Indicazioni e avvertenze
Conflitti, incomprensioni, violenza psicologica tra parenti stretti
Nel 1972 uno dei capolavori della storia del cinema: Ultimo tango a Parigi. La regia è di Bernardo Bertolucci, nomination all’Oscar come miglior regista, nel 1974. I protagonisti, Marlon Brando e una giovane Maria Schneider, appena ventenne. Marlon, alias Paul – quarantacinquenne americano trapiantato a Parigi dopo il suicidio della moglie. Lui vuole spiegare a lei qualcosa sul concetto di ‘famiglia’… Intanto la famiglia è in piena crisi in seguito alla rivolta politica e culturale dei movimenti giovanili del ’68… Ma ecco la ‘scena madre dello scandalo’: Paul prende del burro, sveste con veemenza Maria, alias Jeanne, le lubrifica il fondoschiena e infine la sodomizza facendole ripetere:
Santa famiglia, sacrario dei buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo.
Le complicazioni di Edipo nel ‘Romanzo famigliare’
Da soli non ce la si può fare. Come si fa ‘senza famiglia’, o qualcosa di simile? Cavarsela da soli è dura, o si abbandona, o si è abbandonati. Da sempre gli esseri umani hanno dovuto imparare a stare insieme, aiutandosi, convivendo, ma intanto anche ‘fregandosi’ a vicenda con raggiri, manipolazioni, sfruttamenti e vere e proprie persecuzioni, nonché violenze. La famiglia, nelle sue varie forme, sviluppatesi dall’antichità ai giorni nostri, dovrebbe servire ad aiutarsi e a stare meglio. Ma tutto ha un prezzo: le fregature più solenni a volte avvengono tra consaguinei. Egoismo, sopraffazione, menzogne, dispetti, soprusi, abusi e misfatti sono da sempre l’altra faccia della famiglia, quella oscura, attraversata da ombre, ansie, invidie ‘complessi psicologici famigliari’.
La tragedia greca è per antonomasia tragedia della famiglia, quale irruzione in essa del dramma storico e viceversa. Così le famiglie sono state prese a immagine del ‘rovinarsi della storia’, o di questa sono state la rovina.
Senza che si arrivi alla tragedia conclamata, la famiglia sembra covare nella sua intima natura psicoculturale un tragedia latente, un dramma interiore ed interpersonale che in gergo psicologico si estrinseca nel ‘Romanzo famigliare’. In questo Romanzo – comune ai membri di una famiglia (con tutte le sue novità e varianti) – ciascuno, in un modo o in un altro, resta ‘fregato’, o è convinto di esserlo, oppure cerca di fregare, o anche un insieme tra queste possibilità. Questo ‘se tutto va bene’, cioè, quando non ci sono abusi e violenze gravi. Ci si abusa tra famigliari pur scambiandosi vari tipi di aiuto e solidarietà, e volendosi bene, anche quando nel contempo serpeggia qualche odio o si traggono vantaggi ‘alle spalle’ dell’altro …da lì il senso della metaforica e perversa scena di sodomia di Ultimo tango, all’insegna di un plateale ‘family fuck off!’. Vi è poi sempre il più abusato, la pecora nera, il capro espiatorio, la vittima sacrificale, o il bastardo, il despota, in una giostra di tirrannide, vittime e vittimismi.
