di Pier Pietro Brunelli e Elisabetta Lazzari
Una riflessione per comprendere le vittime di se stessi… gettando la colpa sugli altri.
Le persone che si comportano in modo vittimistico vivono in una persistente e involontaria sfiducia verso gli altri e verso le possibilità positive della vita, attraverso l’irrigidirsi di meccanismi difensivi disfunzionali. Queste persone possono essere aiutate a migliorare la propria condizione generale di vita e la propria autostima quando si comprendo le ragioni psicologiche profonde del loro disagio interiore che le induce ad accusare gli altri e a non vedere mai le proprie responsabilità. Il recupero dell’autostima è fondamentale per uscire dal vittimismo patologico, ma a tal fine bisognerebbe essere capaci di un minimo di autocritica, cosa che purtroppo non c’è, o al massimo è simulata. Per diverse ragioni il comportamento vittimistico può essere considerato come una particolare forma di ‘narcisismo patologico’ che amplifica l’immagine dell’ego attraverso l’acquisizione di un potere sugli altri basato sulla colpevolizzazione, il ricatto affettivo, l’esaltazione del proprio Io attraverso la sofferenza effettiva, ma anche ingigatita, iperesibita e talvolta simulata.
Non esiste una diagnosi di ‘vittimismo patologico’, ma l’intento dell’articolo è di indagare e far discutere sugli aspetti patologici del vittimismo. Tuttaviaper comprenderci chiameremo genericamente ‘ vittimista patologico’ chi adotta uno stile comportamentale come quello di cui qui ci occupiamo.
La letteratura psichiatrica non parla esplicitamente di “vittimismo patologico” né come sintomo, né come disturbo di personalità… Un’etichetta psichiatrica che si può avvicinare è la “Sindrome di Munchausen” (vedi Wikipedia.org Sindrome di Münchhausen)nella classe dei cosiddetti Factitious Disorder (Wikipedia.org Factitious disorder)…… ma per quanto queste etichette possano essere riferite al vittimismo, essendo quadri generali non vanno a cogliere il processo interiore delle persone che è estremamente soggettivo. Cerchiamo qui di comprendere cosa c’è di pesante e dannoso nel vittimismo, per gli altri e per le vittime del vittimismo stesso.
Qui non si parla del malato immaginario e neppure della persona che fa finta di star male, qui si parla di persone che hanno una difficoltà ad esprimere le loro pene, ansie, dolori, preoccupazioni e sintomi anche reali in una modalità che non risulti affliggente per gli altri e per loro stessi. Non se ne rendono conto, non lo ammettono, non possono farne a meno, per cui esprimono il loro malessere in un modo frustrante e a volte più o meno aggressivo verso gli altri, e purtroppo in particolare verso chi li aiuta o li potrebbe aiutare. Non conoscono il senso di ‘aiutati che Dio ti aiuta’, e, in fondo, temono che richiedere aiuto voglia dire essere preda dell’aiutante, considerato più forte, alquanto ambiguo, e quindi anche da invidiare e difensivamente aggredire. Questo può essere un modo di reagire ad un’infanzia che per quanto abbia avuto una facciata sana e accettabile è stata vissuta, sul piano degli affetti e della fiducia, in modo alquanto ambivalente e pericolante. Nel vittimismo patologico allora si può rivivere l’ansia di non essere mai stati aiutati veramente da qualcuno con piena fiducia e reciproca disponibilità, in quanto da bambini non era così, e l’ambiente domestico e/o scolastico era percepito nella sua sostanziale ambiguità e inaffidabilità psicologica. Da ciò deriva che nel vittimismo patologico si crede che nessuno possa o voglia davvero aiutare e che tutti in fondo se ne fregano. Allora avviene che nel vittimismo patologico si esasperi la richiesta di aiuto implicito manifestando in modo sempre esasperato e continuo i propri dolori e bisogni frustrati – e al di là che siano veri o no, o che siano esagerati – si getta tutto ciò addosso all’altro che pure vorrebbe essere d’aiuto. Un’immagine è quella che la persona che si tenta di aiutare tenta a sua volta di graffiare e mordere chi la vuole aiutare e al fine la accusa anche di non averla voluta davvero aiutare o, come minimo, di colpevole incapacità… Parliamone insieme nel blog, c’è molto da comprendere…
Per aiutare il vittimista patologico occorre un complesso processo psicoterapeutico, di ascolto e di alleanza totale. La minima osservazione delle sue responsabilità può invalidare la relazione terapeutica. Il rischio è dunque quello di fortificare la posizione vittimista che trova nella psicoterapia la possibilità di ‘crogiolarsi’, fino a convincersi che è la poisizione ‘giusta’ da ricercare anche con gli altri. E’ comunque importante che chi si pone come vittimista patologico cronico possa confidare a qualcuno la sua vita e i suoi sentimenti e disagi più profondi. Allora può riuscire ad entrare in contatto con parti emotivamente importanti e parzialmente scisse di sé, in tal modo possono riconoscere quali sono state le fasi e le relazioni veramente dolorose della sua vita, e quindi distinguerle rispetto a ciò che ci è stato di positivo. In effetti quando si riconoscerà che la vita ha detto NO, ma ha detto anche SI’, allora si incomincerà ad uscire dal vittimismo assoluto, ci si comincerà a porre il problema di come ottenere i SI’ e quindi come fare a migliorarsi… si scoprirà che la prima cosa da fare è imparare ad esercitare una corretta e giusta capacità di autocritica e che per molti aspetti si è stati inconsapevolmente vittima di se stessi.
Vittime o vittimisti?
Tutti noi possiamo subire dei torti, piccoli o grandi, o vere e proprie ingiustizie il che provoca certamente dispiacere, ma non necessariamente il sentirsi ‘sempre vittima di tutto e di tutti’. Il vittimista è convinto di subire torti sempre e da chiunque: nell’ambito famigliare e lavorativo, nella coppia, nell’amicizia.
Generalmente, seppure con grande spirito di sopportazione, possiamo affrontare certe offese con l’aiuto della razionalità, ed anche rivolgendoci ad altri per avere sostegno. Possiamo sopportare soprusi e vessazioni da coloro verso i quali pensavamo di poterci fidare anche volgendo altrove la nostra attenzione creativa e ricettiva, costruendo per noi stessi nuovi impegni, situazioni e relazioni volte a fare del nostro meglio. Inoltre possiamo cercare una riconciliazione con chi ci ha offeso e ferito. Talvolta possiamo anche riconoscere che un torto subito deriva da incomprensioni reciproche; con ciò individuiamo una nostra quota di responsabilità. In ogni caso, seppure entriamo in crisi e ci addoloriamo, è naturale il desiderio e l’impegno per uscire dalla situazione critica, dalla quale ci si vuole liberare.
La persona vittimista invece, di fronte alle difficoltà e alle ingiustizie della vita, quelle piccole come quelle grandi, tende a reagire senza volersi veramente liberare della sofferenza, al fine di trarre da essa una forma patologica di difesa psicologica. Essenzialmente si tratta di una difesa non tanto verso gli altri, quanto verso fattori psichici suoi interni: inconsci disturbanti e risalenti alla prima infanzia. Quindi, in un certo senso, la persona vittimista, piuttosto che voler superare la sofferenza tende a crogiolarsi in essa, a trarne un qualche assurdo vantaggio difensivo/aggressivo.
Ciò avviene soprattutto se considera di poter impiegare le proprie pene, ad es. un proprio disturbo fisico, un proprio malessere o disagio esistenziale, come modo per verificare il suo potere nell’ambito di ogni relazione, specialmente quelle affettive. Il vittimista sembra richiedere l’attenzione totale degli altri, fino al punto che agli altri, ai quali viene mostrata la sofferenza, non viene riconosciuta alcuna esigenza e libertà personale, neppure relativa a problemi e sofferenze, che vengono comunque considerate secondarie. In genere il vittimista tende a confortare le sofferenze altrui superficializzandole, con una sorta di fatalistico ottimismo, che se fosse impiegato nei suoi confronti gli provocherebbe vere e proprie crisi di odio e di rabbia. Basta un niente affinché gli altri possano essere accusati di disinteresse, incomprensione e tradimento della relazione affettiva. In tal senso il vittimista patologico si sente assai ferito dagli altri – anche solo perché non lo comprendono – e crede di essere sempre e comunque la vittima innocente di potenziali carnefici. Da tale conflitto reagisce in modo da trarre un potere psicopatologico, basato sull’esaltazione dell’offesa subita, nonché della sua impotenza, del suo dolore, al fine di colpevolizzare non solo il colpevole o presunto tale, ma gli altri in generale, e, in modo assurdo, persino coloro che cercano di offrire il loro aiuto. Seppure il vittimista tende a costruire con chi lo aiuta una relazione di complicità, questa è volta a fortificare il vittimismo stesso. Qualora la persona che aiuta tenti di depotenziare la posizione vittimista o si rifiuti di suffragarla sempre e comunque, la relazione di complicità si commuta in conflitto. E’ difficilissimo uscire fuori dal paradosso per cui chi aiuta un vittimista viene impiegato dal vittimista per fortificare il suo vittimismo, e quindi l’idea di non poter essere aiutato da nessuno, ma al fine solo ferito e tradito… e così via.
La persona vittimista non è in grado di riconoscere le proprie responsabilità, e se si cerca di fargliele notare si sente aggredita.
Una manovra relazionale tipica del vittimista, è quella di accusare gli altri, non tanto per il fatto che gli hanno procurato un torto, ma perché sono incapaci di capirlo e di aiutarlo. In tal modo tutte le persone con le quali il vittimista entra in relazione possono essere accusate di omertà, complottismo, menefreghismo, mancanza di empatia, disumanità, ecc. In particolare medici , terapeuti e servizi assistenziali potranno essere considerati non soltanto ‘colposi e incompetenti, ma anche dolosi, quasi che facessero finta di voler curare, laddove invece traggono benefici per se stessi infischiandosene del maklatoe, anzi arriavando anche a provocare il suo malessere per motivi di lucro. Evidentemente ciò assume tratti paranoidi. Il vittimista si sente infelice e si trova effettivamente in difficoltà, ma anche in mancanza di un ‘colpevole oggettivo’, attribuisce la colpa agli altri, e alla vita e al mondo in generale, sviluppando una sfiducia misantropica generalizzata. Ciò gli fornisce sempre un alibi per non assumersi le proprie responsabilità e rimanere nell’immobilismo di una situazione negativa che internamente sente come immodificabile. Come vedremo alla base del ‘vittimismo patologico’ vi sono specifiche dinamiche inconsce rimaste incagliate in meccanismi difensivi infantili, che generano processi cognitivi ed emotivi disturbati e disturbanti.
Sia la vittima e sia il vittimista, possono subire in quanto agenti passivi, una disgrazia, un tradimento, una manipolazione affettiva o di altro tipo, ad es., economica, tuttavia la vittima non vittimista non ha alcune intenzione di adoperare ciò che ha subito per relazionarsi in modo manipolatorio verso altri che non c’entrano nulla, o dai quali potrebbe addirittura ricevere aiuto e solidarietà. Spesso la vittima vuole anche evitare di far sapere quanto gli è occorso, e quindi di apparire vittima, se non al fine di poter ottenere un qualche effettivo risarcimento del danno subito. Al vittimista invece, paradossalmente, e da un punto di vista emotivo, non interessa tanto la riparazione del danno subito, quanto la possibilità di impiegare il danno subito per esprimere una sua problematica inconscia disturbante, che altrimenti non riuscirebbe ad esprimere, cosa che lo porterebbe sul baratro della depressione e finanche della dissociazione (psicosi).
Il paradosso è che il vittimista impiega la sua posizione di vittima per difendersi da dolori e disturbi psichici verso i quali non riesce a porre rimedio. A tal fine può dunque non solo esaltare la sua posizione di vittima, ma anche fare in modo da poterla perpetuare, rinnovare, al punto di provocare situazioni dalle quali può in vari modi essere ‘vittimizzato’.
La vittima non vittimista, prova gratitudine verso chi la aiuta, perché il suo stato emotivo e mentale di dolore è ancorato ai fatti reali che glielo hanno prodotto e non ad intenzioni, seppure inconsce, di “sfruttare” l’altro per difendersi da antiche ferite irrisolte che si porta dietro dall’infanzia.
Il vittimista non riesce a provare gratitudine in quanto considera la relazione affettiva che la gratitudine svilupperebbe come un ambito potenzialmente inaffidabile. Ciò a causa di una mancata elaborazione della relazione primaria con la madre nella prima infanzia, vissuta come inaffidabile per fatti e comportamenti oggettivi e/o fantasmatici.
Provare gratitudine, fidarsi, aprirsi all’altro e quindi lasciarsi aiutare, amare e ad essere amati, nasconde lo spettro dell’abbandono e del tradimento, perciò piuttosto che provare gratitudine e amore per gli altri che vorrebbe aiutarlo, finisce con il trasformare gli altri ingrati, in persone incapaci di comprendere le sue esigenze, il suo amore, la sua bontà, e, naturalmente, i suoi dolori.
La difesa vittimistica è dunque una difesa dai propri fantasmi persecutori interiori, formatisi nell’inconscio a causa di una relazione disturbata con la madre, e poi con l’ambiente famigliare.
Quanto più questa difesa patologica viene perpetuata tanto più essa si trasforma in una prigione dalla quale non si riesce a uscire, anche perché la chiave è nascosta nel luogo più impensabile e misterioso che esista: dentro il proprio profondo, in zone d’ombra e rimossi dell’inconscio risalenti alla prima infanzia. D’altra parte uscire da questa prigione appare come pericoloso, il male è tutto fuori, e per difendersi bisogna rafforzare la prigione e occultare la chiave in un luogo sempre più profondo e irraggiungibile dentro se stessi.
Quando non vi sono colpevoli o potenziali carnefici finalizzabili a rafforzare la posizione di vittima, l’aguzzino diventa il destino ed il fato che viene considerato sempre avverso, come se si fosse vittima di una qualche predestinazione demoniaca che condanna alla sfortuna costante. Ed è questo un altro motivo per non fare niente e continuare a lamentarsi. Un altro aspetto tipico dello psichismo delle persone vittimiste, le porta a rimandare, a procrastinare o a non considerare tutte le azioni potenzialmente migliorative della loro condizione, ad un ideale “momento migliore”, che potrebbe anche però, a livello di realtà, non arrivare mai.
