Da molti anni mi occupo di NARCISISMO PATOLOGICO NELLA VITA AMOROSA, COME STUDIOSO E COME TERAPEUTA, E HO INDIVIDUATO e proposto la diagnosi di TdN: “trauma da narcisismo” . NEL CORSO DEL TEMPO HO OSSERVATO COME GLI ASPETTI PSICOSPIRITUALI E PSICOPOETICI DELLA VITA AMOROSA SIANO ESSENZIALI PER UN PERCORSO DI DIAGNOSI E CURA VOLTA A UNA RINASCITA PERSONALE DEL SE’. Mi ha ispirato in modo speciale Adriana Mazzarella con la sua analisi ‘psichica’ della Divina Commedia, questa maestra della Psicologia junghiana ci ha fatto comprendere come la figura di Beatrice rappresenti per Dante la “funzione trascendente” che attraverso ‘eros e psiche’ coniuga l’amore terrestre, con quello celeste. Ho poi ripreso ed elaborato questo insegnamento a riguardo della specificità della sofferenza e dei traumi amorosi, nel mio libro SE L’AMORE DIVENTA UN INFERNO (Rizzoli, 2017).
Secondo Dante, le anime dannate che hanno vissuto l’inferno di amori tossici, distruttivi, vampirizzanti hanno in effetti ceduto al peccato della lussuria. Diciamo che si sono lasciate tentare da ‘forze demoniache’ che hanno trasformato la relazione amorosa in una ‘città dolente’. La ‘cura dantesca’ passa attraverso il Purgatorio, luogo della sofferenza consapevole, quindi della ‘diagnosi’, fino al Paradiso Terrestre. Ciò che gli dà la forza è l’amore sensibile e intellegibile per Beatrice, la quale, con la sua beatificante diventa la stella suprema che guida la via della sua evoluzione animica. Beatrice quindi rappresenta la sapienza dell’amore e quindi la consapevolezza della sua potenza vitale e spirituale nei sensi e nell’anima. Il fine ultimo della terapia del trauma amoroso è la rielaborazione e la interiorizzazione di una nuova visione dell’amore, quella che proviene dalle luci degli spiriti amanti del cielo di Venere in Paradiso.
La figura di Beatrice per Dante rappresenta la via suprema dell’equilibrio paradisiaco in terra, nel mondo delle anime viventi che si congiungono attraverso l’amore terrestre a quello delle eternità celesti. Non si tratta quindi disgiungere la carne dallo spirito, ma di non cadere nelle polarizzazioni estreme, per tendere a loro congiugimento nell’esperienza di vita di ciascuno. Quando l’amore diventa diabolico, il ‘peccato’ di chi lo subisce è nella lussuria dei sensi e dei sentimenti che lo lega in un amore tossico e vampirizzante. La cura allora presume una re-visione angelica del suo modo interiore affinché possa riarmonizzare la sfera erotico-affettiva che è stata traumatizzata. Continuiamo dunque a lasciarci ispirare dal grande poeta anche nella seduta terapeutica. Comprendiamo lo stato interiore di una persona ferita mortalmente nei sentimenti, ed il processo che ella faticosamente compie per guarire, e che il terapeuta deve accompagnare.
Il ‘paziente’ si ritrova – spesso nel mezzo del cammino della sua vita (Ma anche ad ogni età) – in un inferno amoroso al quale non può sottrarsi- le dolenti note dei lussuriosi vv.25-72 Secondo Cerchio dell’Inferno). La persona colpita da una traumaticità amorosa geme come un’anima dannata e non sa comprendere come sia possibili essere incatenata amorosamente al suo tormentatore, al suo vampiro. Nello specifico si tratta duna persona il cui attaccamento si è esasperato nel corso di una dinamica relazionale narcisistica. Il narcisismo del partner distruttivo lo ha vampirizzato, ma il suo proprio narcisismo ferito e debole, lo ha reso complice colluso, in una lotta impari volta a convertire il vampiro, a trasformarlo in un innamorato sufficientemente buono, o almeno sopportabile. La sconfitta giungerà in seguito a numerosi assedi e battaglie perse, come un’agonia che non porta alla morte, quanto al senso di morte in vita.
