Psicofisiologia delle emozioni
L’ emozione, nella sua radice etimologica indica un movimento dall’ interno all’ esterno (dal latino emovère: ex = fuori + movere = muovere) , questo flusso che emerge si verifica a tre livelli: fisiologico, espressivo, e cognitivo.
A livello fisiologico, si registrano cambiamenti relativi a processi biochimici: variazione della produzione ormonale, variazioni della frequenza cardiaca, variazioni della pressione sanguigna, variazioni del ritmo respiratorio, dilatazione della pupilla, variazioni della traspirazione ecc.
A livello espressivo, l’emozione è rappresentata da cambiamenti comportamentali, ad esempio nell’ espressione facciale e nella postura. Si può trattare di cambiamenti somatici involontari, indotti dalle emozioni, ma talvolta anche modulati volontariamente, come i cambiamenti relativamente controllati nel tono della voce. Tuttavia piangere o ridere, arrossire, sbiancare, sudare, l’irrigidirsi dei muscoli, sono espressioni assai poco controllabili.
A livello cognitivo, lo stato emotivo è rappresentato da cambiamenti nell’esperienza soggettiva della situazione, e nella consapevolezza di alcune risposte fisiologiche ed espressive del proprio organismo.
L’emozione è un fenomeno che può essere usato come rivelatore della verità o della falsità del parlante attraverso la misurazione di determinati fattori fisiologici. La cosiddetta ‘macchina della verità’ si basa sulla misurazione di dati fisiologici soggettivi, ma chi conosce il funzionamento della macchina può riuscire ad ingannarla. Insomma l’arte di mentire attraverso i segni delle emozioni è l’arte della menzogna per eccellenza. In genere le donne vengono considerate più capaci di esprimere false emozioni; probabilmente anche perché la fisiologia della sessualità femminile consentirebbe di fingere piacere e orgasmo secondo modalità non possibili per gli uomini. Tuttavia gli uomini, sempre secondo i pregiudizi psicoculturali, sarebbero più capaci di contenere le emozioni, e quindi di mentire con maggior spregiudicatezza e attorialità. Dunque, quando non c’è una sufficiente ed autentica corrispondenza tra livello espressivo, livello fisologico e livello cognitivo, non vi è realmente un’emozione, ma una finzione.
La teoria di James-Lange sulle emozioni, che risale al 1884, e ancora oggi è oggetto di discussione. Questa teoria spiega che l’esperienza emotiva consiste nell’interpretazione di un evento fisiologico propriocettivo (percepito dentro se stessi). Quindi uno stimolo provoca innanzitutto una reazione fisiologica endogena collegata ad una espressione somatica (posturale, facciale, gestuale, quindi riso, pianto ecc) e successivamente si ha l’interpretazione, quindi la rappresentazione cognitiva dell’ esperienza interna. Ciò vuol dire, ad esempio che siccome tremiamo interpretiamo che abbiamo paura, siccome i muscoli si irrigidiscono ci sentiamo arrabbiati, siccome ci batte il cuore allora crediamo di amare una persona… Per James vi è una corrispondenza causale tra sensazione fisica ed interpretazione cognitiva.
Questa idea è stata controbattuta dalla teoria di Canon con le sue tesi del 1927. Esperimenti di laboratorio su animali, che comportavano la sezione dei collegamenti neurovegetativi tra encefalo e organi interni avrebbero dimostrato che non vi sarebbero alterazioni sul comportamento emotivo, sebbene siano eliminate molte sensazioni propriocettive.
Canon spiega che le emozioni più diverse possono provocare le stesse reazioni fisiche. Inoltre, la comparsa della reazione fisiologica sarebbe troppo lenta rispetto alla rappresentazione cognitiva dell’ emozione. Infine l’ induzione artificiale, attraverso farmaci, di reazioni fisiologiche particolari non dà luogo alle stesse rappresentazioni emotive in tutti i soggetti trattati.