La realtà, viene però letta in modo deformato dalla persona vittimista, a causa di antiche e precoci difese – o difese “nella” difesa – che ancora permangono attive. Infatti, il vittimismo è una difesa ad es. per non sentire… (continua pagina successiva)
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Buongiorno, frequento un uomo da 2 anni, mi trovo bene, ma ci sono degli atteggiamenti che ogni tanto mostra e che piano piano stanno facendo cambiare i miei sentimenti.
Se ad esempio un mio amico che lui non conosce mi mette un mi piace su Facebook (non a foto mie che non metto quasi mai, ma magari del mio gatto), lui si infastidisce, dice che io non capisco che dietro quel mi piace si nasconde altro e che io se metto mi piace ad un suo post, lo alimento(cosa alimento non si sa, non mi spiega). Se ad esempio esco con un’ amica, non sempre ma succede, mi dice che avrebbe voluto uscissi con lui perché era giu (avrei voluto trovassi del tempo per me, non ti sei accortache avevo bisogno di te)? Purtroppo è sempre giu quasi ogni volta che esco per i fatti miei. O sta male fisicamente, o è triste.
Se ad esempio durante una cena con amiche o parenti, non gli scrivo per un paio d’ore, mi dice che non è possibile non l’abbia pensato e non gli abbia mandato nemmeno una faccina per fargli capire che mi mancava.
A me sembrano cose folli. Al limite del patologico.
Una volta è capitato anche a me di infastidirmi per dei commenti di un’altra donna, ma perché essendo una ex e sapendo che lei ci aveva provato poco tempo prima, mi pareva strano lui le avesse dato corda in modo piuttosto compiacente. Poi mi ha spiegato e io ho capito, finito. Non ho più pensato a farmi paranoie. Non controllo mai queste cose, non mi interessano. Lui si, si accorge addirittura se ho aggiunto un nuovo contatto, pazzesco.
Mi chiede di cancellare amici senza motivo o di smettere di interagire perché a lui non piacciono, non li conosce, magari ci sono andata a scuola e non li frequento, ma comunque c’ è un affetto da anni e così interagiamo sui social ma nei limiti senza niente che lasci immaginare chissà quali intenzioni. Una cosa pulita alla luce del sole. Hanno moglie e figli che conosco, fra l’altro.
È normale arrivare a litigare per un mi piace? Puo avere una persona diritto di dire ad un’altra cosa deve fare? Solo perché si è in relazione, mica apparteniamo agli altri? E la fiducia?
Voglio dire, se mi rendessi conto che uno ci prova saprei benissimo come comportarmi, non sono una traditrice, che poi se uno volesse tradire il modo lo troverebbe. Quindi non capisco se preoccuparmi di questi atteggiamenti. Poi non fa che dire: allora tu vuoi fare il tuo comodo! Allora adesso lo faccio anche io visto che mi limito per te.
Premesso che io non gli ho posto alcun limite, non so ma se si reprime evidentemente è lui che non sa controllarsi.
Io non accetto nessun compromesso a riguardo.
So gestire la mia vita non mi serve il protettore.
Che lui mi da solo consigli (non richiesti), perché io non sarei in grado di capire le cattive intenzioni degli uomini (dal di fuori vedo cose che tu non vedi). Che a lui basta poco per inquadrare le persone e che non si sbaglia mai. Quindi mi mette in guardia…
Secondo me è paranoico, sospettoso e insicuro.
Ma se poco poco “alzo la voce” mi da dell’ aggressiva.
Comunque… non è normale né accettabile questo modo di fare.
Ad esempio mi dice: adesso farò come te cosi impari che significa. Ma io esco quasi solo con lui, ci sto sempre a messaggiare, non faccio niente o quasi con altre persone. Lui non ha amici, solo uno, e in passato ha subito un tradimento. Ma io non sono il passato e credo che il problema non sia io. Credo che la più alta forma d’amore sia la libertà. Non si può pretendere che chi abbiamo vicino faccia ciò che diciamo noi per egoismo o per paura di perderli.
Anzi. Questi sono quei comportamenti che distruggono un rapporto.
Mi sento il fiato sul collo.
Grazie per chi leggerà!
Consigli?
Sono questioni molto profonde, che meriterebber appunto un’analisi approfondita… sono questioni sottili, intrise di anima che anelano a sentimenti più alti. E’ importanti sentirsi compresi, poter approdare in un luogo dove si è ascoltati e i possa testimoniare la propria esperienza… dischiudersi con le proprie fragilità per ritrovar se stessi negli occhi di un’altro e percepire che nel nostro sguardo ha visto ancor di più di quanto noi stessi potevamo vedere. Forse questo è il senso ultimo di un consulto terapaeutico. Poter parlare a cure aperto di sé e dei propri sentimenti affinché si possa sentirsi autenticamente più vicini al proprio desiderio, un desiderio di comprensione e di amore.
Salve, cercavo qualcosa sul vittimismo e mi sono imbattuta nel suo articolo. Vedendo che ha risposto anche a commenti recenti, vorrei provare ad esporle un rapporto di amicizia che sto vivendo. Tra la mia amica e me ci corrono 11 anni di differenza e circa 40 anni fa è stata la mia insegnante di quinta elementare. Il nostro è un rapporto molto intimo e confidenziale, ci sentiamo tutti i giorni anche più volte al giorno. Fatta questa premessa che non so se è importante, passo a dirle che abbiamo due caratteri molto differenti. Io sono una disordinata cronica, lei è quadrata fino all’inverosimile. Però, mentre io vivo abbastanza bene con il mio modo di essere, lei vuole a tutti i costi convincermi che sono sbagliata. Che solo le cose come le fai lei sono quelle giuste, che lei ha sempre ragione e difficilmente ammette un torto. Anzi mai, anche quando ce l’ha. A causa delle nostre differenze, malgrado ci vogliamo molto bene, io ho cominciato sempre più spesso ad oppormi per non sentirmi prevaricata. Io d’istinto parto in quarta, magari dico 3 parolacce in fila, alzo la voce e poi mi passa. Lei mantiene sempre la calma e mi accusa di arrecarle tanto dolore con questo mio comportamento. In genere reagisco solo se provocata e più cerco di farle comprendere le mie ragioni, più lei fa leva sulla mia impulsività, rigirando spesso situazioni che la vedrebbero in torto e scaricando su di me tutte le colpe delle incomprensioni. Non si mette mai in autodiscussione, tanto è convinta di non sbagliare mai, provoca in modo naturale situazioni che suscitano reazioni, come se volesse attingere in modo negativo da esse. Inizia tutte le sue giornate pacatamente pensando che qualcosa andrà storto. Ad ogni nuova lite o incomprensione, rivanga tutto ciò che di negativo è entrato a far parte del rapporto, non riesce a separarsene, quando io, invece, molte cose non le ricordo più. Col tempo mi sono resa conto di essere diventata sempre più prevenuta e di accorgermi sempre più spesso di come quando parlo, ad ogni parola, pensiero, opinione, si contrapponga in continuazione la sua. E se provo a farglielo notare, trova mille espendienti oratori per farmi sentire sbagliata. Così è capitato sempre più spesso che un’irritazione crescente mi abbia portata a reagire in modo meno ortodosso. Quando questo capita, lei lo usa contro di me, innocentemente si innalza a vittima dei miei modi bruschi e schietti e sorvola sul vero motivo, ovvero l’ennesima provocazione da lei lanciata. Malgrado l’incompatibilità che sta venendo fuori, come le ho detto ci lega un affetto profondo e tra di noi non ci sono e non ci sono state solo situazioni negative. Ma temo che il rapporto stia prendendo una sorta di piega perversa nella quale farsi del male diventa quasi un atto volontario per autoarrecare sofferenza. Lei è così con tutti, le uniche persone con le quali va d’accordo (e anche qui a volte si butta in polemiche infinite) sono quelle che non frequenta, magari conosciute sui social. Il suo compagno è continuamente bersagliato ed esasperato dal suo perfezionismo olistico, nel senso che tutto dovrebbe essere fatto come dice lei (anche lui è diventato prevenuto e spesso reagisce urlando); ma non si ferma qui, anche le opinioni degli altri sono sottoposte al suo esame. Si lamenta dei difetti di tutti, critica continuamente. Gli altri non capiscono e se provano ad opporsi al suo modo di vedere le cose, lei è quella che soffre, è l’incompresa, è tutta colpa degli altri. Io ho piano piano adottato la tecnica di annullarmi, di non esprimere pareri, di non chiedere consigli, di evitare qualsiasi discorso al quale possa appigliarsi. E’ accaduto spesso di aver detto “a” invece di “b” ed essermi ritrovata l’indomani o qualche giorno più tardi a pagarne le conseguenze. Devo stare attenta a come mi esprimo, perché spulcia ogni singola parola, ogni singola virgola e a volte ci rimugina sopra prima di tirarlo fuori. Io ultimamente sono molto stressata per l’aggravamento della malattia di Alzheimer di mia madre che assisto da sola e ininterrottamente da oltre 4 anni e ammetto che sono più propensa a scatti e meno capace di empatizzare, di riflettere e portare pazienza. A volte vorrei semplicemente chiudere questo rapporto che mi sta dando più sofferenza che piacere, ma le voglio troppo bene. Malgrado questo sento che si è creato un punto di rottura, una sorta di non ritorno che in futuro lascerà sempre in modo evidente la sua cicatrice. Qualche saggio suggerimento per il bene di entrambe? La ringrazio, Milena
Gentile Milena, a volte i rapporti si possono ‘infiammare’ o ‘raffreddare, o si scaldano le litigiosità, o si spengono… però mi pare che nel vostro caso un ‘ di raffreddamento ci vorrebbe. Poi magari si può anche tornare a riscaldarlo. Non dico che vada sospeso, ma da come lei scrive pare consigliabile prendere una pausa. I problemi di puntigliosità e presunzione che lei descrive danno fastidio, magari c’erano anche prima, ma ora sembrano essersi acutizzati. Meglio mettere un po’ di distanza. Il vittimismo è un po’ presente, ma non mi sembra essere il problema principale. Qui si proiettano e emozioni spiacevoli e si determinano ruoli antipatici. Meglio non diventarne vittima.
Sono modalita narcisistiche, spesso dettate da rabbie, invidie e gelosie incomprensibili e ingiustificate. Danneggiano gli altri, soprattutto amici, psrtner e famigliari. Occorre distaccarsi o almeno diminuire il piu possibile la frequenza dei contatti.
Sono persone tremendamente infelici e che però vorrebbero trascinare anche te nel loro baratro, se ne fregano se tu hai una tua vita, i tuoi interessi, il tuo lavoro da seguire: loro e le loro magagne vengono sempre prima e saranno sempre più importanti delle tue.
Sono persone per le quali potresti pure uccidere e ucciderti e per loro non sarebbe comunque abbastanza.
Buongiorno, ho letto l’articolo e volevo chiedere: in un rapporto di amicizia frasi come “Se sei davvero mia amica come dici, fai così”, “se mi vuoi bene, fai così/torna la persona che mi piace tanto”, “mi stai deludendo, pensavo mi volessi più bene di così”, “io non ho mai detto di esser perfetta, però”, “pensa come vuoi, visto che non mi credi” e dopo che tu rispondi “posso anche crederti ma vedo i fatti, che non sono molto diversi da come ho scritto”, sentir dire “non meriti altre risposte”… e simili come possono essere considerati? Precisando che questo avveniva sempre quando cercavo di dire cosa non mi andava, mentre l’altra persona diceva sempre cosa non le andava di me, e asseriva di volere io facessi altrettanto…
E una frase come: “hai libero arbitrio con me lo sai, ma ricorda che tutto ha una conseguenza”? Grazie
ci sono ASPETTI DI VITTIMISMO, MA ANCHE DI RICATTO AFFETTIVO E RIVENDICAZIONE… bisognerebbe saperne di più del vostro rapporto. Spero che non vi sia troppo questo clima, altrimenti c’è da chiedersi cosa la lega a questa persona… forse anche lei è una vittima e non riesce a non esserlo’?
Gentile Professore, mi ritrovo perfettamente in questo articolo. Ho conosciuto durante il mio matrimonio (già in crisi) una donna speciale. Ho deciso quindi di chiudere matrimonio con mille sofferenze avendo anche due figlie. Per fare questo c’è voluto del tempo. Ovviamente la persona che mi aspettava soffriva da morire vedendomi ancora in casa con mia moglie fintantoché lei era da sola questo era più che comprensibile. Poi dopo un anno circa sono uscito di casa e pensavo che la cosa portasse felicità e benefici al nuovo rapporto. Ma così non è stato. Questa nuova infelicità era dovuta al fatto che non passavo tutte le sere con lei perché avevo la mia nuova casa. Poi anche questo è avvenuto, ma è subentrata altra infelicità perché non conosceva i miei genitori. Poi anche questo aspetto è stato risolto, ma anche qui è arrivata subito nuova infelicità perché non conosceva le mie figlie e quindi era costretta a stare sola a we alterni, dove diceva che io la abbandonavo, anche se le facevo presente che stavo solo due giorni con le mie figlie. Le ho fatto notare che rispetto a quando ci eravamo conosciuti ero uscito di casa, mi sono separato, aveva conosciuto i miei genitori, figli ecc., ma secondo lei tutto era avvenuto ma troppo tardi. L’asticella si alzava sempre di più. Ora era necessario conoscere le mie figlie (che non volevano vederla), ma alla fine anche questo passo è stato fatto, ma non bastava perché non veniva a a casa mia, alla fine anche questo è accaduto, ma tutto troppo tardi. Le mie reazioni a queste richieste erano proprio come lei dice molto aggressive dove perdevo la calma con attacchi verbali di tutti i tipi in cui entrambi mancavamo di empatia in modo totale. Questo rapporto è durato tre anni in cui per dei periodi stavamo insieme e poi ci lasciavamo quasi incapaci di gestire il dolore che montava sempre di più, io per questo continuo alzare l’asticella e lei perché non riuscivo a saltarla nei tempi che desiderava. Poi vivevamo nello stesso tempo per altri aspetti quasi in simbiosi (we meravigliosi, serata in cui ci bastavamo un amore da cartolina insomma, lei con mille attenzioni verso di me, ma sempre a tempo) . Avevamo programmato dei figli ma a questo punto ho avuto paura che questo alzare l’asticella fosse un atteggiamento infinito e quindi ho detto no. Questo rifiuto ha causato un dolore immenso a questa persona perché avere figli era la sua unica ragione di vita. Da una parte c’è la visione di questa persona meravigliosa, perché è una persona intelligente colta, seria per bene, con mille attenzioni e dall’altra abbiamo questo atteggiamento distruttivo. E’ possibile fare un lavoro non so se di coppia o individuale per vedere anche i “si”o queste persone non riescono a vedere questi atteggiamenti distruttivi o l’unica via è fermare il rapporto distruttivo ? Ma poi chiuso il rapporto queste persone stanno meglio perché non hanno nessuno da incolpare ? Poi evidentemente la patologia c’è anche da parte di chi subisce questo atteggiamento nella speranza che qualcosa prima o poi cambi. La ringrazio per la sua risposta. Complimenti per i suoi libri.
