Pier Pietro Brunelli, Psicologo-Psicoterapeuta
L’esito infernale – traumatico e post-traumatico – della vampirizzazione amorosa, consiste in uno stato d’animo di disperazione che non riesce a trovare pace perché non si sa come interpretare ed elaborare cosa accade nel profondo dell’anima, la propria e quella del partner (ciò che ho individuato e denominato TdN – Trauma da narcisismo, sin dal 2010). Possiamo dire che ci sono molteplici stadi e sintomatologie da vampirizzazione amorosa, che possono essere lievi o acuti, fino a uno specifico stato di traumaticità, di grande sofferenza cronica. Tuttavia quando la sofferenza è lieve, strisciante, che tende a cronicizzarsi nella rassegnazione, non dovrebbe essere sottovalutata; va piuttosto affrontata, onde evitare che diventi la premessa per una successiva più grave condizione di traumaticità. Una riparazione del mondo interno immaginale è necessaria non solo per chi si trova in una condizione di gravità traumatica e post-traumatica, ma anche per chi vive in uno stato di complessità erotico-affettiva, al fine di ritrovare maggior equilibrio, prevenire e interrompere evoluzioni e cronicità infauste. Talvolta la vampirizzazione può essere quasi reciproca, oppure possono esservi tracce di vampirizzazione, o altre forme dubbie (generate da equivoci o da posizioni vittimistiche se non anche paranoidee). Insomma, è sempre bene fare un esame delle complicazioni e delle complessità prima che l’amore diventi un inferno e i vampiri prendano il sopravvento.
Tutte queste considerazioni, esperienze, valutazioni, emozioni, illusioni della vita amorosa, secondo il mito di Amore e Psiche comportano o un destino mortifero o un’evoluzione dello psichismo verso una più elevata dimensione spirituale e di conoscenza della natura umana. Vale quindi il detto «ciò che non ti uccide, ti fortifica», ma a patto che questa fortificazione porti a una maggiore consapevolezza delle forze animiche e spirituali che agiscono nella vita amorosa.
Un’immagine specifica di come il processo di seduzione mortifera possa essere trasformato in un’esperienza di conoscenza e di evoluzione è quella di Ulisse e le Sirene. Ulisse fa tappare le orecchie ai suoi argonauti affinché non sentano l’ammaliante canto delle Sirene, altrimenti si sentirebbero costretti a tuffarsi in mare per raggiungerle, finendo poi sfracellati sulle rocce. Ma Ulisse preferisce farsi legare all’albero maestro della sua nave e vuole sentire il canto delle Sirene, senza però cedere al loro incantesimo. Ulisse vuole conoscere il misterioso potere delle Sirene, seppure soffrendo tremendamente, perché ciò gli permette di conoscere forze del suo mondo interiore e di impiegarle per proseguire con più determinazione il suo viaggio.
La vampirizzazione amorosa è un fenomeno sirenide, dal quale non basta soltanto fuggire. Del resto non ci si riesce fino a quando, con i giusti mezzi (legandosi al palo della ragione e dello spirito) non se ne ricava una maggiore consapevolezza di sé e del mistero dell’anima nella vita amorosa.
Il vampirismo di Narciso
La figura di Narciso del mito greco, è stata impiegata soprattutto da Freud per elaborare il concetto di narcisismo. Tale concetto ha aperto sconfinati orizzonti teorici per la comprensione della vita psichica e delle sue patologie, in modo particolare quelle che più sono riconoscibili nella relazione amorosa. Il narcisismo di Narciso ci interessa particolarmente per le sue modalità seduttive e poi distruttivamente rifiutanti e abbandoniche. In tal senso esprime un’immagine assai efficace della vampirizzazione amorosa.
Va ricordato che il mito di Narciso si caratterizza anche positivamente per la sua capacità di affermare la soggettività e quindi l’amore per sé stessi. Rappresenta una fase mitica fondamentale per l’evoluzione della psiche umana dal momento che fonda il principio dell’individualità, sancito da un’affermazione di indipendenza dall’altro e dall’alterità. Se Narciso non diventa vampiro, riesce nella sua individualità a stabilire relazioni sufficientemente sane e, in un certo senso, ne preserva la salute perché respinge la fusionalità simbiotica, come perdita di sé stessi nell’altro. Nel momento in cui Narciso diventa patologico, seduttivo, abbandonico e crudele, allora può essere considerato come il prototipo mitico del vampirismo amoroso.
Secondo la narrazione ellenica – la più antica – Narciso è omosessuale, seduce ragazzi, e quando costoro si innamorano li rifiuta in modo distruttivo. Per liberarsi dell’amore del giovinetto di nome Aminia, che pure aveva sedotto, giunge a dargli una spada istigandolo al suicidio. E così Aminia si uccide non riuscendo a sopportare il trauma di un abbandono distruttivo. Questa istigazione al suicidio per sbarazzarsi dell’amante infastidisce alquanto gli dei e in particolare la coppia Eros e Afrodite. Pertanto sarà punito dagli dei inducendolo a suicidarsi con la stessa spada che aveva dato ad Aminia. Secondo altre narrazioni, gli dei puniranno Narciso facendolo innamorare di sé stesso, cosa che poi lo farà annegare in uno stagno nel tentativo di abbracciare la sua stessa immagine riflessa nelle acque.