L’ idea di Canon è che uno stimolo portatore di emozioni provochi simultaneamente e separatamente l’ attivazione fisiologica e l’interpretazione soggettiva dell’ emozione, questo perché il talamo (ma adesso si sa che si tratta in particolare del sistema limbico) invierebbe contemporaneamente impulsi al sistema nervoso neurovegetativo (autonomo dalla coscienza) e alla corteccia cerebrale. Dunque la cognizione dell’ emozione sarebbe la causa della reazione fisiologica.
Tuttavia ricerche su persone con gravi lesioni del midollo spinale a livello cervicale (quindi con completa insensibilità del corpo al di sotto del punto danneggiato) rivelano che tali soggetti hanno un notevole abbassamento nella frequenza e nella intensità delle sensazioni emotive. Persone con danni alla regione sacrale, quindi con le sole gambe paralizzate riferiscono solo di alterazioni emotive minime. Questa ricerca corrobora la teoria di James-Lange per cui l’emozione si sviluppa cognitivamente sulla base di una sensazione fisiologica a cui è correlata un’espressione corporea (livello somatico).
Un’ ipotesi intermedia viene proposta dalla moderna psicofisiologia che riconosce una reciproca influenza tra le variazioni fisiologiche e il comportamento e quindi il livello cognitivo. In particolare le emozioni base sarebbero maggiormente dipendenti da precise variazioni fisiologiche e le emozioni complesse risulterebbero dipendere da una valutazione cognitiva. Come dire che melle emozioni base si può verificare l’influenza di uno stato fisiologico che induce ad uno stato mentale corrispondente, e nell’emozioni complesse è lo stato mentale ad influenzare lo stato fisico, ma questa influenza varia da soggetto a soggetto.
Le emozioni base ricavate da un incrocio delle liste di vari autori risulterebbero essere sei: felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa. Finissime metodiche sperimentali che vanno dall’ elettromiografia all’ analisi delle variazioni neuroendocrinologiche, alla misurazione delle secrezioni ormonali hanno rivelato una correlazione specifica tra reazioni fisiologiche ed esperienza cognitiva per ognuna di queste sei emozioni. Ciò vorrebbe dire che esiste un linguaggio del corpo, un codice tra aree di significazione, sensazioni corporee ed espressione.
Le emozioni complesse come la vergogna, il coraggio, l’orgoglio, l’indignazione, l’imbarazzo, sono relative a norme valoriali e quindi sono dipendenti da una valutazione cognitiva a cui non corrisponde uno stato fisiologico specifico per quella emozione. Da un’emozione base può essere elaborata una emozione complessa, ma questo non corrisponde necessariamente una precisa variazione dello stato fisiologico. Ad esempio le reazioni fisiologiche della paura e del coraggio, possono essere le stesse, poiché l’organismo deve avere determinati requisiti sia in caso di fuga che di attacco.
Dunque, con la maturazione delle capacità cognitive si sviluppa anche il grado di finezza delle emozioni e il controllo di queste. Nel bambino, invece, le emozioni base sono le principali e non sono controllabili proprio perché sono maggiormente collegate alla sensazione fisiologica.
Lo sviluppo emozionale comporta un affinarsi delle passioni e dei sentimenti morali (cioè mediate da considerazioni ideologiche, valoriali e spirituali). Le emozioni complesse della vita amorosa possono avere un grado maggiore di passionalità o di moralità, a seconda della prevalenza delle spinte pulsionali, legate alla sessualità e all’aggressività, o di quelle relative a fattori cognitivi di carattere ideologico e spirituale. I sentimenti quindi sono considerabili come la derivazione di emozioni complesse, ma a loro volta possono influenzare il campo emotivo. Quando si ama, le emozioni sono più orientate alla felicità, ma viceversa può dire che la felicità rende più amorevoli. D’altra parte anche la tristezza può rendere più amorevoli, almeno nel senso della compassione. Le emozioni che toccano, che commuovono, sono dunque interdipendenti con i sentimenti nella loro complessità. I sentimenti però dipendono anche da un’interpretazione culturale e valoriale, quindi da una sorta di educazione sentimentale, che implica atteggiamenti e scelte legate alla personalità e alle esperienza. In tal senso le emozioni complesse e i sentimenti che proviamo sono alquanto differenziati in ciascuna persona e a seconda delle circostanze. Ciò vuol dire che lo stato emotivo e sentimentale, ha una sua natura fisiologica, ma viene percepito a seconda di come siamo portati ad interpretarlo, rispetto alle nostre cognizioni linguistiche e culturali.