La vostra è una storia complessa e complicata , non si può capirla solo sotto la dimensione del vittimismo. Ci sono fattori affettivi profondi da chiarire. Siccome mi pare che vi siano buoni sentimenti di base, sarebbe un peccato non provare a rinforzarli. Credo che un percorso terapeutico breve di coppia, composto da due sedute individuali ciascuno e due sedute di coppia, una iniziale e una finale potrebbe aiutare molto ad acquisire un punto di vista nuovo e chiarificante.
Molto bella la parabola di Gesù e l’amore spirituale. Ma concretamente che cosa si può fare quando di è costretti a vivere con una persona che ha questa malattia giorno per giorno, soprattutto se non accetta consigli a riguardo, e poi guai a dirgli che è vittimista, perché attiva il meccanismo di vittimista con cui ti attacca dicendo che sei incapace di capirla e sostenerla! E che, ovviamente, sa meglio lei, non puoi avere ragione, a parte che non puoi farla ragionare. Eppure ti dispiace tanto, perché è tua madre!
E se avesse una’altra malattia? Magari, anzi purtroppo anche più grave? Dove ad esempio si dovesse pulire le sue feci, imboccarla? O anche con qualche disabilità che impegna ad aiutare in modo pesante? Oppure un’infermità mentale per cui è pericolosa a se stessa e agli altri? Speriamo di no, e mai. Però bisognerebbe aiutarla facendo il possibile e facendosi aiutare anche da servizi specializzati (possibilmente pubblici). Qui, nel caso del ‘vittimismo patologico’ l’importante è non diventare vittimistici, cioè farsi vittimizzare dal suo vittimismo. La si consola un po’, qualche consiglio, non le si da sempre ragione, ma quasi mai torto. Poi ci si allontana dicendosi impegnati, che si ha da fare e le si ricorda che anche noi abbiamo i nostri acciacchi e problemi. Tutto su misura e con la miglior posologia (cioe si deve staccare)- Inoltre si fa un consulto con uno specialista in modo da adottare una strategia di comportamento su misura, perché ogni caso è specifico. Cari saluti
Buonasera io credo che il mio compagno sia un vittimistico! Ogni volta che gli faccio delle domande o su donne magari conosciute o su cose che possono sembrare di duplice significato… lui mi.incolpa sempre e solo di essere gelosa e secondo lui io parlo cosi solo x che sotto sotto sto.indagando se mi tradisce! Ed invece la maggior parte delle volte non e cosi il.mio vero pensiero ma e’ solo il suo e mi sento sempre data x scontata! E invece … io facevo domande o affermazioni x mera curiosita’ o conversazioni normali ! Ovviamente lui si arrabbiava incolpando che io creavo tutto ! Mi sento troppo data x scontata ogni accusa di essere gelosa mi sfinisce x che devo sempre difendermi x fargli capire che non e cosi! Fa pazzie da queste sue fisse crea un teatro di tragedia e ci riesce x che mi mette nella condizione di reagire! Mi provoca! X poi scappare negarsi e farsi rincorrere ! E le volte che non l ho rincorso mi messaggiava frasi di accuse a lui che io avevo fatto! Da arrabbiata trasformandolo appunto in vittima non carnefice che inizia lui i conflitti! Poi mi dice che vuole chiudere x che e stufo della mia gelosia e che sono troppo stressante! Si immagini lei cosa sto passando!! Aiuto mi aiuti a trovare una soluzione x entrambi grazie! E mi dia la conferma se secondo lei e un vittimista o meno… grazie
Guardi la soluzione si potrebbe trovare solo parlando in un percorso di psicoterapia. Per lei per capire cosa la lega a questa persona, e poi eventualmente di coppia. Comunque è ovvio da quello che lei scrive che la situazione non è normae e va al di là, appunto, dai ‘normali’ crucci e litigi di coppia. Qui non è questione di incomprensioni caratteriali, o equivoci, qui come lei dice si ha che fare con delle ‘fisse’, insistenti, ricorsive e che poi diventano ricatti affettivi e minacce abbandoniche. Lei dovrebbe fare almeno qualche consulto per comprendere se questa situazione è corregibile, e se ne vale la pena, e perché lei si senta costretta a subire certe accuse e certe ‘fisse’. D’accordo che c’è l’amore, però bisogna anche chiedersi perché si resta inchiodati troppo a lungo ad amori che fanno soffrire e diventano tormenti delusivi, in un vicolo cieco, impedendosi anche di tornarre indietro e magari prendersi una pausa di riflessione per vedere se ci sono altre vie. Aiuto dunque in cosa, nel cercare di sfondare il muro alla fine del vicolo? Oppure a comprendere quello che sa già, e cioè che c’è da impazzire in una relazione così? L’unica, ripeto è esaminare la questione con uno specialista, e poi lei potrà valutare cosa sia possibile e giusto fare, per lei e poi per la vostra coppia.
Buonasera dottore, mi rivedo molto nel suo articolo. Mia moglie da anni ha avuto questi comportamenti ma ora la situazione è degenerata. Ha avuto uno scatto di ira ed ha picchiato la madre davanti al padre e a sua figlia di 9 anni e non ha mai accettato la cosa continua a dire che non è vero nulla. Alla mia domanda tua madre e tuo padre come possono aver inventato una cosa simile.. la risposta è stata è colpa tua che gli parli male di me. Continua ad avere comportamenti maleducati e irrispettosi anche verso i miei genitori e messa davanti ai fatti nega l’avvenuto incolpandomi sempre di non crederle di darle colpe che la tratto male ed ha paura di me…. Nei miei confronti è sempre arrabbiata incolpa me di tutti i problemi e non le va bene nulla. Parla male di me a tutti cercando di dioingermi come un mostro pur di negare ciò che combina. Non so piu’ che fare anche perché abbiamo 2 bambine ed è riuscita a creare problemi anche a scuola e dove praticava o sport. Naturalmente perché era un brutto ambiente tutti gelosi etc etc. Grazie.
Occorre che i membri della famiglia espongano questa situazione al medico curante e anche ai servizi di assistenza sociale e della salute mentale. Intanto è opportuno chealmeno un membro responsabi9le della famiglia chieda un consulto ad uno specialista della famiglia, in ambito psicoterapico.
al giorno d’oggi le persone vedono solo la cattiveria nelle intenzioni altrui.
IO SONO UN VITTIMISTA E NE HO APPROFITTATO PER MIETERE UNA VITTIMA CHE HA SOLO TENTATO DI NON FARMI PIU’ RIMANERE VITTIMA DEL MIO VITTIMISMO !!!
Non credo che sia così. Più che altro mi spiace perché mi pare ci sia un sentimento di incomprensione che poi viene espresso aggressivamente. Ci vorrebbe un po’ di consulto terapeutico.
Salve dottore..rileggendo queste preziose informazioni ho capito un po’ la mia situazione.
Il mio ex fidanzato per un anno è stato semplicemente meraviglioso..per 6 mesi invece è cambiato totalemente: scatti di nervosismo, si lamentava dei traumi infantili e sulla separazione burrascosa fra il padre e la madre, si lamentava di tutto, guardava continuamente quello che facevano gli altri e mai se stesso. Ha iniziato a mettere me in discussione, gelosia, aveva sempre paura che lo lasciassi, molto insicuro e tutti ce l’avevano con lui; stava sempre male con lo stomaco e ha iniziato ad incolparmi perchè dipendeva dal fatto che non si sentiva alla mia altezza.
Ma non faceva nulla per cambiare la sua situazione: non lavorava, si rinchiudeva in casa per studiare e basta, inoltre ho notato che mi diceva anche delle bugie.
Ho iniziato a pensare di essere io il problema, tanto che l’ho lasciato dicendogli che aveva bisogno prima di capire cosa voleva dalla vita e di essere felice per se stesso perchè si vedeva che in coppia non era felice. Lui adesso è sparito da un mese ma io mi sento in colpa di non essere riuscita ad aiutarlo perchè lo amavo tantissimo..cosa dovrei fare…
Chiedo scusa, ma questa testimonianza prima non era apparsa.
La ringrazio per la risposta precedente. E’ trascorso del tempo e i sensi di colpa sono scomparsi, non avevo motivo per sentirmi in colpa per qualcosa che dipende solo da lui, non posso gestire i suoi comportamenti e agire al suo posto, solo lui era ed è responsabile di se stesso. Dunque se capirà un giorno che il suo vittimismo lo saboterà in tutto nella vita e comprende il percorso da intraprendere, allora sono contenta per lui, così come lo sono a prescindere se sta facendo quello che vuole anche se non vuole più vedermi.
La ringrazio per l’analogia del senso di colpa visto come una porta da aprire e chiudere a seconda delle circostanze, ne ho compreso solo ora il significato.
Salve dottore..finalmente leggendo queste informazioni ho capito cosa mi é successo. Il mio ex fidanzato, era in alcuni momenti in altri aveva degli scatti di nervosismo quasi aggressivi, si lamentava di tutto, dava colpe alla madre e al padre dei suoi traumi però non faceva nulla per cambiare. Si sentiva frustrato e non lavorava, certe volte mi incolpava di non amarlo abbastanza..un anno e mezzo così, a quel punto ho pensato di essere io il problema, perché spesso mi diceva di non sentirsi all’altezza..nell’ultimo mese non sapevo più come reagire ai suoi comportamenti da sentirmi svuotata e priva di emozioni…l’ho lasciato a malincuore dicendogli che forse non eravamo compatibili a livello caratteriale e che per essere felici insieme doveva prima essere felice lui per se stesso. Lui è sparito e io sento dei forti sensi di colpa..insomma autostima a terra nonostante so di averlo incoraggiato sempre..
Cerchi di non sentirsi responsabile dei suoi problemi. Il senso di colpa è una tematica che va compresa piu a fondo,almeno con qualche consulto. Allora poi lo si riesce a gestire ed anche a considerare come una specie di porta che chiude una stanza personale piena di risorse. Non è che si debba demolire quella porta, ma si deve avere la chiave per chiuderla ed aprirla nei momenti giusti. Adesso mi pare che lei non abbia questa chiave, per trovarla potrebbe essere il caso di farsi aiutare un po’.
Puo anche darsi che il suo ex-fidanzato debba fare un analogo percorso e che poi possiate ritrovarvi.
Un caro saluto
Dr. Brunelli
Gentile Dottor Brunelli,
Complimenti per la sua analisi, devo riscontrare di avere finalmente individuato la psicopatologia che affligge il mio compagno, e di questo la ringrazio.
Mi sono imbattuta nella lettura del suo interessante articolo sul vittimismo patologico dopo anni di ricerche sul tema della malattia psicosomatica, ricerche indotte dal tentativo di comprendere pienamente le dinamiche disfunzionali che affliggono il rapporto che da otto anni a questa parte ho con il mio attuale compagno.
Premetto che non intendo dilungarmi sulla miriade di fattori e aspetti complessi e perciò non sintetizzabili che costituiscono un legame affettivo: questa premessa è dovuta al fatto che sono consapevole di essere parte di un meccanismo psichico innestato sulla reciproca complementarità delle sofferenze, in cui io mi sento patologicamente responsabile di tutto, e di conseguenza, drammaticamente in colpa per tutto ciò che non ho saputo controllare.
Benché sia stata la metafora del senso di colpa come di una stanza privata alla quale poter accedere arbitrariamente a spingermi a scrivere, io sento di fare da contraltare alla situazione del mio compagno (che soprattutto è padre della nostra splendida figlia) che ritengo in qualche maniera e forse a torto ben più grave della mia.
Infanzia con grave trauma abbandonico da parte del padre (che in seguito morirà impedendo qualsiasi possibilità di confronto) cresciuto da una madre a sua volta narcisista maligna e invalidante.
Si figuri che le ricerche che mi hanno portato qui erano in merito a “sindrome di Munchausen indotta e per procura”.
Infatti dopo poco tempo trascorso dalla nostra convivenza sono emersi dei tratti comportamentali bizzarri, legati tutti ad un malessere localizzato a livello addominale ma con crisi di vomito e mancanza di appetito, che lo costringeva a tornare a casa della madre e alle sue amorevoli cure. La prima crisi si è verificata quando sono rimasta incinta e, avendo accolto entrambi con gioia la notizia, lo esortavo ad informare la madre la quale, dal canto suo invece, ha reagito con una crisi di pianto e una scenata alle quali non ho assistito ma che lo hanno scatenato la prima delle crisi di vittimismo patologico alle quali avrei periodicamente assistito da quel momento in poi. Crisi che in realtà hanno una antica origine, ovvero legata ad una circostanza in cui lui da bambino fu portato di corsa al pronto soccorso per una sospetta appendicite, occasione in cui entrambi i suoi genitori, separati da sei mesi prima che nascesse e in pessimi rapporti, si sono radunati al suo capezzale e si sono finalmente impegnati ad andare d’accordo.
È da quel momento che lui ha crisi di mal di pancia inspiegabili visti gli accertamenti tutti di esito negativo: quando è nata nostra figlia, per fare un solo esempio eclatante, fu ricoverato in ospedale e sottoposto a gastroscopia.
Nella descrizione che lei da del vittimismo patologico tutti gli elementi che nel tempo ho potuto osservare tramite esperienza diretta e che lei cita, si ricollocano perfettamente in una chiara visione di insieme: non era semplicemente narcisismo, né ipocondria o puro egoismo. Di questo ne sono sempre stata certa perché la qualità della sofferenza provata dal mio compagno è autentica e ne investe il soma in un modo così travolgente che riesco a capire cosa lei intenda quando parla del comportamento vittimista come di una strategia, sebbene disfunzionale, utile a non perdere il lume della ragione.
Io sono certa di amare questo uomo, se non altro perché insieme a lui ho compiuto il mio atto di amore e gratitudine alla vita più alto, mia figlia, e sono giunta alla conclusione anche grazie ad una separazione durata quattro anni da me voluta, periodo nel quale ho capito che devo cercare di provare ad affrontare la situazione con amore per la felicità di tutti e tre.