La famiglia, sin dal suo nascere come desiderio di famiglia, o dal suo abortire, presume di accondiscendere a quel potenziale di relazioni psicodrammatiche che la coppia di due amanti, consciamente o inconsciamente, ricerca o rinnega. Unirsi per creare una famiglia può diventare un modo di separarsi da se stessi e dal mondo, e ciò si traduce in regressioni disgregative, patologie, complessi, disturbi e traumi. Quel che oggi sono i ‘resti o le rovine della Sacra Famiglia’ vengono dissacrati o riconsacrati attraverso nuove fantasie e nuove concretizzazione di possibili mondi famigliari, diversi, alternativi, trasversali, transgenici, omoerotici, comunitari, allargati o ristretti… ma comunque sempre in bilico tra il luogo di pace e di protezione affettiva e sostanziale, e la prigione ove si resta intrappolati in un conflitto tra odio e amore, lacrime e sangue del proprio sangue! Intanto c’è anche chi si ostina a parlare di ‘famiglia tradizionale’, anche a costo di fare ritorno al medioevo…
La famiglia è un crogiuolo di sentimenti contraddittori, un convitto d’amore che non sussiste senza almeno un po’ di odio, ma che può sussistere per ‘costrizione’, anche senza amore. Per quanto i consanguinei venuti ai ferri corti si possano ripudiare a vicenda, continuano ad essere legati da un sangue psichico che nutre fantasmi morbosi, così che la psiche individuale resta a mollo in una invisibile soluzione miasmatica, che la condiziona e la ammorba. Il complesso di Edipo, tormenta gli individui, le famiglie, la società, il mondo in una catena genitoriale e figliale di odio-amore, egoismo, invidia, gelosia e pur sempre affetto, piacere, godimento e dolore. Eppure bisogna anche chiedersi come Edipo agisce nel complesso, e nel mito. Egli si trascina in una tragedia famigliare perché ogni volta che ha un presagio lo interpreta alla lettera e per evitarlo fugge dea una parte all’altra, e si caccia nei guai. Questo perché Edipo, come lo vediamo nelle pitture vascolari, è sempre ‘in pensiero’, ovvero reagisce ai problemi psichici cercando solo soluzioni logiche, pratiche, razionali. Edipo non è capace di elaborazione simbolica , di mitizzazione. Egli vede il suo dramma famigliare solo in superficie, come concatenarsi di sventurati fatti concreti, non comprende che i presagi oracolari infausti andrebbero interpretati con una sensibilità mitica, estetica, come immagini dall’inconscio della collettività che riverbera in ogni individuo. Intanto si arrovella di pensieri, prende provvedimenti drastici, o accetta tutto, mentre rimozioni e ri-emozioni gli de-formano la vita nelle ‘complicazioni del suo complesso’ . Siamo tutti edipici, non tanto perché legati alla madre, se si è maschi, o al padre, se si è femmine, e temiamo il genitore rivale, ma perché tendiamo ad interpretare i problemi dello psichismo famigliare e dei suoi effetti disturbanti e dolorosi con ‘la sola ragione’, sebbene si tratta di una qualche ‘irragionevole follia’, portatrice di un senso che sta oltre la sua soluzione. La famiglia che fa impazzire, arrabbiare e che delude viene affrontata in analisi o dal ‘vivo’, come una resa dei conti edipica, volta ad aggiustare i fatti e i sentimenti ‘concreti’, in modo di averla vinta.
Risolvere i problemi famigliari non solo può non essere facile, e a volte non è possibile, ma non è nemmeno detto che sia quella la vera sfida. Spesso invece di risolvere si preferiscce, rimuovere, oppure ripetere, rielaborare, ritornare sui propri passi. E’ quella ‘ri’ che diventa una questione angosciosa, come se tutto dipendesse da una seconda chance, da una ri-nascita, che se fallisce non se ne esce più. E può fallire per tutta una vita, nel constante tentativo di ri-provarci in modo edipico. Se vogliamo in qualche modo uscirne, dobbiamo prima trarre dai drammi famigliari un loro senso più profondo: un insegnamento di vita simbolico e spirituale, destinale e ancestrale. Perché l’universo e l’infinito ci hanno fatto finire o iniziare proprio in quella famiglia lì? Qual’è il messaggio speciale che dobbiamo raccogliere e passare come un testimone unico, che viene da prima del formarsi della nostra famiglia e va oltre di essa? Dobbiamo allora uscire dall’Edipo – dalle sue ‘complicazioni edipiche’ logocentrate e concretiste – per non restare invischiati nelle problematicità famigliari, anche perché queste agiscono in un profondo che ha le sue aree occulte, rimosse, in ombra. Il complesso famigliare si costella (costellazione famigliare) in ciascun individuo condizionandone gli affetti, la sessualità, i pensieri, i desideri, i destini… ed in particolare viene condizionata l’immaginazione di una vita diversa, o comunque di una vita che viene scelta come la propria e che ci ha scelto prima ancora della famiglia. La riconquista dell’immaginazione, e quindi della propria vita libera dalla nemesi storica e famigliare, o da un karma falsificante del proprio sé, non può avvenire se ci si arresta nel dare una risposta edipica, che non è capace di andare oltre, e di vedere nel suo romanzo e complesso famigliare un Daimon (Hillman), una vocazione, un suo modo per essere nel mondo.