In termini psicofisiologici va osservato che le aree del linguaggio dell’ emisfero sinistro presiedono a funzioni razionali ed analitiche, ovvero sono specializzate nella comprensione e produzione del linguaggio sul piano logico e semantico, invece l’emisfero destro è specializzato nel comprendere le tonalità affettive, quindi emotive e passionali del linguaggio. Una lesione nelle aree del linguaggio dell’ emisfero destro produce aprosodia sensoriale o motoria, e cioè rispettivamente deficit nell’ avvertire le qualità emozionali del linguaggio e nel trasmetterle. Patologie mentali non riferibili ad alcun quadro organico certo, come le psicosi affettive, consistono in disturbi del sentire emotivo e delle espressioni correlate, secondo vari gradi e tipi di alterazione.
Le sensazioni fisiologiche unitamente al fluire dei processi cognitivi/interpretativi generano mutazioni dell’attività cerebrale, che possiamo considerare come indici di manifestazioni emotive. Una persona in stato di veglia rilassata, con occhi chiusi, pur ricevendo molteplici sensazioni presenta un encefalogramma con prevalenza di onde alfa frequenza intorno ai 10 cicli al secondo. Se l’ uomo apre gli occhi o fa un piccolo calcolo mentale passa dalle onde alfa alle onde beta 20 cicli al secondo, come dire che la macchina cognitiva si è messa in moto. Questo ‘muoversi dei pensieri’ è già di per se stesso un’induttore di stati emotivi che si aggiungono a quelli indotti dai fattori puramente sensoriali. Quindi vuol dire che i processi cognitivi, non solo sono gli ‘interpretanti’ delle emozioni, ma anche i generatori di stati emotivi. Infatti spesso lo stimolo ‘emotogeno’ non riguarda eventi esterni, ma interni. Cioè è anche il modo di interpretare noi stessi e il mondo che ci predispone ad un certo stato emotivo, ci fa apparire le cose più gradevoli e più sgradevoli. I pensieri disturbanti, insieme agli stimoli emotegeni ‘negativi’, che pure possono essere oggettivi determinano condizioni di stress, con alterazioni fisiologiche che possono pregiudicare la salute, oltre che la qualità della vita.
Le pratiche della meditazione ed appositi ‘esercizi antistress’ ricercano la possibilità di esperire uno stato di ‘non pensiero’, a-cognitivo’, per entrare in diretto contatto con l’esperienza sensibile passiva/ricettiva, senza interferenze intellegibili, con la conseguenza di placare stati emotive eccitatori e disturbanti dovuti al continuo ‘impensierirsi’.
Segni, linguaggio ed emozioni
Riprendendo le osservazioni di David Savan sulla teoria semiotica delle emozioni secondo il grande logigo, fondatore della semiotica C.S. Peirce, si dovrebbe dire che l’emozione è un segno, nel senso che è innanzitutto un’esperienza cognitiva, interpretativa piuttosto che uno stato fisiologico. Dice Savan che Peirce rifiutava “la teoria che William James avanzerà vent’anni più tardi, e cioè che l’emozione consista nel sentire una modificazione corporea” (“La teoria semiotica delle emozioni secondo Peirce” in AAVV Semiotica delle passioni, Esculapio 1991:142).
Il fenomeno fisiologico costituirebbe l’aspetto sensoriale dell’emozione, ma questa diventa tale solo in quanto esperienza l’emozione significativa, fondata su un’interpretazione.
Dunque per Peirce l’emozione è una sorta di ipotesi primitiva sul proprio sentire che dipende da un certo grado di conoscenza e quindi da determinati valori normativi acquisiti. Possiamo provare la paura, perché la conosciamo, in questo modo la paura è un segno che ci consente di interpretare una certa situazione. Questa interpretazione si basa su tre modalità interpretanti (secondo la semiotica di Peirce) dinamico, immediato e logico finale.