Il paziente che si sente in tal modo afflitto, si interroga senza tregua per trovare una risposta su come abbia fatto a cacciarsi in quel girone buio, sbattutti da un vento infido, da tempeste marine, visitato da rapaci e sempre sull’orlo degli abissi. Cercano di capire le cause della loro condizione per trovare le radici da estirpare al loro male, ma quantunque le incontrino ritornano ad essere presi dalla passione per quella malapianta, e, anziché strapparla la approfondiscono.
La persona che nella sua vita incontra nelle sue innumerevoli forme e dinamiche, una o più volte, quella dannazione amorosa che lo condanna ad essere preda di passioni che lo incatenano al suo vampiro amoroso, finisce con il considerare che pur sempre di amore si tratta e non ce la fa a suicidare questo amore che ha in sé, per quanto sia patologico. Accetta dunque il suo amore malato, e confonde la cura con la malattia, fino a convincersi che l’unico modo per guarire è quello di restare per sempre malato, giacché giammai potrà fuggire. D’altra parte la passione amorosa in se stessa, per quanto sia patologica si ribella ad ogni tentativo di essere ridotto a malattia. Essa, seppure in una torva luce lunare appartiene comunque a misteri di un amore stregato che avvolge l’anima e i sensi in un’estasi di infinito. Insomma l’attaccamento dell’innamorato ‘dannato’ resta comunque indomito in nome di un romanticismo idealizzante, avvinto da passione, istinti carnali, proiezioni erotiche e sublimanti. Per quanto l’altro venga riconosciuto immaginalmente come un Diavolo, appare anche come un Angelo. Ma questa visione scissa e schizoide è una proiezione dovuta non solo all’ambiguità narcisistica e borderline del partner, ma anche ad un complesso vampirico interiore al vampirizzato (come abbiamo più volte evidenziato – ad esempio nel mio libro L’LBA CHE CURA IL CUORE , LINDAU 2021 – dove ho esaminato la relazione psiconarrativa e ‘immaginale’ tra VAMPIRIZZAZIONE AMOROSA E GUARIGIONE NELL’IMMAGINE DELL’ALBA … che mette in fuga i vampiri amorosi e ci allontana da essi per un nuovo modo di essere e di vedere il mondo interiore, e così anche quello esteriore).
Il terapeuta assume, con molta umiltà, i panni di un Virgilio che accompagna il Dante interiore al paziente in un viaggio di ricerca e purificazione dell’anima. Ciò richiede alleanza tra cuore, mente. I dannati che questo Dante nel paziente incontra nell’Inferno sono le sue proprie dannazioni, causate interiormente dall’impossibilità di congiungere il cuore e la mente. Ciò lo lega a quella lussuria che lo avvince ad un amore mortifero; persino necrofilo, in quanto comporta la morte della propria persona per ‘dissanguamento amoroso’. La prima parte della terapia è quindi nel riconoscere la ‘dannata malattia’ nel prendere atto della sua natura subdola e paradossale. Così con grande pena, ma con determinata sollecitudine il Virgilio-Terapeuta accompagna il Dante paziente fuori dall’Inferno “… a riveder le stelle”.
Dante al cospetto del Cielo di Venere ci trasmette un’immagine simbolica di coniugazione tra l’Amore Terrestre e quello Celeste, e quindi tra l’Io cosciente e il Sé che è la componente centrale e compensatoria della personalità, tra conscio e inconscio, tra individuo ed universo. Ecco allora che Dante, il quale ormai è accompagnato da Beatrice, cioè dall’incarnazione terrestre e celeste della sua anima giunge laddove gli spiriti amanti beati possono recarci sollievo, insegnamento e guarigione con le loro danze luminose. Nella contemplazione di questa visione Dante incontra quella archetipica armonia interiore tra l’Io e il Sé, resa possibile dalla mediazione di anima rappresentata da Beatrice.