La narrazione più nota intorno a Narciso racconta della seduzione e dell’umiliante abbandono della ninfa Eco. Ella resterà talmente traumatizzata da trasformarsi in una pietra. L’amante rifiutato a causa del narcisismo del partner cade in un trauma pietrificante, come se vi fosse un dissanguamento che trasforma le sue forze vitali in materia inerte. Il cuore di pietra di Narciso pietrifica l’amante.
Narciso seduceva i suoi amanti al solo scopo di misurare il suo potere seduttivo e di sentirsi grandioso. Dopo che la vampirizzazione aveva avuto successo allontanava i sedotti disprezzando la loro capacità di innamorarsi fino a pagare il prezzo di soffrire e di rinunciare all’amore verso loro stessi. In realtà invidiava la capacità di amare delle sue prede, dato che lui non ne era in grado, e quindi doveva punirle. magnetismo narcotico e vampirizzante
La parola greca «narké», cioè «torpore», da cui deriva anche narcotico, è in correlazione con il nome Narciso. Di fatto non si può parlare di una vera e propria coincidenza etimologica di cui avere certezza, ma quantomeno di un’assonanza di forma e di senso. Narciso in qualche modo narcotizza amorosamente le sue prede, riesce a drogarle con un amore drogato, per poi ferirle umiliandole, svalutandole e abbandonandole in modo distruttivo.
La parola «narcotico» implica stordimento, stupore, torpore. Si tratta di una forza stupefacente che si cela nel profumato candore di un fiore: il narciso. Questo fu il fiore in cui narciso si trasformò alla sua morte, quando nel tentativo di abbracciare la sua immagine riflessa nell’acqua – l’unica verso la quale gli sembrava di provare amore – cadde e annegò.
Il bulbo che radica nel sottosuolo il fiore narciso, contiene la narcisina, un potente veleno per l’intestino e per il sistema nervoso. Eppure questo stesso veleno – che è nella natura del bellissimo fiore narciso – ha anche una valenza di farmaco purificatore. Secondo alcune leggende il bulbo del narciso assorbe le negatività, perciò è velenoso. In molte narrazioni mitologiche e religiose il narciso è simbolo di purezza e valorizza l’indipendenza in quanto capacità di poter contare su sé stessi e di affidarsi alla relazione con Dio piuttosto che con gli altri esseri umani. Perciò il narciso compare sovente nell’iconografia cristiana in quanto evoca un senso di beatitudine interiore e pace con sé stessi.
Evidentemente anche la figura mitica di Narciso non deve essere letta solo in negativo, anzi essa è fondamentale per l’evoluzione umana della coscienza in quanto afferma l’individualità e la soggettività dell’identità che si autodetermina indipendentemente da vincoli e subalternità con gli uomini e anche con gli dei.
Quando l’indipendenza narcisistica diventa un eccesso che isola dalle relazioni o che le manipola a scopo utilitaristico – al punto che nel mito confligge con Eros (dio della relazione) – ecco che la narcisina diventa un veleno. Il senso di onnipotenza infantile di Narciso, di pienezza di sé che si erge sul mondo come se fosse un dio, affascina, fa sentire agli altri di voler essere come lui/lei, per poi accorgersi di essere annientati, assorbiti da un eccesso trionfale che nella sua intimità autentica non c’è.
Del resto esiste un narcisismo buono che non è solo apparenza e sopraffazione, è buono e vitale come desiderio di essere Uno, di contare su sé stessi; con ciò non degenera al punto che per essere Uno (o il numero uno), sente il bisogno di farla pagare all’altro, ovvero di sfruttare e mortificare la relazione per nutrire il proprio ego ipertrofico. A questo punto è evidente come le figure del vampiro e di Narciso possano essere sovrapponibili.
Chi resta affascinato da Narciso il vampiro viene pervaso dal magnetismo del suo profumo e della sua candida e carnosa bellezza, capace di evocare, appunto, indipendenza, autonomia, forte identità – e intanto non sa nulla del veleno che cova nel suo bulbo. Ecco allora che lasciandosi andare a baciare e ad annusare questo mitico fiore resta avvelenato.
L’infido veleno occulto di Narciso (mito e fiore), psicosimbolicamente può essere considerato la causa dell’intossicazione che poi sfocia nel Trauma da narcisismo, corrispondente all’esito di una tormentata vampirizzazione amorosa.
La questione cruciale di questo magnetismo fascinoso, che si rivela poi velenoso, sarebbe da individuarsi nella ferita narcisistica del vampirizzato, cioè in una sua carenza di narcisismo sano, che lo rende capace di individuarsi e affermarsi in una sufficiente indipendenza, in equilibrio tra l’amore per sé stesso e l’amore per l’altro. ecco allora che la narcisina di Narciso appare come una sorta di farmaco risanante, qualcosa di cui si ha bisogno e che si può ottenere legandosi amorosamente a lui che ne possiede tanta!