Il ‘rapimento’ e quindi la registrazione e lo spaesamento dell’esperienza emotiva corrisponderebbe all’ “interpretante dinamico”. Si tratta di una prima sensazione che resta vaga e relativamente decifrabile. Una successiva valutazione della esperienza emotiva corrisponderebbe invece, all’ “interpretante immediato”. Ciò vuol dire riconoscere quella sensazione come significativa, interpretandola secondo le proprie conoscenze. Non è sempre facile interpretare le proprie sensazioni, alle volte è difficile riconoscerle. Non sempre si sa chiaramente se si prova rabbia, vergogna, paura e perfino se si è infelici o felici. Spesso l’interpretante immediato comporta scelte e processi cognitivi assai complessi, segnati da incertezze e confusioni. Si cerca allora di mettere a punto l’interpretante logico finale, e quindi di compiere ragionamenti in grado di decodificare un’emozione rispetto a valori e conoscenze dettate dalla cultura, i modi di pensare comuni, l’educazione. Le emozioni complesse e i sentimenti che ne derivano dipendono quindi anche da un giudizio o un pregiudizio morale. Si potrebbe ad esempio considerare giusto sentirsi arrabiati, o tristi, o felici, o sorpresi e quindi si determina la convinzione di dover esperire quello stato emotivo/sentimentale e non un altro. Per fare un esempio possiamo considerare quanto peso abbiano gli aspetti culturali che fanno interpretare come ‘rabbia’ lo stato emotivo legato a sentimenti di gelosia. In altri termini capita di provare certe emozioni in una certa qualità e intensità perché le riteniamo coperenti con determinati modi convenzionali di pensare.
Queste idee semiotiche appena accennate sulle emozioni, sarebbero fondamentali rispetto alla teoria del fissarsi della credenza di Peirce. La credenza sarebbe necessaria perché l’essere umano non può sopportare l’emozione negativa data dal dubbio e deve acquisire certezze per la sua tranquillità. In tal senso per Peirce le emozioni non sono dislocate sull’ asse dell’euforia/disforia, ovvero del piacere e del dispiacere, ma su quella del conoscere e del non conoscere, in quanto superamento dello stato di insicurezza provocato dal dubbio. Più che il piacere l’uomo ricerca la tranquillità, ed in tal modo ha bisogno di crearsi abiti rassicuranti. Si potrebbe dire che il piacere, ma anche il dispiacere, si sviluppano intorno alla emozione base della ‘sorpresa’, la quale potrebbe essere considerata l’emozione della conoscenza. Si può però anche considerare la ‘meraviglia’ in quanto emozione spirituale che invita alla contemplazione mistica della creazione.
Dice Peirce: ” … la logica non può rimettersi ad altro che a questa lotta per sfuggire al dubbio che, dato che trova fine nell’azione, deve avere inizio nell’emozione…” (CP 2.265).
Si deve notare che le emozioni nuove sono più forti perché ancora non hanno un interpretante logico finale ben formato. Rivivere più volte la stessa situazione emotiva consente il radicarsi di un interpretante logico finale e quindi di una credenza ben formata. Questo fissarsi della credenza, oltre a limitare l’evolversi della conoscenza, può costituirsi anche come patologia della fissazione, e causare comportamenti realmente patologici. Ad esempio le fobie, certi stati ansioso-depressivi o di eccitazione, possono essere indotti dall’interpretante logico finale di un’emozione, la quale potrebbe invece essere ‘vissuta’ e interpretata in modo diverso, e a tutto vantaggio o svantaggio dell ‘equilibrio psicofisico dell’ interprete. In buona sostanza le emozioni, quanto più sono complesse, tanto più dipendono da come vengono interpretate secondo le proprie ‘credenze’. D’altra parte determinate credenze, soprattutto religiose e spirituali, determinano la fede la quale influenza lo stile individuale e collettivo di vivere e di condividere le emozioni. La fede può indurre emozioni positive e depotenziare quelle negative, ma può anche determinare stati emotivi che comportano inibizione, intolleranza e pregiudizio. Ciascuno dunque è chiamato a considerare le sue credenze e la sua eventuale fede in relazione ai condizionamenti emotivi che subisce o che interpreta e vuole esperire in modo più o meno consapevole.