Edipo ed Elettra. Lui e lei ‘complessati’ in famiglia.
Il crocevia, o la via della croce della psicologia, da Freud e senza di Freud: l’Edipo! Il disperato legame genitori-figlio nel triangolo fatale. L’infante vuole la madre per sé, desidera rubarla al padre o che gli venga da questi rubata, perciò l’odio e la teme, ma anche lo ama. E’ un groviglio che può essere letto anche dal polo materno, più o meno capace di gestire la lotta tra due maschi, il marito e il figlio. Oppure possiamo leggere la castrazione dal polo paterno che dovrebbe riuscire a castrare il figlio, in senso positivo e maturativo, ovvero separandolo dall’attaccamento regressivo alla madre, pur senza evirarlo, preservandone la mascolinità. Il padre sarebbe quello che dice No e impone di crescere. Ma se non funziona tutta questa sceneggiatura, per una miriade di ragioni e sragioni, i figli maschi diventeranno amanti problematici e infelici, prigionieri della castrazione edipica materna (il padre non li avrebbe tirati fuori dal materno).
E che ne è del complesso di Edipo femminile? Dovrebbe accadere qualcosa di analogo: una rivalità tra madre e figlia, per la conquista del padre. Jung ha parlato di ‘complesso di Elettra’, ispirandosi alla tragedia greca che ha per protagonisti sua madre, Clitennestra, il padre Agamennone ed Egisto, l’amante della madre. Poiché la madre e il suo amante uccidono il padre, allora la figlia lo vendica, si allea con il fratello e uccide i due assassini. In termini psicologici possiamo dire che la figlia, anche in caso di una madre fedele, vede in lei un’incapacità nel soddisfare e accudire il padre, e si considera più degna e potente di lei nel sentirsi sua potenziale sposa. E’ la figlia che rende felice il padre, laddove sua moglie pretenderebbe di essere la ‘favorita’, e quindi di rubarglielo. Perciò la figlia svilisce la madre, la irride, la considera colpevole di tutte le fregature famigliari, per negatività o debolezza. La figlia non si identifica più con quel femminile materno che un tempo le sembrava il modello ideale. Intanto il padre può colludere con la figlia, risultando iperprotettivo e amorevole, come l’eterno fidanzato ideale. Ma può accadere che la figlia attui una superidentificazione con il matern. Allora il padre sia abbandonico e delusivo, tenderà ad esercitare ruoli di dominanza in famiglia e a vivere relazioni sentimentali con maschi ‘deboli’ o ‘delusivi’. Nell’Edipo/Elettra, comunque vada, la figlia ‘elettrica’ avrà sempre difficoltà con gli uomini che considererà insufficienti, incapaci di sostituire il padre (sia che sia stato il loro idolo e sia la loro ‘bestia nera’) . Complesso di Edipo e di Elettra, quanto più sono profondi e inconsci tanto più rendono subdolamente infelici. La colpa dell’infelicità sarà sempre ricercata nell’insufficienza di qualcosa o di qualcuno, ma essa posa su un continente sommerso, ove vagano figure d’ombra, inferni e infernetti, segreti inconfessabili, fantasie perversificanti, che come rampicanti infestanti infittiscono le inestricabili foreste e jungle consce e inconsce.