E come al solito faccio il suo gioco prendendomi tutta la colpa: se lui non è rispettoso, non mi aiuta, risponde sgarbatamente, svaluta me è nostra figlia costantemente, a volte in modo sotteso ed altre in maniera plateale, sbraita, si lamenta della pulizia e dell’ordine della casa pur non contribuendo minimamente, sulle spese si rifiuta di sedersi a fare i conti ed io puntualmente mi rassegno a spendere molto più di lui pur di non confrontarmi con lui e rischiare di raccogliere le sue provocazioni. Se non si lamenta è arrabbiato per qualcosa.
Io cerco in qualche modo di andare avanti e non farmi scalfire, anche se ho notato con una certa allarmata sorpresa che quando sono preoccupata, triste, in difficoltà… sembra improvvisamente rinvigorirsi e diventare saggio ed equilibrato. Ho sempre pensato fosse un tentativo di manipolarmi al fine di farmi dubitare della mia stessa salute mentale, ma con la ragione sono sempre riuscita a trovare una difesa, suscitando in lui ancora più astio e risentimento e, probabilmente, invidia per la capacità di auto consolarmi che ho sviluppato nel tempo.
Il problema è che l’ultima crisi lo ha portato a ridursi in uno stato di prostrazione tale da mutarne l’immagine di uomo ai miei occhi: nudo, curvo nel letto, con un filo di voce mi chiede di imboccargli l’acqua a cucchiaini. Io ho paura che assecondandolo io gli confermi la credenza delirante che è malato (dopo una gastroscopia gli hanno dato una terapia a base di fermenti lattici e il medico di base prescrive Tachipirina quando ha queste crisi) e quindi mi limito a sobbarcarmi di tutte le incombenze domestiche. Se oso fargli notare che il suo comportamento è dispotico e tirannico e che non si assume nessuna delle responsabilità che condividiamo, addossando sempre a me la colpa di ciò che non va bene e imponendomi in modo passivo aggressivo di farmi carico esclusivamente di tutti i compiti faticosi e impegnativi (fare la spesa, mettere la figlia a dormire, lavare i piatti, buttare la spazzatura… e potrei andare avanti all’infinito).
Sono francamente sfinita e preoccupata per l’autostima di mia figlia e il mio amor proprio.
Perdono se mi sono dilungata e grazie per l’attenzione
La sua analisi è alquanto fine, ma a fronte di ciò non posso che consigliarle un consulto o un percorso specialistico. Infatti quanto più le capacità diagnostiche sono elaborate, come le sue, tanto più le soluzioni e almeno i miglioramenti terapeutici possono essere raggiunti. Le auguro quindi di passare con successo dalla riflessione diagnostica a quella terapeutica.
Gentile Dottore,
ho letto con interesse ed attenzione il suo articolo. Ho rivisto nelle descrizioni che lei ha fornito molti degli atteggiamenti di mia madre. Purtoppo questi suoi comportamenti hanno provocato delle grandi feriti sia in me che in mio fratello.
In particolare con lui che è il primogenito c’è stato un allontanamento durato ben 7 anni ( da quando mio fratello aveva 21 ai 28 anni ) che si è concluso solo con l’intervento di mio padre. Ogni mio tentativo di far riavvicinare mia mamma a mio fratello veniva vissuto come un “dar ragione a lui” ed automaticamente anch’io diventavo una sua nemica.
Ora dopo altri 20 anni di alti e bassi, noi due figli siamo venuti a scoprire che i nostri genitori ci hanno tenuti all’oscuro di un’importante vicenda giudiziaria accaduta a mio padre. Nel momento di un chiarimento, voluto da loro, dopo cinque minuti di confronto mia mamma ha ripreso le sue solite posizioni, accusando prima noi figli di insensibilità, dicendoci che se sapevamo avremmo potuto chiedere e in seconda battuta scagliando la colpa su mio padre, dicendo che lui le ha impedito di parlare con noi. Insomma l’unica senza colpa è comunque lei.
Si è rinchiusa in una stanza ricordandoci che lei è nostra Madre, come ha sempre fatto da quanto eravamo piccoli.
In conclusione, da oltre due mesi, non parla più con entrambi i suoi figli.
Ora, anch’io sono madre di due splendide ragazze, ma non ho mai preteso il rispetto da mie figlie solo perchè le ho messe al mondo. Il nostro è un rapporto fondato sul amore, mi piace donare loro tempo ed attenzioni e vengo ampiamente ripagata dai loro piccoli gesti quotidiani. E’ una relazione che abbiamo costruito insieme nel tempo, con pazienza e cura, nei momenti di incomprensione ci confrontiamo, se riusciamo, ma non utilizziamo inutili musi.
Per quanto sia difficile perchè comunque è mia mamma, sento di non essere più in grado di aiutarla, sempre che sia mai riuscita a farlo. Forse, come Lei mi fa intendere, non è mai facile aiutare questo tipo di persone.
Grazie per il suo articolo e per l’attenzione
Federica
Deve essere stata una situazione molto scioccante per sua madre e suo padre… credo la signora sia anziana, e non si sia mai potuta sfogare per quella storia… adesso si è chiusa in se stessa perché non ha risorse per uscirne fuori…. Bisogna cercare di sopportare e avere il più possibile pazienza. Non pretendere di averla vinta, mostrarsi dispiaciuti e dirle che la si comprende. Farle qualche attenzione in più.
Un po’ alla volta le cose andranno meglio e probabilmente meglio di prima quando quell’Ombra era tenuta occulta. Adesso ovviamente è venuta fuori e fa male, ma se lei comprende e un po’ alla volta gestisce la situazione le cose potranno anche migliorare rispetto a prima. Certo che un po’ di consulto psicologico in questi casi aiuta parecchio.
Un caro saluto
Dr. Brunelli
Grazie mille, gentile Dottore per la sua risposta
Federica
Gentile Dottore, frequento da 6 mesi una donna che rispecchia in pieno le caratteristiche del suo interessantissimo articolo. Io mi riconosco nella parte del consolatore. Ho deciso di lasciarla perché ho bisogno di condividere l’esistenza con una persona che abbia un approccio più positivo nei confronti della vita e penso che lei ci soffrirà molto. Potrebbe consigliarmi un modo per lasciarla che, invece che distruggerla e basta, possa anche offrirle degli stimoli di crescita personale? La ringrazio molto!
Innanzitutto bisognerebbe che io ne sapessi di più della vostra storia. Io credo che quando si lascia ciascuno debba fare del suo meglio per limitare le ferite nell’altro. Questo vuol dire non colpevolizzarlo, non farlo sentire insufficiente o disprezzato, riconoscergli i meriti, ringraziarlo per quello che comunque ci ha dato. Spiegare che è una scelta dovuta ad un proprio stato interiore. Talvolta è bene concedersi un periodo di riflessione, in modo che il distacco non appaia netto e senza speranza alcuna. Comunque, vittimista o no, è bene avere rispetto e considerazione dell’altro e di se stessi. Spiegare che non si vuole ferire, scusarsi e dispiacersi, ma ad ogni modo non cedere all’idea di dover stare insieme per ricatto affettivo o per minacce vittimistiche. Se la persona è troppo instabile è bene avere un contatto con amici o parenti affinché possa avere un supporto. Per qualche tempo, seppure limitando al minimo, può anche essere giusto e sano concedere di sentirsi. Tuttavia occorre poi un periodo medio-lungo di pieno distacco. Successivamente può anche capitare di diventare amici, ma quando l’attaccamento è ormai ben decaduto.
Salve, mi chiamo Emi e ho davvero bisogno di un consiglio.
Un mio stretto familiare rispecchia alla perfezione la descrizione fatta nell’articolo.
Voglio aiutarlo, ma come scritto nell’articolo, appena cerco di fargli capire che il suo comportamento è sbagliato, comincia ad urlarmi contro negando tutto.
Non so piú come
Ogni caso va esaminato in modo approfondito, non ci sono consigli in generale. Comunque visto che lei sa che la reazione è quella, meglio non forzare il tentativo di fargli capire che sta sbagliando. A che serve se non a peggiorare le cose? Si può tentare in un momento tranquillo, prendendola larga di farlo riflettere, come se si trattasse di questioni generali, che non lo colpevolizzano in modo specifico. Per il vittimista assumersi una responsabilità è insostenibile, lo fa peggiorare in vittimismo o esplodere in aggressività.
Ho 55 anni.Sono stato consolatore per quasi tre anni ed alla fine la mia ex compagna (54 anni) ha addirittura minacciato di denunciarmi per essere uno stalker. Non venivo creduto neanche dai miei più cari amici ed ho rischiato di ammalarmi per tutto ciò. Ho incontrato una brava terapeuta che mi ha condotto in questo mondo, ma facevo fatica a staccarmi perché l’amavo e speravo di portarla fuori dal baratro.
Finalmente ieri la svolta…un caffè ed una chiacchierata con il suo ex marito con cui ha vissuto per 20 anni ed ha avuto due figli. Le nostre esperienze semplicemente ……identiche. L’ho lasciata da due mesi dopo varie minacce da parte sua di denunce . Fino al 7 di marzo ero “casa sua” ed ero il primo uomo della sua vita che la faceva sognare…..il 15 maggio dovevamo comprare una casa al mare con vista mozzafiato (cosa che ho fatto da solo)……da 15 giorni già sta con un altro uomo.
Gentile Angelo
da quello che scrive io le auguro di tenere duro, di non avvilirsi, di farsi forza e di superare questo periodo che comprensibilmente può essere destabilizzante. Adesso lei avrà una persona che vale la pena consolare, perché lo merita, e questa persona è proprio lei Angelo.
Se lei si impegna con il suo ‘Angelo’ interiore, questi le corrisponderà e le darà soddisfazione. Il vittimismo diventa patologico quando è inconsolabile e se la prende con i suoi consolatori. Se lei davvero si impegna a gratificare e ad avere cura di se stesso, lei in cambio riceverà riconoscenza dal suo inconscio, e questo la porterà in una dimensione con nuove possibilità e certamente migliore della precedente.
Un caro saluto
Direi che sia proprio la strada giusta. Visto che è andata dallo psicologo 4 volte negli ultimi 15 anni ma puntualmente e’ scappata dopo poche sedute. A febbraio mi ha chiesto di andare con lei e quando le ho detto di sì non è voluta andarci più. È’ dura uscirne ma ci sto riuscendo anche perché nella vita ho affrontato un tumore oltre 12 anni fa, ho perso mia moglie 8 anni fa di tumore ed ho cresciuto tre ragazzi…l’unico dispiacere vedere di essere trattato così ma ho capito che lo fa perché l’ho messa con le spalle al muro mentre con tutti gli altri riesce a stare con la maschera ed a ingannarli. Le sue amiche in particolare non vogliono parlarmi perché il colpevole sono io che l’ho fatta soffrire e la opprimevo….buon percorso a coloro che si trovano ancora in situazioni simili a quella che ho vissuto io
Io mi ci rivedo in questa descrizione in prima persona. Non so davvero come cambiare questa cosa… Ho fatto psicoterapia in passato perché ero troppo chiusa dal momento in cui ho iniziato a farla comunque qualcosa in me si era sbloccato e iniziavo a relazionarmi con più persone, e dopo una decina di sedute ho deciso di interrompere. Ora però mi rendo conto che mi comporto in questo modo soprattutto con le persone che mi sono più vicine. Vorrei risolvere questa mia situazione… Spesso si sente dire sii te stessa e tutto andrà per il meglio; ma se io sono una persona orribile o abituata ad esserlo? Cosa mi consiglia?
Straordinario! Lei solo per il fatto di riconoscersi in certi aspetti è già oltre metà dell’opera per superare questo modo di reagire alle difficoltà della vita. Tutti, chi più e chi meno, diventiamo un po’ vittimisti in certi momenti o in certi periodi, e vogliamo essere un po’ consolati. L’importante è non entrare in conflitto con gli altri, comprendere i loro limiti, essere grati lo stesso se quello che ci possono dare non corrisponde pienamente a ciò che vogliamo. E poi ricordarsi che si deve fare un po’ a turno, cioè certe volte si è un po’ vittima, d’accordo, ma altre volte si deve essere consolatori e semmai, accettare che sia l’altro fare un po’ la vittima. Insomma l’importante è riconoscere quando si esagera e riequilibrarsi. Anche chi fa troppo la parte del consolatore non deve esagerare, e dovrebbe accettare di farsi consolare d altri. Purtroppo capita che quando per un periodo si è stati troppo da una parte o dall’altra, vittima o consolatore, si formi intorno a sé una specie di vuoto o di contesto che sembra non poter più mutare. Bisogna avere pazienza e lavorare un po’ alla volta per cambiare la situazione. Soprattutto se si è stati troppo vittimisti per un periodo medio-lungo, può capitare che gli altri in un primo periodo non riescano a credere del mutamento, allora bisogna perseverare in questo nuovo atteggiamento, e i risultati positivi non tarderanno ad arrivare: nuovi e più armoniosi rapporti con parenti ed amici, e poi una nuova scoperta di se stessi.
A meno che non abbia realmente commesso azioni irreparabili )che cìhanno un tempo di espiazione e riparazione interiore più lungo) inizia a non pensare a se stessa come una persona orribile ma con dei problemi pda risolvere,come tutti, indipendentemente dalle loro caratteristiche. Potrebbe altrimenti, venir confernata in questa credenza mentre il suo, è un bisogno di evoluzione interiore e interpersonale, come tutti gli altri esseri umani, accompagnato forse, da un senso di frustrazione ed empasse. Magari, potrebbe riprovare a farsi aiutare da uno psicologo o da un counselor o, se è una persona molto religiosa, anche da un sacrdote da cui si fida molto. Qualcuno insomma che possa aiutarla a sbloccarla da questa visione negativa un pò troppo assolutistica che ha di sè ed a migliorare la sua autostima. In tal modo, eventualmente, se a volte le capita di fare la vittima in modo che le sembra appesantire un pò le altre persone senza sapere come uscirne. anche questo dovrebbe migliorare sentendosi più sicura. Comprendendo ed accettando i suoi limiti e quelli degli altri.
Buonasera dottore,
le scrivo perché ho letto il suo articolo e ho trovato una corrispondenza quasi perfetta con il comportamento dell’uomo che sto frequentando da più di un anno. Pensi che sono arrivata su questa pagina impostando come chiave di ricerca su google “perché si accusano le persone di cose che non hanno fatto.”
Sono una persona che ama razionalizzare molto e comprendere le cause che muovono il comportamento mio e di chi mi sta intorno, e per quanto ci pensassi proprio non riuscivo a capire quale potesse essere il tornaconto psicologico di alcuni comportamenti che il mio compagno mette spessissimo in atto e che si stanno rivelando sempre più pesanti e difficili da gestire per me. In particolare non riuscivo a comprendere che cosa potesse spingere una persona a ricercare nella partner delle colpe inesistenti, arrivando al punto da inventarsele appigliandosi a pretesti minimi e posticci pur di poterle muovere delle pesantissime accuse.