Emozioni cultura e pensiero
La cultura attraverso i sentimenti morali tenta di proporre insegnamenti per il costituirsi di interpretanti finali delle emozioni capaci di orientare le soggettività in una direzione confacente agli interessi dominanti della collettività. In tal senso il modo di vivere e di pensare alle emozioni non sarebbe universale. Talune emozioni naturali collegate agli istinti primari (fame e sessualità) sarebbero universali, ma solo nel senso dell’interpretante immediato e dell’interpretante dinamico. L’interpretante logico finale sarebbe anche nel caso delle emozioni base una ipotesi che si consolida secondo l’ordinamento di norme culturali e dell’ apprendimento.
Le emozioni base possono essere considerate un fenomeno che rivela una contiguità tra natura e cultura. Tuttavia la cultura sembra comportare una snaturalizzazione delle emozioni al fine di razionalizzarle e renderle funzionali rispetto a determinati progetti economici e sociali.
Le ricerche di Ekman dimostarno che le emozioni forniscono una importante modalità espressiva, che serve per comunicare senza il linguaggio verbale. Secondo il cognitivista B. Bara: “La comunicazione attraverso l’espressione delle emozioni è evolutivamente precedente lo sviluppo del linguaggio, dato che anche altri mammiferi la utilizzano con maggior enfasi sulla faccia e maggior impegno nel resto del corpo”. (Scienza cognitiva 1990:260).
In tal senso il linguaggio emotivo negli esseri umani crea corrispondenza fra natura e cultura. Infatti le espressioni delle emozioni base sono sicuramente correlate alla relazione fisiologica. Da indagini sperimentali attraverso foto mostrate a popolazioni che non hanno mai avuto contatti e scambi si è dimostrato che le occorrenze concrete di espressioni facciali quali felicità, rabbia e disgusto corrispondono a type universali, in tal senso sono innate e non apprese.
Sorgono alcuni dubbi tra le espressioni di paura e sorpresa, ma in genere per quanto riguarda le espressioni facciali e posturali delle emozioni base, si condividono ancora oggi le tesi di Darwin sulla universalità e l’innatismo. Differente è l’espressione attraverso gesti e comportamenti volontari, i quali come hanno dimostrato gli studi comparati di David Efron sarebbero appresi e caratterizzati dalla cultura.
In ogni caso con l’ emozione si evidenzia una sorta di circuito tra natura e cultura tra sensi fisici e senso cognitivo. Il circuito dell’emozione è dato da un impulso esterno o possiamo dire da effetti di senso, da una ricezione psicofisica e quindi da un processo di interiorizzazione e di elaborazione, quindi da un output, con l’espressione di un impulso esterno. Questo output esterno è fortemente motivato dalla reazione psicofisiologica interna, poiché uno scatto, una risata, un trasalimento, possono essere considerati riflessi provocati da un’energia endogena. Il fattore fisiologico, indipendentemente che sia posto prima o dopo il livello cognitivo è essenziale per provare l’ emozione e influenza fortemente la sua traduzione in un comportamento espressivo. Per questo motivo quando si è travolti da una emozione si consiglia di contare fino a dieci prima di agire, con il fine di dare il tempo ad un livello cognitivo di controllare gli impulsi corporei dell’emozione.
Emozioni teatrali e linguaggio del corpo
Secondo A. Lown, e quindi secondo i principi della bioenergetica, questo circuito emotivo può essere modulato partendo dal comportamento espressivo, per cui allenando una persona a cambiare una postura o un andatura ‘depressa’ si può curare, ad esempio una sindrome depressiva. Questa bidirezionalità delle influenze corpo-mente/mente-corpo era già stata notato da Darwin ed è confermata da parecchi esperimenti e studi di psicologia cognitiva.
Questo linguaggio del corpo è l’oggetto empirico e teorico dell’ antropologia teatrale e dell’arte dell’attore.