Drammi famigliari ancestrali ed attuali
La famiglia cova l’antifamiglia, l’incesto primordiale che capovolge l’ordine delle cose del mondo, ove le creature anelano a tornare là da dove sono venute. La regressione, cioè l’attaccamento pervicace alle dipendenze originarie che nega il coraggio di crescere e progredire. La via che porta al mondo non si stacca dalla matrice per generare altra vita, ma tende ad essere riassorbita per paura della morte, e così non vive, tende a nullificarsi, regredendo in un tombale grembo materno, o addirittura nell’indistinto che lo precede, verso la de-nascita, il non essere mai nati per non morire.
Queste forze ancestrali, comunque le si voglia comprendere e denominare, pongono la famiglia sul patibolo delle contraddizioni estreme, ove non si sa mai chi sia la vittima o il boia, e se lo si sa, non è mai ben chiaro, quale sia il reato, il sopruso, il giudice, la legge o il fato traditore. In ogni destino famigliare confluisce un conflitto radicale, e l’albero geneaologico può risentirne fino a seccarsi o a marcire, ad essere piagato da vermi, a crescere contorto, a tumefarsi di nodi. Affinché dia frutti non selvatici, ma educati bisogna potarlo, tagliare, rigenerare, concimare. Occorre lavoro, e nonostante tutto per quanto il frutto sia dolce e maturo può perderne in autenticità, libertà, godimento, felicità. La famiglia per bene, i ragazzi diligenti, mamma e papà che vanno a lavorare e sono bravi, sono benemerenze costate care, pregne di rinunce, condizionamenti, compromessi e spesso grandi mascherate. La facciata non corrisponde mai alla piena verità. La luce nasconde l’ombra, l’orgoglio dissimula il turbamento, l’allegrezza cela il rimpianto.
Eppure l’amore dei famigliari, nonostante tutto, resta indenne dal male per una sufficiente quantità, che poi appare tanto più incommensurabile, e in fondo immensa. Altrimenti si è soli, a meno che la persona amica non sia assimilata ad un fratello ad una sorella, il maestro o la maestra ad un padre o ad una madre, il discente ad una figlia o un figlio. Oppure si può contare su Padre Cielo e Madre Terra, sulle figure spirituali che sono incarnate nell’anima come eterni genitori. In ogni religione vi è una famiglia, unita dal sacro spirito nelle sue molteplici forme. E spesso c’è anche un figlio degenere, diabolico, infernale. O una madre ve un padre diventati dei divoratori. La genealogia degli dei greci inizia con Urano che divorava i suoi figli e prosegue con suo figlio Crono scampato al divoramento, che però divenuto padre prosegue nello stesso tipo di menù. E poi anche il Dio Padre veterotestamentario in quanto a punizioni, ire, imposizioni di prove raccapriccianti e diluvi universali non si lesinava, nonostante fosse anche misericordioso. Nel principio divino arcaico originariamente ispirato alla Grande Madre cosmico della natura e dello spirito l’ambivalenza tra vita e morte è la non legge che dà il bene e il male senza che la specie umana possa farsene una ragione. La matrigna natura non è stata solo un problema del Leopardi, ma di tutti gli esseri umani di tutti i tempi. La madre, ovvero la matrice centrale della famiglia è per sua natura contraddittoria e contorta, nutre protegge e poi ci trasforma in nutrimento per altri e ci divora.
Narcisismo patologico alla nascita – fregare e fregarsene
Da sempre c’è uno scontro mortale nell’abbraccio tra coniugi, anche quelli divini, anche tra Padre Cielo e Madre terra, un tradimento potenzialmente sempre possibile e quindi una relazione mai totalmente affidabile, son attraverso grandi suffragi e sacrifici che comunque però non possono garantire la pace perenne.