Io mi ritrovo molto spesso in questa situazione. Ho avuto spesso l’impressione che il mio compagno inventasse deliberatamente delle mie mancanze allo scopo di potermi attribuire la colpa di ogni sua sofferenza oppure, alternativamente, allo scopo di “perdonarmi” in modo da poter vantare nel futuro una sorta di credito nei miei confronti. Comprendo adesso il grandissimo valore manipolatorio di un comportamento del genere.
Il mio compagno, che attualmente ha 35 anni, ha trascorso un’infanzia sicuramente difficile e abbastanza traumatica caratterizzata dall’abbandono del padre che ha creato una nuova famiglia con un’altra donna, con la quale ha avuto delle figlie. Mi rendo conto adesso, dopo la lettura del suo articolo, che tutti gli elementi coincidono: lui non fa altro che sottolineare in maniera molto esplicita quanto tutti i suoi familiari lo maltrattino e lo tengano in scarsa considerazione. Il tipo di accusa che muove più frequentemente nei miei confronti è quella di ignorarlo, non interessarmi a lui, mi accusa inoltre di egoismo e ingratitudine, tutte accuse che mi hanno causato moltissima sofferenza: ero perfettamente consapevole che non c’era niente di vero, ma la sua manipolazione (è una persona di grandissima intelligenza e di conseguenza un abilissimo manipolatore) mi ha portato addirittura a chiedermi se non stessi effettivamente ferendolo senza neanche accorgermene.
Purtroppo nel nostro caso si verificano le peggiori dinamiche di cui lei parla nell’articolo: se viene messo anche solo vagamente di fronte a una propria responsabilità, il mio compagno può diventare estremamente aggressivo e verbalmente violento, spingendosi a dire cose di inimmaginabile crudeltà. Arriva ad assomigliare a un animale ferito che lancia morsi a caso cercando di sbranare chiunque gli capiti a tiro: soffrendo anche di un problema di gestione della rabbia, in alcuni momenti perde completamente la capacità di ragionare e può ferire molto chi gli sta accanto.
Ciò che complica moltissimo questa situazione è che i nostri sentimenti reciproci sono davvero molto intensi e la volontà di costruire una relazione duratura è seria e ferma da entrambe le parti. Devo aggiungere che quando non è, mi passi il gioco di parole, vittima del proprio vittimismo, quest’uomo è una delle migliori persone che io abbia mai conosciuto: premuroso, umile, di animo nobile, generoso, pronto ad aiutare e assistere gli altri, capace anche di inattesa leggerezza, divertente e infinitamente stimolante.
Purtroppo però la convivenza sta diventando per me estremamente difficile, perché ho la sensazione netta di trovarmi in una casa degli specchi: da qualunque parte io scelga di andare, prima o poi andrò a sbattere. Qualunque comportamento io scelga di adottare, e per quanto impegno e attenzione io possa usare nel relazionarmi a lui, arriverà il momento in cui sarò accusata in maniera pesantissima di qualche altra mancanza (solitamente lui non si limita a una specifica circostanza: non è mai “in questa occasione sei stata egoista” ma, utilizzando un minimo pretesto qualsiasi, l’accusa è immediatamente “sei un’incredibile egoista, mi rovini la vita col tuo egoismo” e via discorrendo.)
Mi perdoni per la lungaggine: mi sarebbe molto utile, se lei ne ha il tempo e la possibilità, avere un consiglio su come poter gestire questa situazione prima di raggiungere l’esaurimento delle mie risorse e delle mie energie e ritrovarmi costretta a rinunciare a questa relazione.
Ovviamente il mio compagno non ammetterebbe mai nemmeno un centesimo del suo problema; si tratta tra l’altro di una persona per la quale chiedere aiuto rappresenta una delle peggiori onte e umiliazioni alle quali un essere umano si possa sottoporre. Ammettere di avere dei problemi irrisolti che lo portano a comportarsi così non è una possibilità che considererà mai.
La ringrazio per il suo tempo,
Carla
Gentile Clara, non mi è possibile dare consulti senza almeno una visita approfondita. Qui io partecipo in veste di moderatore per facilitare lo scambio di testimonianze, di solidarietà e per intervenire su questioni che riguardano tutti i casi in generale. Il suo caso riguarda poi una relazione di coppia della quale non ho informazioni sufficienti. Posso solo dire che le convivenze sono sempre una sfida difficilissima, oggi più che mai e che quindi si ingenerano dinamiche complicate dove si può passare dal vittimismo alle colpevolizzazioni reciproche e ad altro (cioè a cose peggiori). In questi casi la cosa più ovvia che bisognerebbe fare, è di separarsi per quel minimo di tempo necessario che consente di riflettere senza continuare a ferirsi. Di certo servirebbe un consulto di coppia e anche individuale per approfondire. Sembrerebbe comunque che i sentimenti ci sono, ma manca forse la volontà o la possibilità di affrontare queste crisi con la ragionevolezza e quindi anche con un consulto psicologico. Vi auguro di superare questo periodo, ma anche di comprendere che in certi casi è bene chiedere l’aiuto nella sede normale, cioè in presenza e con un colloquio, di una figura specialistica.
Buonasera Dottore,
è due anni che mi frequento con un ragazzo. Dico ‘frequento’ in quanto in questi due anni il rapporto non è mai decollato e abbiamo spesso litigato non sentendoci per alcuni periodi.
Inizialmente non capivo il comportamento del ragazzo e mi arrabbiavo con lui, fino a quando, dopo alcune ricerche, mi sono imbattuta nel suo articolo che descrive esattamente la sua problematica.
Mi trovo davvero in difficoltà perché tengo a questo ragazzo ma non so come fare per affrontare la situazione. Mi sento impotente e volte una buffa stalker!
Ho seguito i consigli che Lei fornisce nel blog ottenendo qualche risultato, seppur temporaneo. Il ragazzo trova sempre mille scuse per non vedermi e non affrontarmi, però mi vuole tenere li buona e si arrabbia persino se esco una sera a cena con mio padre. Mi chiede scusa se è sempre impegnato ma dice che è un periodo nero ecc ecc (Le garantisco che non ci sono motivi così gravi per considerare il periodo così nero!!)
Cosa mi consiglia di fare? Crede che pormi come una vittima anch’io e continuando ad insistere sperando di riuscire a vederlo ed entrare più in confidenza con lui possa essere un atteggiamento giusto per ottenere qualche risultato?
Mi fa tenerezza perché so che soffre e credo che nessuno oltre a me possa aver compreso la situazione e quindi possa aiutarlo.
La ringrazio anticipatamente per la Sua risposta e continuerò a seguirla.
Non ho elementi precisi per pronunciarmi. Credo che possa valere la pena approfondire la relazione, e comunque prendersi un p’o’ di tempo per vedere se con pazienza e comprensione certe dinamiche possano migliorare oppure no. Dopo tutto due anni avranno significato una crescita e una condivisione positiva, magari ci sono ostacoli che si sono irrigiditi e che però potrebbero essere trasformati e il più possibile superati.
Salve, ho trovato il suo articolo molto utile e interessante, perché sto frequentando una persona che manifesta molti aspetti descritti perfettamente con le sue parole. Nelle ultime settimane, questi comportamenti vittimistici sono cresciuti esponenzialmente a causa di suoi malesseri fisici di cui non conosciamo ancora la causa, ma la cui responsabilità viene ormai quotidianamente attribuita più o meno direttamente a me. Ha iniziato ad allontanarsi molto da me e a concentrarsi esclusivamente su se stessa e su questo problema, ma ho provato a mettere da parte le mie esigenze per starle vicino e aiutarla ad affrontarlo, tuttavia ho ottenuto solo un crescente rigurgito di odio nei miei confronti, incrementato dal fatto che questi fastidi e dolori le stanno rendendo difficile lo svolgere serenamente i suoi impegni lavorativi e il coltivare i suoi interessi. Sembra che ogni mio tentativo non faccia che peggiorare la situazione: se la assecondo chiedendole come sta, lei continua ad accusarmi pesantemente, se provo a farle capire che è solo un problema passeggero, vengo accusato di non capire e di minimizzare, se provo a parlare d’altro, allora lei chiude il discorso e torna a parlare dei suoi fastidi accusandomi di voler far finta di niente. Ieri per fortuna è stata meglio, e mi è sembrata un’altra persona, le è tornato il sorriso, non mi ha colpevolizzato di nulla, ha ammesso di aver esagerato e si è detta dispiaciuta di esser stata fredda ed egocentrica. Speravo che la mia pazienza avesse avuto effetto, ma oggi, col presentarsi nuovamente di questi fastidi, ha iniziato gradualmente ad accusarmi. Francamente ora non so come comportarmi: avendo raggiunto l’esasperazione, le ho detto fermamente che per aiutarla a capire che tipo di problema possa essere io ci sono e lo faccio volentieri, ma che non ero più disposto a sentirmi accusare e colpevolizzare. Non so come comportarmi; se la assecondo, sono sicuro che, come ha già fatto, continuerà ad aggredirmi fino a farmi raggiungere presto l’esasperazione, ma se la ignoro, temo di perderla, perché si sentirà abbandonata. Come dovrei comportarmi secondo lei?
Grazie in anticipo per la.sua risposta.
In questi casi, quando ci si sente sopraffatti non bisogna sopravvalutare se stessi, bisogna rendersi conto che il carico è troppo. Va alleggerito diminuendo il contatto, anche adducendo scuse e giustificazioni un po’ manipolatorie, in quanto l’altro reagisce con componenti sue infantili. Ad esempio trovare la scusa che si h mal di denti o che si deve fare un lavoro urgente o non funziona la macchina o c’è sciopero. Bisogna insomma prendere respiro e poi tornare ad aiutarla, ma facendo capire che non si è di ferro e che ci sono anche i propri problemi e crucci da affrontare. Può allora capitare che l’altro (il vittimista) capisca e voglia restituire la comprensione e il sostegno, e quando scoprono di riuscire ad aiutare fanno un passo avanti in più rispetto a quello che potrebbero fare (ma che non fanno – restando nel vittimismo quando sono troppo aiutati).
Buongiorno, Ho letto il suo articolo, e ho trovato un senso di sollievo nel trovare finalmente un profilo identificabile con quello di mia madre.
Tutto è iniziato (o almeno ha iniziato a lasciarmi un segno indelebile) il giorno che mia madre provava a suicidarsi, io ero sola a casa con lei, avevo 7 anni all’epoca…non so spiegare il resto…so solo che per me è stato come esser trascinata in un burrone al buio…lei proiettata su di me tutte le sue frustrazioni, tutte le sue insicurezze…facendomi sentire sempre in colpa per i suoi stati d’animo…ancora lo fa.
Utilizza tutti i mezzi per farsi del male e farmi ancora del male.
Ovviamente nessun familiare mi è mai stato di aiuto a questo problema, perché tutti vedono lei come “vittima” di una cattiva figlia, di un cattivo marito, parla male di noi con tutti.
In adolescenza questo suo modo mi ha portato ad essere molto ribelle, dentro di me scatenata il ragionamento “ok se sono una figlia così schifosi non mi rimane che esserlo” facendo ogni tipo di maranello per poterle dare fastidio…quando invece crescendo ho capito solo che le facevo un favore potersi appoggiare tutte le sue accuse sulla mia ribellione.
Senza parlare delle insicurezze che mi portava.
Il dolore di non sentirmi mai amata. Il dolore di non riuscire a consolarla. Il dolore di non essere stata quella figlia che lei vorrebbe.
Ricordo nella fase scuole elementari-medie che al ritorno, guai se fossi tornata a casa felice.
“Io soffro e tu sei felice?…schifosi figlia che sei.”
Ci sono ferite a cui non riesco più a ricucire.
Oggi ho 31 anni, sono sposata, sono madre di 2 meravigliose creature che riempitone la mia vita di colori.
Il fatto è che proprio oggi che sono madre non riesco ancora a spiegarmi come una madre possa comportarsi così.
Io credo di non poter essere il suo aiuto.
Lei prova ancora oggi a farmi del male.
Nessuno dei miei parenti mi parla e ogni tanto le prende di dire a mio marito e ai miei figli che sono una persona cattiva.
Questo mi fa allentare sempre di più da lei…anche se posso capire che è una malattia.
Già perché è questo che tutti fanno, la compatiscojo e dicono “eh vabbeh lei è così, lei è debole, lei è sensibile”
Credo invece di non aver mai sentito sensibilità in mia madre. L’ ho percepita molto di più in mio padre tipo taciturno.
Io le scrivo per avere un aiuto…una impronta su dove potermi muovere, vorrei fare qualcosa ma non so cosa. Il fatto è che lei è mia madre e non un semplice estraneo da cui potermi allontanare.
Pochi giorni fa, presa di rabbia nell’osservare i suoi atteggiamenti nei miei confronti..anzi in realtà cercava proprio di farmi perdere la pazienza…le dissi che mi piacerebbe parlare con una persona adulta che si prende la responsabilità delle proprie azioni, lei ovviamente dice che sono cattiva e che non voglio bene che sono ibrida e a tutte le sue accuse ormai rispondo che io le servo e mi ha creata solo per scaricare il suo vittimismo.
Nei giorni a seguire lei o si fa venire le crisi oppure per intossicazione di farmaci finisce sempre in ospedale, così poi può dire che ha la figlia che fa schifo e può tornare ad avere in motivo per farsi compatire.
Poi sono figli unica e non ho nessuno.
Lei è assente con me, con i bambini e inventa sempre qualcosa per dire che lei sta male o che deve andare da sua mamma e dalle sue sorelle.
Inoltre solo pochi giorni fa ho scoperto che a lavoro si prende delle giornate libere dicendo che deve sempre tenere i bambini miei, quando invece passa mezz’ora prima di andare a lavoro 1 volta a settimana.
Così va da sempre. Cosa posso fare? A chi posso rivolgermi?
Posso solo rispondere in modo simile al commento precedente. Bisogna capire che la madre vittimista e problematica ci crea ferite che poi vanno curate. Allora possiamo poi fare del nostro meglio per ‘curare’ anche la madre. Ma finché non curiamo quelle che lei , seppure involontariamente, ci ha procurato non possiamo curare le sue, per quanti sforzi facciamo per sopportarla.