Nel teatro contemporaneo il trivio che caratterizza l’emozione: fisiologico, cognitivo, espressivo è fondamentale per comprendere la ricerca sull’arte dell’ attore. Per Stanislawski l’attore deve rivivere sul piano cognitivo emozioni autentiche, o anche costruite, ma comunque in grado di provocare una reazione fisiologica ed espressiva adeguata al personaggio e alla azione che deve interpretare. Dunque se il personaggio è triste o affranto, l’attore deve rivivere realmente dentro sé una situazione angosciosa che lo conduce ad una certa memoria del corpo e quindi ad una espressività adeguata alla scena.
Per Grotowski, invece è “l’azione fisica”, il training corporeo che conduce ad un livello cognitivo ed espressivo capace di esprimere l’ autenticità dell ‘attore: il ‘processo organico’. Un training sfibrante, una continua ricerca sul corpo, consente di far crollare la ‘maschera’ delle abitudini e dei condizionamenti, affinché le espressioni emotive vengano impiegate in tutta la loro autenticità per generare processi artistici, ricettivi ed espressivi. L’ attore non recita un personaggio, piuttosto lo incontra in se stesso e lo vive attraverso un ‘processo organico’ che nasce dall’esperire uno speciale stato psicoemotivo a partire da specifiche ‘azioni fisiche’.
Per Eugenio Barba, il livello emotivo deve essere oscillatorio, cioè deve passare dall’ “apoteosi alla derisione”, dal sacro alla dissacrazione, dalla paura all’allegria, con il fine di produrre una costante tensione emotiva per un effetto di polarizzazione e di mutazione delle energie psicofisiche.
Il teatro, infatti, è tipicamente un’ arte del corpo vivo ed emozionale, e questo corpo non può essere eluso in nome del testo. In questo senso il teatro contemporaneo, che ha avuto in Artaud il suo più fine teorizzatore, doveva essere “come la peste”, cioè doveva produrre uno shock emotivo trasformatore fino al punto di risultare crudele, per il pubblico come per l’ attore. Il testo si traduce in un’azione emotivogena, e quindi si manifesta come modificazione dello stato psicofisico, come una catarsi che deve suscitare emozioni di angoscia, affinché ci si senta costretti a ricercare una guarigione animica sul piano individuale e collettivo.
Emozioni collettive e rituali
Le emozioni eudemoniche (rallegranti) sono corroboranti e terapeutiche per la salute individuale e collettiva. Perciò in tutte le tradizioni popolari vengono provocate attraverso feste ed eventi tradizionali. In questi contesti vengono impiegati segni/simboli da condividere per recare allegria e gioia. L’emozione vissuta collettivamente, diventa parametro e di verifica dell’efficacia dei segni/simboli (cibi, colori, musiche, maschere, danze, scherzo, ecc.). In sostanza i segni festosi sono ‘veri/efficaci’ perché sono inerenti a ciò che si prova a livello psicocorporeo, nel corpo dell’individuo e nel ‘corpo sociale’. Tale efficacia emozionale è essenziale per sancire la coesione psicoculturale della comunità.
Nel rito magico-pagano vengono espressi segni simbolici il cui effetto di senso deve essere efficace, ovvero deve produrre uno stato emozionale condiviso. Lo stato emotivo deve essere coerente con la trasmissione di messaggi simbolici che possono avere funzione propiziatoria o apotropaica (scacciare il male). Le emozioni collettive determinano la percezione di una corporeità e psichicità che lega la vita individuale a quella della collettività, per natura e per cultura.
Con il cristianesimo vi è una vera e propria censura del corpo e quindi delle emozioni corporali primarie, soprattutto della eccitazione sessuale e del riso. I segni, in quanto oggetti di fede, non devono più essere sostenuti da una loro efficacia sul corpo, tranne che in casi straordinari come nelle guarigioni miracolose. Ma la tradizione popolare ha sempre contrastato le censure del corpo. La cultura popolare con la prosecuzione dei rituali magico pagani, anche in forme ibride, ha celebrato le potenze emozionali, in quanto valori essenziali della natura umana.