Ecco dunque che l’ambiguità del magma famigliare straripa per ogni dove, dal mito, alla religio, dallo psichico al sociale, dal romanzo di Dostoevskij alla facciata narcisistica da ‘Mulino bianco’. Per quanto il vissuto e l’imago famigliari siano permeati da norme formali che lo rendono coeso e da sentimenti originari, in essa cova un nucleo informe e deforme. Da quel nucleo scaturisce lo spirito maligno che in un modo o in un altro ci fa restare fregati o ci induce a fregare gli altri, nonostante tutto l’amore di mamma, e anche quello di papà.
E così pare che dal seno della famiglia o dai suoi semi ancestrali si scolpisce sin dall’infanzia una scultura di personalità benigna o maligna, tendenzialmente più avvezza al bene o al male, o meglio: più propensa a fare del male o del bene agli altri o a se stessa (con tutti gli equivoci, i pregiudizi e le ideologie su cosa siano il bene e il male). Senza voler parlare di mali troppo grossi ed evidenti, che trascendono fino alla aggressione e alla violenza fisica, fino cioè’ al cainismo, per cui si uccide il fratello per invidia o per sottrargli i suoi beni, per prenderne il posto al trono, resta uno spinoso calvario di ‘molestie morali’, di dispetti, ricatti, raggiri, soprusi e abusi per fregare l’altro, in famiglia e poi fuori da essa.
Ritorna come una punzecchiatura beffarda, quasi carnevalesca, il verbo ‘fregare’ in tutta la sua sottile volgarità popolare. I don’t care, cioè me ne frego, sta per quella mancanza di attenzione verso l’altro, i suoi legittimi bisogni, le sue aspirazionio, le sue sensibilità. Cosìcché si considera giusto che l’altro resti fregato in nome di un proprio interesse, ma anche perché lo si considera come un rivale, un avversario da fregare prima che lo faccia lui, e questo anche se si tratta di un figlio, di un fratello, di un padre o di una madre. Si presume che il consaguineo – o chi è considerato tale sebbene sia solo la moglie o il marito – possa tramare o pretendere vantaggi e benefici a discapito dei propri, che in passato abbia tratto giovamento dalla sua posizione di forza, e che quindi lo si è subito, perciò bisogna in qualche modo fregarlo e fargliela pagare.
Il narcisista patologico sostanzialmente è uno che se ne frega degli altri e che considera le relazioni affettive come una sfida nella quale o si frega o si resta fregati.
Il miglior sistema che conosce per difendersi dalla relazione che considera fondamentalmente ambigua è quello di mantenere una certa distanza affettiva, di non esporsi a quella che potrebbe essere una dipendenza sentimentale. In tal senso può ammirare i figli o i genitori, ma evita di considerarli completamente affidabili, o comunque di tollerarne l’inaffidabilità – cioè evita di amarli. Per il narcisista patologico l’altro o è da tenere a distanza di sicurezza, o, ripetiamolo, è da fregare, nel senso di approfittarsene, di parassitarlo, di vampirizzarlo. Per tale ragione deve comunque considerare di mantenere in piedi la relazione, di permettere un certo grado di attaccamento e quindi di farsi amare il più possibile dall’altro attraverso un certo grado di manipolazione che esercita talvolta in modo inconscio, quasi spontaneo, e a volte con una dolosa coscienza vigilante, consistente nel tramare per ingannare, sedurre, dominare. Rendersi amabili per il narcisista, e riuscire in tale scopo vuol dire avere l’altro in pugno, poterlo cioè ricattare sul pino affettivo. Ora, non è corretto né leale attribuire etichette di narcisista a tutto tondo a Tizio, o a Caio, ma è invece giusto considerare che in ciascuno vi sono ombre narcisistiche più o meno virulente. Nel contempo però va riconosciuto, purtroppo, che ci sono persone più narcisiste di altre, e che quindi nelle relazioni affettive, anche in famiglia, prediligono la via del fregare e del dominare, l’altro piuttosto che quella dell’amore e del venirsi incontro. Questi soggetti talvolta possono diventare veramente insopportabili e portare una famiglia ad una condizione di stress e di frustrazione paradossali, ovvero assurdi, in quanto se non fosse per il loro narcisismo si starebbe meglio tutti, anche loro.