Ciao, sono federica, ho 33 anni, e pure mia madre è così. diversi tentativi di suicido da quando frequentavo le scuole medie. mi ha rovinato la vita perchè non sono stata in grado di reagire. uscivo di casa con l’incubo di tornare e trovarla impasticcata o bevuta. e questo ha provocato in me una sorta di auto difesa: non le raccontavo più nulla per paura che facesse chissà cosa. anche perché quando era in quello stato usciva e mi vergognavo tantissimo che la gente la vedesse così e non sapevo cosa fare. la prima volta che è successo ero a casa con delle mie amiche e l’abbiamo trovata sul divano bevuta e si era fatta la pipì addosso. immagina tu una bambina di prima media che non capisce solo poi ho chiamato mio padre ed è arrivata l’ambulanza a prenderla. ho passato il liceo così e l’università è stata un fallimento, perché non avevo ne ho autostima, ho paura di iniziare qualsiasi cosa. ho sempre fatto da cuscinetto tra i miei genitori pur di non vederli litigare per paura che lei reagisse così, prendendomi responsabilità che non erano mie. il matrimonio dei miei è ovviamente andato a rotoli, lei ha tradito mio padre e ancora oggi lo fa, mio padre le ha detto di andarsene e lei non lo fa. se la affronto mi minaccia mi punta il dito dicendo: beh e io vado a buttarmi sotto il treno, o vado ad uccidermi, è quasi un ricatto. Lei dice che non le ho mai voluto bene che non la ho mai difesa, anche a mio padre dice le stesse cose, ovviamente è sempre colpa di qualcun altro. perfino i tradimenti li giustifica così… io se la guardo provo rabbia e schifo. mi ha rovinato la vita, io oggi non ho nessuno e h perso il mio sogno. ho una pesantezza addosso che mi schiaccia anche se cerco di dirmi che a 33 anni posso ricominciare a vivere ma il problema è che non ci credo.
Bisogna capire che nei vittimisti c’è un bambino ferito che è diventato ricattatorio e distruttivo. Bisogna armarsi di pazienza, sgridarlo, ma anche dargli bacini ed esprimere tenerezza, anche se è un adulto. E’ difficile non risultare goffi e inautentici, ma è il solo modo per tranquillkizzarli. E’ come se dovessero essere assicurati che sono voluti bene. E’ difficile perché finiscono con il farsi detestare, eppure bisogna trovare quello spiraglio per arrivare al loro cuore infantile.
Bisogna capire che nei vittimisti c’è un bambino ferito che è diventato ricattatorio e distruttivo. Bisogna armarsi di pazienza, sgridarlo, ma anche dargli bacini ed esprimere tenerezza, anche se è un adulto. E’ difficile non risultare goffi e inautentici, ma è il solo modo per tranquillizzarli. E’ come se dovessero essere assicurati che sono voluti bene. E’ difficile perché finiscono con il farsi detestare, eppure bisogna trovare quello spiraglio per arrivare al loro cuore infantile.
Sono la mamma di una ragazzina adolescente che io e mio marito amiamo profondamente.
E’ carina, intelligente brava a scuola e a detta degli insegnanti dotata di forte autostima ( per noi non così forte). In classe non ha mai trovato sincere amicizie ma era riuscita a creare relazioni preferenziali.
Poi 10 giorni di Erasmus in Germania e al ritorno tutto è cambiato ( a suo dire).
Ora è vittima di tutta la classe si sente sola depressa i compagni non la cercano più e l’andare a scuola le crea ansia.
Ogni mattina ritarda l’uscita da casa, ha attacchi di ansia e quando torna è un continuo raccontare di episodi in cui lei è vittima dei compagni a cui, a suo dire , non sa cosa ha fatto.
Non abbiamo chiaro come comportarci: supportarla in questo atteggiamento denigrando i compagni forse aumenterebbe questo stato di isolamento, ma contestare il suo vittimismo non fa che peggiorarlo.
Che fare?
Grazie in ogni caso
Una mamma forse troppo preoccupata?
Chiedere al medico curante e alla direzione scolastica affinché al più presto la ragazza possa parlare con uno specialista.
Salve, ho trovato molto istruttivo il suo articolo e mi ha suscitato delle domane. come faccio a capire se la mia autocritica è simulata? ci si può rendere da soli conto di essere vittimisti cronici? c’è un altro modo di uscire da questo stato che non sia la terapia?
Vede, il solo fatto che lei si metta in discussione indica che le sue eventuali forme di vittimismo sono trasformabili e moderabili. L’importante é che diventiamo più consapevoli di noi stessi. poi ognuno ha i suoi difetti e magari si può essere anche in po vittimismi in certi periodi o in certe situazioni. Riuscire a correggerli il più possibile indica che non si è in una condizione meramente patologica.
Buongiorno,
leggo oggi questo articolo per caso, la cui argomentazione mi tocca da vicino, avendo un familiare che incarna alla perfezione la descrizione da lei fatta.
Mi ha rincuorato leggere la sua puntuale ed accurata descrizione della patologia, per le famiglie coinvolte l’estrema difficoltà è quella di chiedere aiuto, di far capire all’esterno del nucleo familiare che la situazione è deleteria per tutti i soggetti coinvolti.
I ruoli si confondono, non si riesce a distinguere il torto dalla ragione, e cercando di dare il proprio aiuto, si lede ancor di più la sensibilità del vittimista.
La mia domanda è… come fare ad approcciarsi a questa patologia, come e a chi chiedere aiuto…
La ringrazio.
Chiedere il sostegno di psicoterapeuta o psichiatra. Informarsi. Costruire in se stessi una difesa terapeutica, consistente nella maggior consapevolezza che si sta facendo fronte ad un disturbo del parente, e quindi armarsi di pazienza. Ma rispettare se stessi, non prestarsi sempre a farsi colpevolizzare e usare. Trovare scuse e affermare il proprio diritto e i propri doveri per potersi occupare delle proprie cose. Non bisogna consentire di farsi ‘dissanguare’ quotidianamente. Bisogna trovare una giusta misura sopportabile per le proprie possibilità. Recuperare con il contatto con persone ed energie positive, al fine poi di poter prestare le giuste attenzione al parente vittimista, senza restarne troppo destabilizzati. In cverti periodo è necessario staccare, allontanarsi. Se non è possibile bisogna diminuire comunque i tempi della relazione.
Gentile dottore, sono una ragazza di quasi 17 anni, sto attraversando un periodo abbastanza buio. Le scrivo perché mi sono isolata e mi sono accorta che tendo sempre ad incolpare altri per la mia condizione e giustifico persone con menti disturbate. Secondo lei, ‘soffro’ di vittimismo patologico?
Una ragazza di 17 anni è ovviamente in un periodo di crescita e trasformazione. Tenga presente che anche se lei ormai è in una post-adolescenza, nella psicologia dell’età evolutiva oggi l’adolescenza viene considerata come una fase che può andare ben oltre i 20 anni… L’errore che si può fare e allora quello di fissarsi credendo che le cose non possano cambiare o abbiano preso una piega che non si può più ‘stirare’… Io non conosco il suo caso specifico, ma il fatto che lei legga, si informi, si ponga delle domande denota la voglia di capire e di approfondire. Questo è un passo fondamentale, che non si cura di fare chi entra nella posizione del viittimismo patoloigico. Credo quindi che lei abbia bisogno di sentirsi compresa su questioni sue personali, di parlare con fiducia a persone che stima, di essere ascoltata e di ascoltare qualcuno e più di uno che abbia più esperienza e che appare come un modello positivo. Non mi riferisco ad un guru o ad un santone, ma a persone che possono essere recepite con affetto e stima. Talvolta è difficile trovarle, sono certamente poche, ma spesso tocca a noi scoprirle e possono essere più vicine a noi di quanto non pensiamo. Per una lettura interessante sulla posizione dell’adolescente nella famiglia, nella società e nella scuola le consiglio LA FAMIGLIA ADOLESCENTE di Massimo Ammaniti https://www.lafeltrinelli.it/libri/massimo-ammaniti/famiglia-adolescente/9788858120668
Mi chiedo quale sia la differenza tra ‘vittimismo patologico’ e stile evitante. Qualche ragguaglio?
Possono coesistere, ma non è detto che coincidono. Uno può avere anche uno stile evitante, che esclude gli altri, senza considerarsi vittima degli altri, ma magari superiore agli altri. Queste domande sono naturali, ma nascono dal fatto che applichiamo le categorie classificatorie delle etichette psichiatriche come dei vestiti calzamaglia che vanno aderenti a ciascuno, come una specie di sagoma… invece dovremmo considerare il ‘vestito psicologico’ di ciascuno come un insieme di vari indumenti, di varie fogge e marche, cioè come l’intersecarsi di più etichette che vanno a calzare in ciascuna personalità a modo suo. In tal senso più che considerare una personalità evitante, narcisistica, vittimistica, borderline, ecc. dovremmo parlare di uno stile di personalità incline ad un certo quadro, ma sempre considerando l’importanza di un mix di fattori che rende unico e assoluto quel quadro di personalità, per cui l’incasellamento in una sola etichetta o quadro precostituito risulta sempre riduttivo, parziale e al fine anche fuorviante se vogliamo capire l’autentica soggettività di quella persona.
Per le amiche e gli amici di Albedoimagination un ‘dono immaginale’ per un viaggio di trasformazione interiore: tre audiovisivi + sessione di ‘autoartherapy’ ispirati al libro di Pier Pietro Brunelli (Psicoterapeuta), Se l’amore diventa un inferno (Rizzoli, 2016) e con le musiche originali di Enten Hitti (Pierangelo Pandiscia, musicoterapeuta)
https://www.albedoimagination.com/2016/12/viaggio-immaginale-tra-inferno-e-paradiso/
Bravo dottore: sei equilibrato ed hai mostrato a volte che anche tu non ce la fai! Comunque ora io ho 59 anni con alcuni problemi di salute, madre di 87 con altzeimer ,vittimista ed accumulatrice cronica da 45 anni. Per sopravvivere debbo attuare vari distacchi etc. perchè è dura essere attaccati quando si lavora a pro. inoltre con figli in età difficile alla fine per stare appresso a tutti rischi di rimanerci sotto e poi, a te, chi ti risolleva? insomma bene che se non si ha un pò di sano egoismo sti vittimisti ti ammazzano!
Buon lavoro e grazie per il conforto. Alla fine ti tornerà tutto, come diceva D’Annunzio, ho ciò che ho dato..
Buon lavoro, vedrà che tornerà tutto… scusi il ritardo, ma ho avuto un bel da fare in questi giorni. Saluti e ci faccia sapere, confidando in un miglioramento, in particolare della sua capacità di contenere le difficoltà nel miglior modo possibile.
Attenzione a non sentirsi e comportarsi come vittime di chi consideriamo, secondo il nostro parere, lenostre reazioni ed emozioni, parere che non può mai essere oggettivo solo in base a letture ed interazioni che per qualsiasi motivo ci fanno soffrire , come vittimiste (non esiste una patologia ufficialmente riconosciuta in tal senso ma si può riconoscere una certa tendenza in alcuni depressi ed in alcuni narcisisti – con modalità e fini diversi -oppure per via di una rabbia repressa) al fine di deresponsabilizzarci e proiettare sull’altro le proprie ombre ancora ignote o che saventano o delle quali non vogliamo portare il carico o dalle quali vogliamo prendere le distanze. Bisogna stare sempre molto atenti a non usare una qualsiasi diagnosi o presunta tale “contro” qualcuno, sia esso coniuge o altro tipo di parente o amico. o collega. Si può finire in circoli viziosi relazionali dai quali poi può essere molto difficile uscire, per impulsività o per sfogare le proprie frustrazioni temporanee, magari sommate a quelle passate, o per convinzioni errate o perchè vorremmo “aggiustare” l’altro. E di conseguenza, noi insieme all’altro. E’ bene riflettere su questo e chedere aiuto a dei professionisti seri e preparati e con i quali ci troviamo bene, per capire cosa ci sta realmente accadendo e cosa possiamo fare per superare la nostra situazione personale e relazionale. Del resto, è sempre nel relazionale che si può capire l’uomo nel bene e nel “male”.
Sono perfettamente d’accordo con le importanti raccomandazioni della Dr.ssa Elisa, coautrice con me di questo articolo. Vorrei aggiungere, per ricordarlo, in quanto nell’articolo c’è scritto che non esiste una diagnosi di ‘vittimismo patologico’, noi abbiamo cercato di individuare ed esaminare un quadro sintomatico che presenta la tendenza più o meno accentuata a colpevolizzare, ricattare, svalutare e aggredire gli altri – in modo più o meno esplicito – per il fatto che effettivamente ci si trova in una situazione di malessere, che non è simulata, è reale solo che la persona si pone in una relazione conflittuale – questo inconsciamente – con chi potrebbe o vorrebbe aiutarla, o effettivamente l’aiuta. Ogni caso va compreso esaminadolo nella sua specificità, soprattutto bisogna assolutamente evitare di considerare come ‘vittimista patologico’ chi non lo è , e si trova invece in una effettiva difficoltà nel poter richiedere e ricevere comprensione, conforto e sostegno, e talvolta anche per incapacità e mancanza di attenzione degli altri. Quindi siamo in un campo dove bisogna sempre esaminare il rovescio della medaglia, che c’è sempre, anche se le cose possano apparire evidenti ed essere lette solo da un verso… l’analisi psicologica è una questione molto delicata, che va ponderata nella specificità di ogni caso soggettivo, perciò etichette e quadri diagnostici debbono essere sempre messi in discussioni e tagliati a misura della complessità di ogni persona, che ha sempre diritto di essere compresa e aiutata se è in difficoltà, anche qualora fosse un ‘vittimista patologico’ al 100%. I parenti, gli amici e i terapeuti di una persona che tende ad un simile quadro devono comunque avere una visione chiara della problematica e quindi non restare soggiogati da dinamiche frustranti e depressogene che il vittimismo patologico da noi inquadrato tende a determinare.
Buongiorno,
Da oltre 15 anni sto con mia moglie (da 8) e mai come leggendo questo articolo ho riscontrato molti aspetti del suo modo di fare.
Non so se il suo sia vittimismo patologico a 360° perchè è spesso una donna allegra e spensierata ma nei momenti bui – anche frequenti comunque – tende ad attribuire tutto all’esterno, spesso a me, senza sentire ragioni o cercare di capire l’interlocutore, reagendo in maniera aggressiva anche in situazioni apparentemente “sotto controllo”.