In questa intima dimensione Virgilio-Terapeuta non disparisce, esso è ormai diventato una funzione terapeutica interiorizzata nel Dante-paziente, il quale potrà ricongiungersi alla sua anima-Beatrice, quale ‘funzione trascendente’ per dirla con Jung che consente di vivere la passione come un’esperienza integrata e non scissa tra i vari aspetti della personalità e del suo modo di relazionarsi agli altri e al mondo. Jung vede questa dimensione attraverso una luce interiore che viene dall’archetipo del Sé, quale centro della personalità che non dipende più solo dai ristretti margini egoistici dell’Io e che quindi apre l’individuo all’universo (“Processo di individuazione”). Per Hillman invece questa concezione troppo tendente ad un ‘centro di gravità permanente’ (per dirla con il celebre cantore e poeta Battiato) rischia di diventare una hybris, come una meta perennamente irragiungibile e che distoglie dalla naturale vocazione dell’anima a patologizzare, per dare la possibilità a ciascuno di vivere la sua personale esperienza del mondo interiore. In tal senso la volontà di normalizzare l’anima non consentendole di ‘patologizzare’ al fine di indicarle la retta via verso un centro univoco e assoluto, ovvero il Sé, si traduce in una terapia paradossalmente patogena perché non consente all’anima di fare il suo viaggio (“la vita come ‘valle del fare anima” secondo la poetica di Jhon Keats che Hillman ha ripreso come ispirazione per la sua ‘psicologia dell’anima’).
In effetti Dante raffigura gli Spiriti amanti come globi di luce sfavillanti che danzano ciascuna secondo un loro centro, come se non vi fosse un centro e una danza avente un valore ed una posizione assolute, ma che ciascuno scopre e trasforma nella sua intima esperienza del ‘fare anima’. Inoltre tutto il poema dantesco può essere considerato come un’esperienza di patologizzazione che considera anche il pathos infernale come fattore essenziale dei un terapia orientata al ‘fare anima’. Perciò le imagerie noir della vampirizzazione amorosa (e non solo) insieme alle sue risoluzioni verso l’Alba, sono metafore diagnostico-terapeutiche alquanto efficaci affinché un paziente compia un suo proprio viaggio elaborativo dalla Nigredo (condizione di confusione, disgregazione, spaesamento e disperazione) alla Albedo (ovvero purificazione e rinascita). E’ una sorta di viaggio terapeutico e trascendente virgiliano che accompagna l’anima.
Allora ribadiamo che non si tratta di un’anima dannata e peccatrice, ma di un bisogno quasi innato, archetipico, di conoscere ‘il lato oscuro della forza’, di subirne il fascino magnetico, fino a rinunciare a se stessi. Con ciò si afferma un inconscio bisogno/desiderio esistenziale e autoterapeutico di patologizzare, ovvero di viversi la passione fino in fondo, ovvero finanche nel suo diventare vampirica. Quindi non possiamo dire semplicemente che il puer/eros sbaglia, a meno che non aggiungiamo subito che solo sbagliando si impara e nasce la sfida per riportare la psiche nell’amore terrestre e celeste, dei mortali e degli dei, di Eros e di Afrodite… Allora possiamo perfino dire che un eccessivo stato di prevenzione rispetto alla possibilità di finire tra le braccia di un vampiro amoroso, può risolversi in comportamenti evitanti, di chiusura, di freddezza, i quali possono essere peggiori della vampirizzazione stessa dal momento che non consentono di aprirsi all’esperienza. In effetti molti ‘vampiri amorosi’ lo diventano come difesa estrema dalla possibilità di essere vampirizzati qualora il loro puer/eros si lasciasse andare ad un grande amore. Meglio correre il rischio, seppure premurandosi di avere anche i numi dalla propria parte, ovvero amore e conoscenza, dentro ed intorno a sé. E’ pur vero che stiamo parlando di un’esperienza tormentosa e ‘al limite’, ma la sua pericolosità è data dalla difficile sfida che essa comporta nell’elaborarla e nel trasformarla in un’esperienza di crescita, nella quale però il cuore ringiovanisce con saggezza.
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