Maschere e messaggi obliqui della seduzione
La maschera nella coppia, seppure senza essere manipolatoria, e neppure propriamente subdola è anche un modo di governare il linguaggio obliquo della seduzione e di deviare la testardaggine dei confronti frontali.
Dice Roland Barthes:
Bisogna che il nascondere si veda: sappiate che io sto nascondendo qualcosa […] ecco il messaggio che rivolgo all’altro […] metto una maschera sulla mia passione, ma con un dito discreto (e scaltro) indico questa maschera. [1]
Ecco allora che, nelle relazioni di coppia – nel bene e nel male – le maschere sono agenti di segrete e fantomatiche comunicazioni, equivoche ma suadenti, confuse eppure precise. Il paradosso è che la maschera può servire a rendersi più sottilmente trasparenti. L’amore presuppone di capirsi senza spiegarsi, di chiedere senza domandare, di sentirsi senza parlarsi, di vedere quel che non viene esposto, se non in modo confuso, o a dirittura opposto. Così l’innamorato/a pensa: «Metto la maschera di voler guardare la TV, per vedere se capisce che voglio fare l’amore»; «Mi maschero di allegria, anche se sono preoccupato/a»; «Mi maschero di preoccupazioni, così mi coccola»; «Mi maschero da corteggiato/a o viceversa da geloso/a così ha più interesse per me».
Ovviamente non tutte le maschere servono a determinare una sfida volta a far comprendere passioni, desideri ed emozioni che non si riescono a esprimere direttamente, o che pare più stimolante proporre con una celata e seduttiva obliquità. Quando le maschere narcisistiche (tutte lo sono, ma non tutte sono cattive) hanno fini manipolatori e ingannatori, c’è poco da ridere, occorre prenderne coscienza e smascherarle. Ma, se si tratta di maschere equivoche dovute alla naturale artificiosità e alla relativa ambiguità seduttiva della coppia, va accettato che dietro di esse c’è tutt’al più un eros bambinone e vampirello, ma non un mostro. Ecco allora che rabbia, rancore e risentimento vengono ridimensionati.
Quando il complesso vampirico si prende gioco della coppia e arriva a fare brutti scherzi, è utile ‘carnevalizzarlo/esorcizzarlo/sdrammatizzarlo’, fino a prendersi gioco del complesso. A volte si pensa troppo male del partner, anche quando non è proprio il caso. Per fare pace davvero, bisogna arrivare a riderci su, insieme e anche da soli, ricordandosi di deridere non solo l’altro, ma anche sé stessi. E’ sintomo di guarigione quando si arriva alla autocanzonatura bonaria, non cinica di se stessi, passando dalla posizione di vittima a quella di ‘Cappuccetto rosso’, che per la sua ingenuità si è lasciato sedure da un lupo goffamente travestito. Il problema però è che anche una volta che lo si è riconosciuto in quanto ‘lupo mannaro’ si considera a desiderarlo, vincolati da un attaccamento tormentoso. Il magnetismo tra vampiro/a e vampirizzato/a fa sì che questo seconda sia irresistibilmente attratto ad ‘offrire il collo al primo’ nonostante riconosca la sua seduzione mortifera. Ecco allora che occorre veramente una psicoterapia ‘antivampirizzante’, prima di ritrovarsi dissanguati nell’anima e nei sensi
Vai all’articolo ” DonGiovanni e Casanova, VAMPIRIZZATE IN AMORE
In questo blog vi è un articolo specifico sulle differenze tra vampirizzazione amorosa al maschile e al femminile (cioè subita dagli uomini, per leggerlo cliccare sulla seguente immagine
Questo articolo riprende alcune parti del mio libro L’ ALBA CHE CURA IL CUORE (Lindau,2020) – Nelle immagini qui di seguito gli altri libri sull’argomento, ciascuno dei quali diferrenti approfondimenti per una TERAPIA DEI TRAUMI E DEI CONFLITTI AMOROSI (nel blog Albedoimagination si possono leggere le presentazioni, oppure sul canale Youtube Albedoimagination si possono seguire video e interviste).
Tutti i libri si possono trovare sui vari distributori (in cartaceo o in e-book) e anche richiedendoli in libreria. Per ulteriori info e acquisto cliccare sulle copertine.
Ricordo che oltre a leggere articoli e libri ciò che più aiuta è una specifica Psicoterapia o almeno un consulto specialistico centrato sulla propria storia di vampirizzazione personale e sul proprio modo di risolverla o di uscirne con una nuova capacità di amare e di essere amati. Per ogni informazione chidete un consulto o scrivetemi. Inoltre potete partecipare con i vostri commenti di riflessione e di testimonianza in un clima di auto-aiuto e solidarietà.