Nel seguente articolo approfondiamo il tema delle disfunzioni famigliari e dei soggetti narci/border che le esprimono e le amplificano. Vediamo quindi anche quale possa essere la posizione psicologica migliore per comprendere e per reagire a tali disfunzioni senza diventarne preda e senza cadere in interpretazioni troppo ‘medicali’, che pretendono soluzioni tecnico/scientifiche spesso impraticabili quando inefficaci
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Buonasera professore, apprezzo molto la sua riflessione su temi psicologici tanto importanti, e soprattutto il fatto di non ridurli a fenomeni “meccanici”, ma di rilevare che infondo alle nostre vite agiscono forze misteriose che per lo più riusciamo solo ad avvertire, e che temiamo perchè, oltre che ispirarci ed elevarci, purtroppo spesso minacciano continuamente di disperdere la nostra personalità e di distruggerci.
A volte è davvero impossibile sentirsi “nel flusso”.
Ho conosciuto un uomo, due anni e mezzo fa, con cui nel tempo ho costruito un rapporto di amore, intimità, tenerezza e rispetto. Mi piaceva (mi piace) anche tantissimo, e davvero mi sembrava per la prima volta di aver trovato il compagno della mia vita.
Abbiamo convissuto, io volevo sposarmi ma lui è sempre stato molto titubante.
Ora sono stata costretto a lasciarlo, perchè sua sorella, che non ha mai voluto cercare un lavoro e vive con la mamma (vedova) e la sua unica pensioncina, ha voluto avere una bambina da un uomo che ora gioca a scomparire.
Il mio ex ragazzo mi ha detto tra le lacrime e le crisi di vomito (per la rabbia) che non può sostenere il peso di due famiglie, che non ha il coraggio di fare “un cazziatone” alla sorella imponendole di lavorare, che ha sensi di colpa troppo forti verso di lei e la madre che gli impedirebbero di vivere felice con me in un altro stato, che dare dei soldi mensili non può bastare, perchè loro non sanno fare niente da sole; che la sua famiglia è stata sempre così, arida e cattiva, e che così sempre sarà, e lui non ha la forza di reagire.
Io mi sento umiliata nella mia femminilità, e mi sento come se un’altra donna mi avesse sottratto i marito facendosi mettere in cinta; secondo la nostra triste morale ignorante, non conta gli sforzi che una donna fa o non fa per creare un futuro pulito e relazioni armoniose: nel momento in cui spalanca le gambe e espelle dal corpo un figlio, diventa subito santa e ha immediatamente diritto ad ogni tipo di tutela, e di passare davanti a tutto e a tutti. Mi perdoni il linguaggio crudo, ma Dio solo sa quanto desideravo una famiglia e dei figli con quest’uomo. E ora lui è sposato con la sorella, sotto la benedizione della mamma. E ovviamente, non è nemmeno felice. Sinceramente non so come elaborare questi sentimenti. Non so se considerarmi ancora in una relazione con lui oppure no, visto che l’amore tra noi due è vivo e vitale più che mai, anche se non ci sentiamo più. So che lo amo ancora, ma non posso cambiare le cose in nessun modo. Provo pena per lui, empatia, ma anche rabbia. Il desiderio di essere sposa e madre è sempre stato inscritto nella mia anima, ma non so se sarò mai più capace di fidarmi di qualcuno: come devo raccontarmela, stavolta? Ho già 37 anni e vado per i 38. Penso solo all’immagine di lui e la sorella davanti all’altare con la bambina in braccio, durante il battesimo, che sembrava un matrimonio, e mi sento morire.