Psicoanaliticamente potremmo dire che il carnevale, e altri eventi festosi collettivi ‘trasgressivi’ (nel senso del ‘decontrollo controllato) determinano un’ irruzione delle emozioni positive in quelle negative, con lo scopo di liberare eneregie pulsionali immobilizzate dalla rimozione.
Questione centrale di tutte le culture d’origine è quindi la conoscenza e il dominio delle emozioni. Vere e proprie tecniche per il controllo e l’utilizzo delle energie emotive sono state messe a punto con le arti marziali, le tecniche del guerriero, della medicina e della caccia. In particolare le medicine orientali sono fondate su teorie e pratiche per il controllo delle emozioni.
La comunicazione delle emozioni, tra due e più persone, fino alle situazioni di interazione collettiva e di massa, si dà per segni e simboli espressivi manifesti, ma anche per empatia. In un certo senso possiamo intendere l’empatia come una ‘vibrazione energetica’ che si coglie e si trasmette al di là dei segni e delle parole, per via intuitiva e compartecipativa. Si possono comprendere le emozioni altrui da ciò che viene manifestato, ma quando queste emozioni vengono in qualche misura anche condivise, vi è una forma di comunicazione che possiamo definire empatica. Non sempre l’empatia corrisponde ad un’analoga condizione emotiva dell’altro, talvolta ci si può perdere in una sorta di empatia equivoca, ma in tal caso non si tratta di empatia, quanto di un’immedesimazione emotive fallace. Ad esempio si avverte in se stessi che l’altro ha paura, ma non è così, oppure si tratta di un gradiente emotivo di differente intensità e qualità. L’empatia invece si verifica quando vi è un’effettiva corrispondenza emotiva tra due o più persone. Ciò avviene quando il segno espressivo di un’emozione diventa contagioso e suscita una sorta di rispecchiamento. Si è portati a ridere o almeno a sorridere tra persone che ridono, e a corrucciare i muscoli facciali verso il basso dove c’è tristezza, questa imitazione può indurre a condividere realmente un certo stato emotivo.
I ‘segni’ del rituale hanno una loro oggettività quando generano empatia, quindi uno stato emotivo simile tra i partecipanti, unendoli in un’emozione collettiva che si manifesta sul piano cognitivo, sul piano fisiologico e su quello espressivo. Questo non sempre avviene poiché il rito può essere partecipato come finzione, e vi può essere solo una comunanza espressiva esteriore, ovvero una recitazione. In tal caso le espressioni delle emozioni sono un segno,
Emozioni collettive e propaganda politica
Le emozioni collettive, come il panico collettivo, o l’aggressività collettiva, o l’estasi, e in genere l’eccitazione, sono oggetto di studi psicosociali che si intrecciano con l’antropologia e le scienze della comunicazione. Si pensi all’importanza delle emozioni nella pubblicità, nella propaganda politica, nei fenomeni di costume e nella stessa mentalità di un gruppo o di una comunità.
L’emozione collettiva si avverte anche nel ‘moto popolare‘, l’emozione della piazza, della massa che lotta per un ideale. Si pensi agli studi sul panico nelle folle, ma anche su emozioni più complesse, relative a sentimenti di odio, paura, rabbia, indignazione e di come la propaganda poltica possa sfruttare questi stati d’animo collettivi ‘di pancia’ in senso falsificante e manipolatorio. Si vedano I classici Psicologia delle folle 1895 di Gustav Le Bon e Psicologia di massa del fascismo 1933 di Wilhelm Reich-
Ricordiamo che per Carl von Clausewitz le passioni e le emozioni nelle attività militari costituiscono un fattore strategico fondamentale nel momento in cui esse vengono comprese ed indirizzate all’obiettivo. Ciò è ancora più evidente nella guerriglia e nella guerra rivoluzionaria, situazioni in cui il morale, ovvero il mantenimento e l’esaltazione di un equilibrio emotivo collettivo, è una questione fondamentale. Con questo obiettivo emozionale, nascono i canti patriottici e rivoluzionari, una forma di espressione artistica che fa coincidere funzione estetica e funzione emotiva.