Prima di oggi non avrei saputo dare un nome a tutto questo anche perchè, e qui entro in gioco io, io esco da un percorso di psicoterapia cognitivo / comportamentale di un anno che mi ha permesso di meglio focalizzare i miei “disturbi” (carattere da rompiscatole, impositivo, spesso inutilmente “fissato” su sciocchezze, etc.) ai quali però ora viene attribuita la responsabilità di tutto. Proprio ultimamente, grazie al mio stare meglio, è emersa rabbiosa “l’invidia” con il “tu stai bene perchè hai potuto scaricare addosso a me tutto quanto, guarda come mi hai ridotto” e concetti simili… Io, ancora prima di terminare il mio percorso e prima di leggere questo interessante contributo, ho iniziato a proporle di intraprendere un percorso di psicoterapia ma ormai l’argomento è tabù: “Io sto bene, se non ci fossi tu la mia vita sarebbe perfetta”. Io, che ho una tendenza a ‘sottomettermi’, annuisco e accetto tutto questo ma covo rabbia che è tra i motivi che mi hanno portato alla terapia.. ma pur riconoscendo tutti i miei errori e le mie responsabilità (che con l’arrivo di un figlio sono anche aumentati) nei suoi disagi, non riesco a capacitarmi di essere “l’unica causa di problemi”..
Come posso aiutarla ad identificare la necessità di essere supportata? E’ una donna estremamente intelligente e razionale ma non riesco a trovare la chiave di volta.
Grazie per qualunque contributo vorrà darmi.
Un saluto.
Aggiungo un’importante dettaglio: nei momenti in cui io sono “quasi impeccabile” esiste comunque qualcosa, sempre al di fuori di sè, che non va per il verso giusto. Certo, un’importante emicrania abbastanza invalidante non aiuta il quadro generale ma resta l’attitudine ad essere vittima sempre di qualcuno o qualcosa che sia se stessa.
Un saluto.
Si tratta di relazioni davvero problematiche. Basta una piccola cosa e si scatenano accuse, colpevolizzazioni, ricatti affettivi, malumori che rendono cupa la vita in generale. Al fine credo che le persone che hanno a che fare con persone patologicamente vittimiste necessitano loro stesse di essere terapizzate, e comunque di essere informate molto bene su quanto certe relazioni possano essere disturbanti. Tuttavia ogni caso va esaminato con un’analisi attenta. Non è mai giusto basarsi solo su articoli e letture e affibbiare etichette psicopatologiche agli altri, per quanto possano calzare a pennello. E’ sempre bene farsi un’idea, ma poi rivolgersi ad uno specialista, almeno per un consulto.
Caro Antonio, cosa intendi quando affermi di essere “quasi impeccabile” con sua moglie? A me sembra un’affermazione molto generica, difficle da capire nella sua specificità al di là del fatto che essa può indicare un “comportarsi bene”, “andarle incontro” oppure, “sottomesso”? O “guidarla?” Potresti cercare di chiarire un pochino questo aspetto?
Inoltre, in che senso tua moglie tende ad essere anche vittima di sè stessa, secondo te e la tua esperienza? Grazie, un caro saluto ed a presto.
Nel mese di settembre ho posto fine a una relazione con una persona dopo un anno per ragioni simili a quelle indicate nei suoi contributi. Fin dall’inizio hanno dominato diffidenza, rifiuto di accollarsi responsabilità, sospetti, accuse di mancanza d’empatia, di sentimenti ecc. ecc. I momenti belli e di abbandono erano spesso rovinati da litigi improvvisi, molto civili sempre, ma dominati da osservazioni della partner del tipo: “Sei freddo, sei solo razionale, non ho stima di te, non mi fido di quel che dici e sono prevenuta con tutti perché ho subito troppi torti”. Il clima era pesante e si ripercuoteva sull’intimità, ricercata ma faticosa, circondata sempre da momenti di ordinaria tensione emotiva. Impossibile poi parlare con lei di amici, amiche o simili, si sentiva inadeguata culturalmente, manipolabile e sempre in dovere di dimostrare qualcosa. A un certo punto ho deciso di tagliare, evidenziando le ragioni con chiarezza e decisione. Nei primi giorni successivi alla rottura lei, sorpresa e rabbiosa, si attribuiva le responsabilità e parlava del suo carattere, del suo passato. A mia volta io ammettevo anche le mie pecche e sembrava una situazione di reciproca maturità post finem della relazione. Dopo un mese io ho cercato di capire se ci fosse ancora qualche possibilità di riavvicinarmi a lei (che è veramente una figura importante per me), ma ho trovato un muro fatto di accuse lapidarie verso di me che ho “cestinato un anno della sua vita” e detto “solo cazzate”, nessuna apertura e attacchi continui per difendersi. Insomma, come se lei avesse ripreso le modalità conflittuali che aveva quando si stava assieme, riproducendole su una scala diversa. Lei è priva di input razionali, dice che la vita è solo emozione e che il pensiero limita tutto, non vuole assolutamente parlare di noi e si affida a frasi molto maleducate e consapevolmente eccessive per ferirmi, come in una vendetta tutta istintiva e incoercibile.
Cosa si potrebbe fare in questi casi?
La ringrazio per la pazienza nell’aver letto questo intervento.
Si può cercare di avere tanta comprensione e sopportazione, ma il rischio oltre una certa soglia è di cadere a propria volta in uno stato di disequilibrio e sofferenze. Le persone che sono afflitte da un quadro di tipo vittimistico , con le diverse forme soggettive, con pazienza e affetto e tatto, andrebbero indirizzate verso un sostegno psicoterapico e a volte anche psichiatrico. Non vanno trattate come ‘matte’, ma bisogna capire che sono sofferenti e spiegare loro che possono davvero stare meglio se si appoggiano alle giuste cure psicoterapiche, e, come dicevo, i certi casi anche psicofarmacologiche (sempre essendo seguite dallo specialista).
Anche chi le assiste con affetto ha comunque bisogno di consulti e un sostegno reciproco, proprio per limitare gli effetti disturbanti sulla propri salute psichica.
Cordialissimi saluti
Buongiorno dottore,
Le scrissi esattamente un anno fa per un problema con mia madre.. tutto è iniziato dal fatto che durante un corso fatto insieme mia madre ha cominciato a dare in escandescenza quando io parlavo con gli altri partecipanti al corso, questo è stato l’inizio del mio incubo.
Ho cominciato a ricevere giornalmente messaggi di come io carnefice l’avessi fatta sentire con i miei comportamenti, lei che aveva lasciato questo corso ha cominciato a lavorare su di me per farmi sentire in colpa e tentare di farmelo lasciare.. ma siccome la cucina è’ la mia vita io sono andata avanti.. a gennaio le ho chiesto di darci un taglio, perché non mi sentivo neanche più sicura dei miei sentimenti per mio marito, al che sono andata da lei sfogandomi da figlia con sua madre.. questo ha comportato una serie di comportamenti da parte sua agghiaccianti.. e’ andata alla ricerca di alcuni diari che tenevo quando avevo 16 anni e da questo ha tracciato un profilo di me veramente pessimo.. ho confessato di avere una simpatia per una persona , lei è andata in giro a dire a parenti, conoscenti e amici che io ero una poco di buono, dando Man forte a mio marito, chiamandomi al lavoro per insultarmi pesantemente tutti i giorni anche più volte, per non parlare dei messaggi e delle volte che mi aspettava sotto casa, mi ha perfino rigato la macchina facendomi un danno non indifferente.. ha tentato il suicidio due volte, sempre di domenica e davanti a mio padre.. io non so più cosa fare, non ho l’appoggio di nessuno, amici e parenti che mi ritengono responsabile di tutto.. ho persino pensato di sparire da tutto e da tutti perché non ho più una vita.. non c’è mai una parola gentile nei miei confronti, solo rinfacciamenti e ripicche e io mi sento un topo in trappola.. non so davvero fino a che punto potrò andare avanti così..
La sua breve testimonianza merita di essere esaminata in profondità. Quanto lei scrive non può essere altro che la manifestazione di irrisolti inconsci e che non possono essere compresi ad un livello di superficie, e di fatti evidenti. Vi è una condizione sottostante che va compresa attraverso un percorso terapeutico che prenda in esame i vissuti, le fantasie, i sogni, le relazioni con gli altri membri della famiglia. Così come per sciogliere una matassa bisogna trovare il bandolo, provare sciogliere, e riprovare incontrando intrecci e lacci e nodi, così va fatto per una problematica familiare e genitoriale.
riconosco perfettamente queati comportamenti in mia madre. le cose sono cominciate a peggiorare quando mi sono trasferita col mio compagno e adesso sono irrimediabilmente compromesse da quando sono madre…il mio compagno mi ha aperto gli occhi e l ha cacciata di casa pochi giorni prima del parto..ora io sto cercando di nn risponderle più al telefono e di inziiare una terapia a mia volta per uscire da questa situazione…per fortuna ho una buona autostima ma il pensiero di essere o diventare come lei mi tormenta..è in cura x la depressione ma nn so se chi la segue abbia davvero capito con chi ha a che fare…è diventata cosi perché vittima di jna madre narcisista che la picchiava a sua volta ma questo nn può giustificare il suo comportamento con me..ovviamente alterna feroci attacchi verbali volti a denigrarmi con scene teatrali in cui dice che la istigo al suicidio e che quando sarà morta me ne pentirò…la solita manipolazione. quello che mi crea ansiavisto xhe ho anche una bimba di 2 mesi è sapere se una persona che ha questo disturbo può arrivare a compiere un gesto estremo di violenza nei miei confronti se nn ottiene da me quello che vuole..in più chiama sempre mio padre dal quale è divirziata x raccontargli che io la tratto male che io la faccio discutere che io le rinfaccio continuamente le cose e lei invece non si prende mai la responsabilità di quello che fa..è colpa del suo passato o del diavolo che le fa dire cattiverie…o mia che rinfaccio il passato..per lei bssta un sms di scuse e nn parliamone più…salvo poi continuare a comportarsi come sempre..un lamento continuo un vittimismo che ha del patologico…e ogni volta che squilla il telefono mi viene l ansia…solo a pensare di parlarci mi viene l ansia…so che è malata.e x questo x me è difficile uscirne ma poi penso che ho una figlia e devo pensare a lei a me e al mio compagno oppure farò la fine di mia madre e nn voglio… in più mi dice che sono depressa e che sono plagiata dal mio compagno perchè sente che nn ha più il controllo su di me. forse sapere che lei è comsapevole di questi comportamenti mi farebbe state meglio..invece penso che è malata e.ne è vittima a sua volta…e allora ecco il senso di colpa. ma secondo lei farle leggere l articolo servirebbe?
Ho avuto modo di risponderle brevemente. Spero che le cose vadano meglio e che lei riesca a trovare quel distacco psicologico che le consentirà di gestire meglio la problematica. Ma l’energia per questo obiettivo lei la può trovare dall’affetto che può vivere nella relazione con il suo bimbo e il suo compagno. Ciò va coltivato e protetto e questo le darà forza e consapevolezza per migliorare la relazione con sua madre il più possibile, e comunque, per sopportarne nel modo migliori gli aspetti problematici.
Care amiche e amici di Albedoimagination,
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perché sono il risultato di un grande lavoro, che nasce anche attraverso la vostra partecipazione a questo blog. Per favore se potete diffondete il link sui vostri social.
Grazie
Un caro saluto con solidarietà
Dr. Brunelli
salve dottore,avrei veramente bisogno di una vostra risposta per liberarmi definitivamente da un senso di confusione che si è creata dopo un’amicizia che rispecchia tutto quello che avete descritto nel testo e cioè io consolatrice e lei vittimista patologica.
Diciamo che in parte avevo capito la personalità di questa persona ma non sapendo che era una vera e propria patologia(l ho scoperto da qualche mese grazie a queste letture) il nostro rapporto è arrivato inevitabilmente alla rottura proprio nel modo in cui lei lo descrive e cioè che mostrandole dei miei disagi lei ha iniziato a svalutare la nostra amicizia e con parole fredde e crudeli a giudicare i miei sentimenti ed è stato proprio questo a far scattare in me la rabbia e le ho detto proprio in questi termini “non ti permetterò più di sputare sul mio cuore”e che non avevamo più niente da darci!
Da dire che questo non era i primo litigio ma ce ne sono stati altri dove proprio come descrivete voi mi faceva venire dei sensi di colpa e io sempre a chiedere scusa lei mi perdonava nella sua grande bontà!!…
Stavolta invece ha toccato troppo crudelmente i miei sentimenti e ho chiuso quest’amicizia in modo rabbioso….lei risponde “come volevasi dimostrare, tu abusi troppo delle parole cuore ed amicizia ,e comunque sono io che non tollero più questi tuoi modi e questi toni,quindi buone cose….e un ‘amicizia si costruisce non si inventa”…..queste le sue parole!!….senza prendersi o considerare minimamente qualche sua responsabilità!!…la mia ultima risposta è stata “i fatti parlano il resto solo chiacchiere ,buona vita anche a te e comunque si finisce qui!”
L ‘ho davvero coccolata sempre con gesti e parole,e in qualche volta l ho capito la paura dell’abbandono che hanno queste persone e dopo queste letture ora ancor di più!
Venendo al punto sono ormai 4 mesi di no contact con questa persona che mi manca un pò ad essere sinceri perchè nelle fasi di equilibrio sanno comportarsi molto bene ….
Quindi dottore come mi devo comportare ?Lei a conclusione del passo del Vangelo di Luca conclude che dobbiamo cercare di far vincere il bene sul male cercando di raddrizzare la schiena a queste persone……ma in molti dicono di scappare da queste relazione tossiche,
diciamo che adesso conoscendo in profondità la sua patologia credo potrei veramente capirla di più e tenere più a bada le arrabbiature che ti fanno venire……..ma lei crede che se più in la le porgessi un rametto d’ulivo lo accetterebbe?………..
Da aggiungere un’altra cosa importante il rametto d’ulivo glielo porgerei senza più scuse ne pentimenti perchè non ne ho!!…grazieee dottore aspetto una vostra illuminante risposta.