La ringrazio per l’attenzione avuta fin qui, e per il consiglio che vorrà eventualmente lasciarmi.
p.s. Ognuno di noi ha un cammino animico, ma davvero il destino di due persone che si vogliono bene può essere questo? Davvero la missione di un uomo può essere di vivere alternando rabbia e apatia in una vita che sente imposta dagli altri e dalla sfortuna di essere rimasto orfano, e quello di una donna di ricominciare continuamente da capo in un loop senza fine? Che senso hanno queste esperienze, se non quelle di disintegrare ogni fiducia nei legami affettivi? Scusi il p.s. e grazie.
La sua riflessione denota che lei si trova in un momentoi di particolare sensibilità e si interroga su questioni assai profonde, che riguardano il senso ultimo della vita. Le risposte si possono trovare solo nella poesia e nello spirito. Come psicoterapeuta posso solo consigliarle che le farebbe bene parlarne, aprirsi, poter avere un dialogo conoscitivo e terapeutico, in un percorso terapeutica, ma anche con persone di saggezza e con le quali esistono o sono da rinforzare legami affettivi e di stima. Sembra che nel profondo lei cerchi valori e ispirazioni più elevate, e questa è la cosa che più conta per dare un senso alle nostre sofferenze e delusioni: Dietro una lunga ombra, c’è sempre una grande luce.
Forse occorre un po’ di tempo perché le cose si sistemino. Se ci sono sentimenti buoni tra voi, provcate a mantenerli anche senza essere sposati e convivere. Le cose possono cambiare se diventiamo più accettanti e riusciamo a superare rabbie e disperazioni. Comunque un consulto o un percorso terapeutico le farebbero bene. In mancanza di ciò deve arirsi a parlarne con persone amiche di buon cuore, e persone più anziane che stima per la loro saggezza ed esperienza.
Grazie mille per la sua risposta, Professore. Spero di avere quanto prima la disponibilità economica per intraprendere un percorso terapeutico che mi aiuti a sanare le mie ferite, e a fare il punto della situazione in maniera positiva. Lui mi ha impacchettato tutte le cose da portare via da casa sua, e non mi scrive più, E’ una situazione completamente nuova per me e scioccante, perchè in due settimane sono passata da tutto a niente. Avevo affondato le mie radici nel suo amore, così completo e nutriente, e ad un professionista vorrei chiedere questo, se sono io che ho un modello di attaccamento sbagliato o se sono proprio destinata a soffrire.
Mentre aspetto di poter parlare con qualcuno che mi dia un consiglio professionale (per ora ho solo mia sorella) spero di resistere, di riuscire a portare a termine tutti i miei impegni e di non inacidirmi troppo.
Ancora grazie per la sua attenzione
Buongiorno e grazie per l’ottimo contributo.
Mi permetto di chiedere come comportarsi nei confronti di un parente borderline.
Grazie,
Paola
Ogni caso è assolutamente soggettivo, speciale, unico… la prima cosa da fare però è chiedere un consulto specialistico per farsi consigliare, non c’è mai uno schema unico e le teorie generali servono solo ad inquadrare, ma mai a giudicare e prendere decisioni o fare scelte precise. Bisogna prima diagnosticare come, perché, in che senso, con quali modalità quel parente, nel suo proprio modo, è borderline o quant’altro, e poi allora si potranno avere intuizioni e comportamenti per affrontarlo e possibilmente aiutarlo.