Serghej Ciacotin in una corposa opera del 1932 “Tecnica della propaganda politica” evidenzia l’effetto di senso del ‘ segno politico’ sulla emotività e i sentimenti della popolazione. Così per Ciacotin la funzione emotiva delle comunicazioni di massa in campo politico, consiste nel far prevalere le spinte irrazionali su quelle razionali. In tal senso lo studioso denuncia la violenza psico/manipolatoria che condiziona emotivamente i comportamenti sociali.
Ernst Bloch nella sua elaborazione teorica sovrappone alle logiche razionalistiche del marxismo materialistico le spinte irrazionali e spirituali che implicano un anaelito di emancipazione e liberazione. In tal senso la componente emotiva in una rivoluzione, implica un forte moto spirituale, in quanto forza trainante relativamente autonoma dalle strategie e dai modelli razionali. Insomma la dinamica della storia sarebbe dovuta non tanto alle trasformazioni soci economiche, o tecnico-scientifiche, quanto da una costante tensione emotiva tra passione e ragione., tra ‘pancia’ e ‘cervello’, tra politica immanente e spirito trascendente.
Emozioni artistiche e letterarie
L’arte non solo genera emozioni, ma affina la sensibilità delle persone affinché le emozioni possano essere vissute e comprese in una maggiore cdomplessità e profondità. Il testo letterario, una narrazione, una poesia, una fiaba, così come un film, uno spettacolo teatrale o un quadro sono comunicazioni estetiche emotivogene, generatrici di emozioni più che di informazioni. Il trasalimento, la compassione, il brivido, la suspense sono stati psicocorporei che intervengono realmente nella fruizione di un’opera d’arte. Ma l’effetto di un’opera dipende anche dalla sensibilità morale, culturale spirituale del fruitore, nonché dalle condizioni della fruizione in un dato momento. Un conto è contemplare e assaporare un’opera impegnandosi a conoscerla, un altro conto è fruirne in modo distratto e superficiale. Differenti saranno i brividi che potrò provare leggendo Poe di notte in una casa di campagna oppure in metropolitana; diversamente mi fa commuovere Dostoevskij se in questa società mi sento una vittima o un perseguitato oppure un potente, e Rabelais può farmi ridere in modo diverso a seconda della mia disponibilità personale all’umorismo, o del momento in cui lo leggo. Leggere testi estetici, letterari, ma anche visivi, e quindi fruire dell’arte e della letteratura vuol dire acuire la sensibilità attraverso un affinamento delle emozioni. Da ciò deriva una crescita personale e del proprio ‘essere nel mondo’ non solo in termini intellettuali e culturali, ma anche emozionali ed affettivi. In un certo senso possiamo dire che le emozioni trasmesse dall’arte, ma anche dall’artisticità intrinseca nelle meraviglie della natura, riscaldano lo spirito, rendono più consapevoli della dimensione trascendente dell’esiostenza. In fondo le buone emozioni non sono materiali e non si possono veramente comprare, esse dipendono dal coltivare una certa ‘bellezza interiore’, e in questo l’arte, la letteratura, e la stessa bellezza della natura, aiutano moltissimo.
Coltivare una sensibilità ed un’attenzione verso l’espressione artistica e letteraria consente di conoscere e di esperire le emozioni, per sviluppare una maggiore consapevolezza della relazione con se se stessi e con gli altri.
Inoltre è di grande valore arteterapeutico la possibilità non solo di fruire dell’arte e della bellezza naturale, quanto di esprimere le emozioni in modo creativo, e questo anche se non si è artisti, musicisti, attori, pittori, poeti e danzatori. Ciascuno può trovare un suo modo per esprimere le proprie emozioni in modo simbolico e creativo. Per riuscirvi con maggior trasporto e attraverso una guida esperta può avvicinarsi all’arteterapia, o comunque apprendere una qualche forma espressiva frequentando scuole, maestri ambiti collettivi ove si coltivano la bellezza, la pace, l’amore per la natura, per il prossimo e per lo spirito, e quindi le buone emozioni individuali e collettive.
E adesso una mia esperienza emozionale di autoarteterapia, registrata con un telefonino e con spontaneità (chiedo scusa per le imperfezioni)