Ad un certo punto, o almeno per alcuni periodi, bisogna staccarsi da queste persone e pensare a se stessi e a chi merita il nostro aiuto. Queste persone, per quanto sofferenti sono in preda a energie distruttive, all’insegna di un feroce egoismo vampirizzante, che per saziarsi deve far soffrire gli altri e si placa solo nel venire a conoscenza di disgrazie e catastrofi altrui, che danno loro un senso di sollievo (loro sentono di stare meglio). Finiscono con l’odiare la persona che li aiuta perché la invidiano in quanto giacché è soccorrevole starebbe meglio si loro. La schiena a quel punto si incurva ancora dei più per farti pagare la tua superiorità, rendendoti incapace e frustrato di aiutare… anche perché alla fine decidono che a te non fregava niente e che facevi solo finta o il minimo pur di apparire più forte e importante, e che se stati benino è solo perché sei un’egoista ipocrita e senza cuore. Talvolta solo una terapia o ambienti purificanti, dove circolano amore e gratitudine e umanità, possono ripristinare il danno ricevuto da vittimisti patologici, specialmente quando sono parenti, che inducono sensi di colpa, ansie e insicurezze. Sono dei malati, ma possono diventare anche dei maligni… a quel punto un bel ‘vade retro Satana” è quel che ci vuole, non perché loro siano dei diavoli, ma perché colludono con energie malefiche e distruttive dalle quali bisogna prendere le distanze. Che si facciano aiutare da terapeuti e che li paghino. Altrimenti devono imparare che se vogliono aiuto devono comportarsi bene con chi glielo può dare facendo del suo meglio, quando esagerano nel non capire questa semplice reciprocità, meglio abbandonarli a se stessi, alle cure dei medici, e se uno ci crede, dire una preghiera per loro, che Dio li aiuti… e poi dedicarsi a fare del bene dove questo può poi crescere e dare i suoi frutti.
Gentilissimo Dottore,
Le scrivo un commento per due ragioni: volevo ringraziarLa per tutto quello che significa l’immenso lavoro fatto per avere creato questo utilissimo spazio di informazione e sostegno.
La seconda ragione è per dirLe che queste sue righe…mi hanno davvero commosso. E’ molto difficile che un essere umano sappia davvero comunicare sostegno e Lei mi ha fatto l’effetto di un oasi nel deserto. Lei è un vero Angelo reale e concreto. Spero e Le auguro di tutto cuore che tutto il Bene che lei fa e opera quotidianamente La accompagni nel presente e nel suo futuro moltiplicato infinitamente.
Un abbraccio immenso
GRAZIE
E va bene… anche lei è riuscita a commuovere me e mi è venuta la lacrima ad effetto ‘ collirio che fa gli occhi belli’…spero. Le auguro tanta luce di gioia e amore.
Dr. Brunelli
Grazie dottore ,avevo davvero bisogno di una sana risposta ,grazie.
GRAZIE,Dottore avevo davvero bisogno di questa sana e chiarificatrice risposta in questo mare di confusione e guerra che riescono a creare tra mente e cuore.
Un grande sollievo e senso di chiarezza nelle sue parole! GRAZIE
Gentilissimo dottore ,sono una mamma di 2 bimbi splendidi.
Purtroppo riconosco nel maggiore di 6 anni questi atteggiamenti di vittima ,soprattutto da quando è’ iniziata la scuola .con lui ho sempre avuto un rapporto un po altalenante ,non sono mai riuscita a capirlo fino in fondo .
Ho pensato che la causa possa essere stata una mia depressione post parto .
Sento che è’ come se avesse paura dell abbandono e dice sempre che non lo ascolto ma non è così .
Vorrei aiutarlo a dissipare queste incertezze che sono sicura lo fanno soffrire ,ma non so che atteggiamento adottare con lui .
Mi aiuti per favore ,soprattutto perché viglio spezzare questo circolo vizioso ,per lasciarlo crescere in serenità .
Grazie per l articolo ,mi ha permesso di capire tante cose e di analizzarmi .
Veronica
Cara Signora
i bambini, gli adolescenti e gli anziani vanno considerati relativamente alla loro età, e quindi al loro ciclo di vita, perciò un eventuale loro vittimismo o piagnucolosità non può essere strettamente riferita all’articolo che lei ha letto. Da quello che lei scrive non mi è possibile capire il perché suo figlio ha questo atteggiamento, non si sa il ruolo del padre, della scuola, dei nonni, di tutto l’insieme famigliare e ambientale. Detto ciò, lei può fare tutto quello che compete ad una madre che vuole correggere ed educare certe tendenze di un bimbo che possono essere disequilibrate. Accontentarlo e capirlo quando è il caso, altre volte sgridarlo e fargli capire che i ricattini vittimistici non funzionano, insomma non dargli sempre torto, ma volte sì , a volte no, e a volte una via di mezzo. L’importante è che non si abitui ad imporsi e a manipolare attraverso ricatti vittimistici.
Buonasera, dopo tante ricerche ho trovato questo articolo che rispecchia a pieno i comportamenti del mio ragazzo! Io ho 22 e lui 26 anni e vive ancora con i suoi genitori! La cosa che mi preoccupa da tempo è il suo atteggiamento! Lui non se ne rende conto ma la gente che gli sta intorno si, compresa me. Ha sempre avuto un atteggiamento di prepotenza e arroganza con tutti , specialmente con chi gli sta intorno ,e ultimamente è anche aggressivo! Si arrabbia per motivi che neanche esistono. Fin ora mi ha sempre accusata di tutto facendomi credere che fossi io il problema, mi ha privato di uscire con le mie amiche, per lui ho dovuto anche eliminarmi da facebook perchè ogni mi piace di semplici amici era sinonimo di tradimento, in quattro anni le liti sono state tante e ovviamente cercava sempre di avere ragione arrivando a farmi piangere. Ora siamo in una fase abbastanza critica, è successo che circa due settimane fa io ero a lavoro di sera perche sono cameriera, e lui per riempire le mie ore di assenza andava nei bar tanto che una sera uscita da lavoro ho visto una bella collana alle bancarelle e con i miei soldi l’ho comprata, lui ubriaco, non felice di questo mio acquisto mi ha cominciato a urlare perchè per lui erano soldi (i miei tra l’altro) spesi male, cosi mi ha portata in vie secondarie del mio piccolo paese e per un bel paio di ore non ha fatto altro che urlarmi, strattonandomi e tirandomi schaffi e calci! Mia mamma è venuta a sapere di questa storia e ovviamente l’ha presa male e mi ha detto di lasciarlo perchè non è una persona tanto normale, tant’è vero che adesso è allontanato da tutti! Ho paura per questo non è una persona che può stare sola e mi ha ribadito più volte che se l’avessi lasciato si sarebbe ammazzato! Purtroppo dopo 4 anni la mia pazienza è terminata ma sto con la paura che possa davvero fare qualcosa di brutto! Vorrei fargli capire che i suoi atteggiamenti verso me e verso tutti, non sono normali. Spero possiate darmi un consiglio al più presto. Buona serata.
Gentile Lorena sarebbe bene che lei leggesse anche altri articoli in questo blog e comprenderebbe come può essere pericoloso è doloroso insistere nel portare avanti relazioni disturbate e così problematiche come quella che lei descrive. Le auguro di riflettere e anche di cercare e di ascoltare i consigli di persone di saggezza e che le vogliono bene in modo che lei incominci a capire che deve pensare a se stessa e non lasciarsi intrappolare in una relazione che come lei descrive sembra essere veramente tossica e senza possibilità di migliorarsi. Un caro saluto con solidarietà
Buongiorno Professor Brunelli,
solo una domanda: è bene parlare esplicitamente e in modo diretto di questi meccanismi inconsci con la persona affetta da questa” patologia”? Nel caso specifico a una persona che ha fatto studi di filosofia/teologia, spiritualmente molto lucida e consapevole di un’autodistruttività causata da problemi di abbandoni e relazioni inaffidabili fin dall’infanzia ma che non riesce a superare.
Grazie infinite per l’articolo pubblicato, mi sono sentita meno sola.
E’ sempre sbagliato e controproducente psicoanalizzare l’altro con etichette demonizzanti e negative, senza peraltro fare autocritica: Meglio parlare di complessi derivati dall’infanzia che generano difficoltà erotico-affettive. Nessuno è disposto a lasciarsi linciare con diagnosi colpevolizzanti e a senso unico, ne verrebbero fuori solo difese ad oltranze e contro-accuse che non portano a nulla di buono. Meglio sempre parlare di reciproche incomprensioni e difficoltà psicoaffettive personali aventi loro radici nell’infanzia e in aspetti caratteriali in ombra quindi incosnce e non di negatività premeditte e cattive).
Sono molto preoccupata per mia sorella, che amo con tutto il cuore e che vorrei capire come aiutare nel modo più utile ed efficace per lei e nel contempo più giusto per entrambe, il suo dolore e la sua sofferenza totalizzante sta compromettendo la mia relazione costruita lottando con tutte le forze per affrontare e superare le stesse sofferenze che ha passato lei, siamo sorelle e io essendo più grande sono stata sempre il suo rifugio/capro espiatorio. La situazione si è aggravata da quando quasi tre anni orsono, il suo fidanzato che era la sua salvezza dal dolore della vita, l’ha lasciata. Sono anni che tento invano di aiutarla a reagire ma ormai odia tutto e tutti… temo di commettere per il grande affetto che le porto degli errori alimentando involontariamente il suo stato d’animo negativo. Adesso mi sento smarrita anche io, le cose peggiorano e non ho più argomenti ormai, inizio a sentirmi spaventata per lei. Vorrei scriverLe in privato per spiegarle meglio la nostra storia, siamo persone molto riservate e non mi sento di esporre qui nonostante l’anonimato… E’ possibile? Grazie molte.
Cara lettrice, come faccio a rispondere in privato a decine di mail. Non ho una rivista a pagamento, la mia vita è già troppo impegnata come vedi a cercare di diffondere articoli e a sostenere gratuitamente forum. E’ anche per me necessario guadagnarmi da vivere con le sedute professionali (se no come potrei andare avanti?). Naturalmente cerco di venire incontro sempre, come posso. Intanto qui si possono avere informazioni e scambiare idee e già questo aiuta. Poi ricevo tante mail e telefonate, ma non ce la faccio proprio. Mi spiace che le persone soffrono ed anch’io in certi momenti mi sento vampirizzato anche perché continuano a plagiare i miei articoli , a copiare e a travisare come vogliono e poi si fanno siti e pubblicazioni dove sembra che sappiano tutto loro e che io sono sconosciuto o del tutto secondario o manco citato Mi scuso, ma per le ragioni che se vorrete lei ed altri potrete leggere devo inserire il seguente link: https://www.albedoimagination.com/wp-content/uploads/2016/04/MONITO-TdN.pdf – Comunque scrivete le vostre storie e testimonianze, fa bene confrontarsi. Io come posso risponderò e vi sarò vicino con solidarietà.
Mi scuso qualora la mia richiesta l’abbia fatta sentire oppresso…La mia era una domanda su una eventuale possibilità di inviare una mail, non conoscendo il sito ed il suo funzionamento, ho scritto di getto spinta dal momento di difficoltà, tra l’altro non mi sono mai aperta prima tra estranei e non è stato affatto facile. Con la mia domanda involontariamente le ho scatenato una scarica di frustrazioni . Non era mia intenzione approfittare più di quanto le fosse possibile, la ringrazio anzi per avermi risposto e le auguro di risolvere le sue problematiche di vampirizzazione e plagio. Un cordiale saluto
Gentile lettrice, non è che mi sono sentito oppresso è che nel rispondere a lei ho voluto anche rispondere ad altre persone. Capisco tantissimo che le persone abbiano bisogno di sostegno, ma non posso farcela a fare di più, e ringrazio per la fiducia che mi si dà.
Io credo però che anche nel blog, con gli articoli e con il dialogo del forum si ottengano ispirazioni e consigli per trasformare le proprie difficoltà. Ciò avviene soprattutto quando le persone vogliano cercare di aiutare un po’ le altre con la propria esperienza. Testimoniare un proprio vissuto, in forma anonima, riscontrare solidarietà, osservazioni, notare che vi sono similitudini con quello di altre persone vuol dire dare un senso ed un valore alla propria esperienza. Questo è già terapeutico. Da parte mia, come moderatore e responsabile, allora posso intervenire, sapendo che un consiglio o un’osservazione per una persona aiuta anche cento altre. Invece se queste cento altre mi scrivono privatamente, non solo non ce la farei a dare risposte efficaci, ma nemmeno a studiare e a scrivere gli articoli che possono aiutare, ed inoltre si perderebbe il senso della solidarietà terapeutica di partecipare, di condividere, di capire insieme. Un caro saluto a lei e a tutti i partecipanti.
L’articolo, come tutti quelli del blog è interessantissimo e illuminante. Purtroppo ho trovatoa volte un pò ostica la lettura perchè vi sono dei periodi ridondanti e che si ripetono. Le consiglio di rivederlo perchè è un peccato.
Grazie! Per caso non mi potrebbe aiutare e segnalarmi alcuni punti da rivedere. Gliene sarei molto grato, e aiuterebbe tutti.
Sign Pier Pietro Brunelli, secondo me l’intervento sul vangelo si dilunga un po’. Per il resto è stata una lettura interessante e appagante. Lei è una persona molto gentile , disponibile e umile.
Grazie. Quell’intervento sul vangelo in effetti mi tocca molto personalmente perché richiama una persona che per me è molto importante e che veramente è arrivata a farsi venire una forma di grave deformazione alla spina dorsale, (piegata in due) perché per vittimismo stava sempre a testa bassa e piegata senza mai volersi far curare veramente, quasi che quella posizione le servisse meglio a colpevolizzare gli altri. Ma bisogna sempre sperare di poterli aiutare, anche se è molto dura, e che qualche forza buona li aiuti.
Ma non è che quella persona a cui la schiena si è piegata in due, soffriva di spondilodistesi e spondilite che involontariamente le facilitava quell’atteggiamento posturale piuttosto tipico dei depressi gravi, che sentono un peso insopportabile e spesso non guardano davanti a loro? E a volte, neanche l’interlocutore?
I depressi chiedono aiuto, o comunque se ne stanno tristi e consentono a chi vuole aiutarli di provarci… non mordono, non aggrediscono, non colpevolizzano, non invidiano, non tramano… quando invece ci si difende dalla depressione attraverso un vittimismo aggressivo, manipolatorio, mortificante per gli altri ci troviamo nell’ambito di un disturbo della sfera relazionale in senso narcisistico e paranoideo. Ad un livello sottostante incombe la depressione, ma per non farla emergere si paga trascurando ostinatamente la propria salute (o eccedendo negli ausili terapeutici) e generando stress, frustrazione e infelicità negli altri, in particolare negli amici, parenti e terapeuti che tentano di aiutare. Qualora il soggetto riuscisse a spogliarsi delle sue difese vittimistiche-anche grazie ad una terapia adeguata – in prima istanze emergerebbe la depressione latente e con ciò aumenterebbe la disponibilità a relazionarsi con reciproco affetto e quindi a lasciarsi aiutare con gratitudine, senza piu odio, invidia, e assurda rivendicatività.