Tra i film in tema… “Sussurri e grida” è un film sul rapporto tra le sorelle che si intrecciano nella dimensione del dolore della malattia del corpo ma anche dell’anima. Il più bel film sul rapporto madre e figlia è lo splendido “Sinfonia d’autunno” con Ingrid Bergman. L’interpretazione istrionica di questa attrice è straordinaria perché uscì fuori dalla sua dimensione sempre molto intima, infatti c’è un altro film “Nina” di qualche anno prima in cui la Bergman interpretò un ruolo così differente dalle sue corde. Il film Sinfonia è un viaggio nel rapporto tra le due donne, una donna di grande carriera (pianista) e la figlia, un’opera sull’incomunicabilità e l’incomprensione. Ricordo una lettera straziante di questa figlia vissuta nell’ombra della madre. Credo sia uno degli ultimi film dell’attrice e il regista nella sua autobiografia scrisse della malattia della Bergman. Il regista Bergman è da vedere e rivedere, interessante anche per il suo lato un poco mistico ( io ci vidi molto Swedenborg) e sul silenzio di Dio Anche “Persona” è un elogio al ritratto in senso visivo e sull’identità in senso psicologico, un viaggio sulla maschera …. Un altro bel film poco noto ma di grande catarsi personale e significato è “L’uovo del serpente”… (metterò un post se posso)
Sarebbe molto intertessante che giungessero anche altri commenti come il suo per ampliare la riflessione sulla ‘storia e la psicologia della famiglia’ nella ‘storia e psicologia del cinema’.
letta così da un comune mortale che non conosce a fondo la psicologia e la mente umana tutto ciò sembra tremendamente cattivo e inumano.leggendo i suoi articoli e molti altri ho cominciato a pensare ai traumi subiti da mia madre e mi rendo conto di quanto lei abbia un disturbo della personalità e secondo me proprio un disturbo narcisistico…però riscontro anche dei tratti border.si passa dalla svalutazione critica feroce e violenza verbale quando nn soddisfo le sue aspettative di comportamento…per poi il giorno dopo dire che basta perdonare e tutto può tornare come prima..per cui chiedere come sto basta per cancellare le aberranti parole che mi sono state dette come che doveva abortire se avesse saputo di partorire un animale…e minimizza dicendo scusa se talvolta ti ho offeso..io cerco di prendere le distanze dalla patologia però lei continua tutti i giorni a martellare sul perché mi sono allontanata senza capire poi le mie spiegazioni..come un cane che si morde la coda…spiego e lei fa finta di nn capire capovolgendo la situazione per far ricadere la colpa su di me..la confusione che creano questi soggetti e la rabbia che istallano è il loro pasto quotidiano..ho tentato mille volte di convincerla ad andare in terapia dopo tutti i traumi infantili subiti ma niente…adesso dice di stare bene perché ha perdonato ma i comportamenti e gli schemi sono sempre gli stessi..
Siamo umani, e in noi ci sono grandezze e miserie, in alcune persone prende il sopravvento una forza o l’altra, e poi in certe persone certe forze si installano imprimendo una sorta di stampo caratteriale, un disturbo di personalità Io credo che tutti possono sempre cambiare, ma per alcune persone può essere molto più difficile che peraltro. Inoltre la famiglia tende a far incistare le problematiche, nella misura in cui al di là della confidenza famigliare si instaura un muro di rigidità e di non detti che non permettono un dialogo più profondo. Detto ciò, l’articolo consiglia di non essere troppo edipici, cioè di uscire dal vortice delle interpretazioni e delle strategie di comportamento per cercare di uscire dalla problematica famigliare… ma spesso è un fallimento frustrante dietro l’altro. Allora al fine di uscirne per un’altra via bisogna prima vedere le questioni ad un livello più elevato, capire che si ha che fare con energie disturbanti, piuttosto che con persone, e che per far fronte a queste energie occorre lavorare per trovarne altre di tipo riequilibrante. Le possiamo trovare concentrandoci nella nostra profondità, nel nostro principio di guarigione, o aprendoci a tutto ciò che ci ispira positivamente. E’ come se si dovesse entrare in contatto con il proprio Angelo Custode, poi allora si troverà con maggior successo la via di sopportazione, riparazione e il più possibile di guarigione della dinamica famigliare disturbante o problematica.