata nell’autobiografia). Forse Dix superò i suoi traumi e l’orrore della guerra proprio grazie all’arte, facendo quasi da contraltare alla dimensione onirica dei dadaisti e surrealisti. Un po’ come il fumettistico “Sogno e menzogna di Franco” realizzata da Picasso, preludio al Guernica, un’altra sorta di “cartolina inviata dall’inferno” scrisse (se non erro) Eluard. Ecco il bulbo elettrico della coscienza aprirsi non solo sulla realtà dei fatti , ma sulle complesse simbologie e dissidi interiori dell’uomo. Mito, simbolo, istinto e negazione della ragione si fondono insieme nella perdita e ritrovamento, come scrisse anche Michelangelo “dannazione e salvazione” attraverso l’arte.
Grazie per questo suo commento che aggiunge senso a questo articolo.
Articolo molto bello. Alcuni brevi racconti mi sono stati ispirati da sogni, come quello che si può leggere alla seguente pagina, sotto il titolo “Ritorno al passato”:
https://www.facebook.com/pages/Cristina-Morello/215058661882684?fref=ts
grazie davvero molto bello e interessante