In Platone si evince anche il concetto freudiano di sublimazione, cioè di una carica erotica che non investe solo ‘oggetti sessuali’, ma che si protende nella operosità, nelle arti, nella società, in tutte le azioni che l’essere umano può condurre con piacere e con amore. In tal senso Eros diviene Caritas, e quindi azione prosociale, spirituale, politica. Eros ha comunque bisogno del ‘suo tempo’, che sia l’istantaneo colpo di fulmine o una lenta e meditata ‘cottura’, esso libera il tempo da ogni sua angustia, finanche a immaginarsi e a volersi eterno. Quindi, anche le altre forme di ‘mania divina’, telestica, mantica, poetica hanno bisogno della ‘mania erotica’ e di tempo libero-liberato. Non c’è mania se non c’è una fervida passione che la sostiene.
Poetica. Le ispirazioni delle Muse
Le dee ispiratrici della poesia e delle arti sono le Muse. Queste dee ispirano, incantano, evocano. Esse suggeriscono al poeta ponendo il suo essere in uno stato di trascendenza e di trasporto, così che dalla sua anima possano sgorgare immagini e parole artistiche. E’ vero che Platone guardava con diffidenza all’arte, ritenendola un modo per divagare dalla verità, eppure egli aveva una grande considerazione dell’ l’ispirazione. Come hanno espresso e teorizzato molti artisti contemporanei, e come da sempre evidenziano le arti orientali, il valore dell’ispirazione, la fedeltà ad essa, determina una valorizzazione del processo artistico (opus), dalla quale consegue il prodotto (opera). Il processo, ispirativo e creativo, prevale sull’esibizione, sulla forma puramente esteriore. Gran parte delle filosofie estetiche riconoscono che nelle grandi opere traspare il genio dell’artista, la sua dimensione interna ispirata. In tale prospettiva che colloca la sorgente dell’atto poetico in un primo luogo di ‘ispirazione interiore’, il tema della ‘mania poetica’ si amplia in quanto esperienza dell’anima ispirata che può toccare ogni essere umano, indipendentemente dalla ‘etichetta di artista’. A tutti gli esseri umani possono parlare le muse, ciascuno può riconoscere di aver vissuto momenti d’animo poetici, quantunque non vi sia stata la possibilità, o il ‘tempo libero-liberato’, di concepirli e di esprimerli pienamente. L’esperienza interna della creatività artistica dunque, può considerarsi una ‘mania della creatività e della bellezza’, dalla quale tutti possono essere posseduti. Assai significative in tal senso sono le seguenti parole dello psicoanalista A. Carotenuto:
“Il significato di creatività non deve essere legato necessariamente alle grandi espressioni artistiche, ma al fatto che io, in quanto essere singolo, riesco a sperimentare cose nuove, riesco cioè nell’ambito della mia esperienza a costruirmi una dimensione di vita nella quale agisce la stessa spinta che conduce o trascina un Leonardo, un Michelangelo un Beethoven, un Proust, alla creazione […] importante è attivare, attraverso il proprio lavoro, una dimensione interna che conduca e accompagni la persona a porsi di fronte alla vita con lo stesso stato d’animo con il quale Leopardi, ad esempio, cercava di comunicare a noi il senso dell’ universo” (Carotenuto, 1991: 533).
Telestica. Le ispirazioni di Dioniso
Nella ‘mania telestica’, l’ispiratore è Dioniso, dio della liberazione degli impulsi vitali e del trasporto oltre i limiti dell’Io e dell’individualità. Dioniso è un dio che può favorire un’ampia serie di ‘piccole manie’, le quali hanno in comune una forza capace di strappare la persona dalla quotidianità e dalle abitudini, per orientarla verso il mistero dell’energia vitale che trascende l’individualità e vibra perennemente nel ciclo di morte e rinascita. I greci la chiamavano zoe per differenziarla dall’energia vitale individuale detta bios (cfr. Kerényi, 1969). Il contatto con la straordinaria potenza della zoe presume una spersonalizzazione, un coinvolgimento spontaneo, fusionale e orgiastico con il manifestarsi di tutte le forze della natura, a livello creativo, spirituale, e anche sessuale.
Il senso dello ‘extra-ordinario’ evocato dall’unione con il ‘tutto’ può riguardare ambiti estremamente nobili e spirituali, ove si esprime un anelito religioso o un ideale politico, o anche può corrispondere alla ebbrezza della festa, come occasione profana e terrena della spontaneità e della partecipazione giubilante (Dioniso è considerabile come una radice mitica di alcuni riti e sensi del Carnevale. Vedi Brunelli, 2003a).
Dioniso, come espressione del coinvolgimento collettivo, può miticamente essere presente in una accorata riunione religiosa, in una appassionata assemblea politica, ma anche in una festosa discoteca o in uno stadio. Non importa il valore etico o la forma del ‘fenomeno dionisiaco’, ciò che conta è il contenuto di spontaneità, il senso del trasporto collettivo e della dimensione extra-ordinaria che liberano l’Io dai suoi propri limiti coscienziali, dalla sua identità irrigidita e dai suoi ruoli ordinari.
Il tempo libero diventa allora fondamentale: la deresponsabilizzazione dionisiaca ricerca una piena spontaneità spirituale e istintuale, allergica e trasgressiva verso ogni tempistica calcolatrice e produttiva.
Mantica. Le ispirazioni di Apollo
La mania mantica riguarda la possessione che ispira il profeta, colui che è capace di riportare alla luce il passato ed esprimere presagi e congetture sul futuro. Quindi la mania mantica si riferisce alla fascinazione che si prova verso il tempo. Arti e professioni che esprimono tale fascinazione sono ad esempio l’archeologia, l’antropologia, la storia, la psicologia. Ma in genere tutte le scienze sono sotto il segno di Apollo quando sono considerate preveggenti e futuribili. L’economia è poi pensabile come una sorta di mantica che offre vaticini sui mercati finanziari fino a quelli delle ricerche previsionali di marketing. Qualcosa di analogo può dirsi della politica, come capacità di scrivere la storia, soprattutto quella del futuro.
Nella narrazione mitica, personaggi emblematici della mania mantica sono tutti gli indovini, le sacerdotesse e i sacerdoti dell’oracolo e della divinazione, le profetesse e i profeti (come Tiresia, Cassandra, l’oracolo di Delfi, la Sibilla cumana, ecc.) che tanta fama hanno avuto nelle antiche tradizioni, e che da sempre affascinano l’immaginario collettivo. Presagire il futuro è da sempre una attività essenziale per orientare le scelte degli esseri umani, nella prospettiva dei destini individuali come di quelli collettivi. In tempi remoti si credeva che il dono della divinazione fosse ricevuto dal profeta grazie a forze divine – in particolare, nella Grecia antica, da Apollo. Nella tradizione della Grecia antica erano soprattutto le donne ad esercitare le pratiche della ‘mantica invasata’, in quanto la loro anima, e secondo alcune credenze anche il loro corpo, si congiungeva con Apollo e con altre entità divine ispiratrici della profezia. Platone, nel Timeo, indica che questa forma di ‘mantica’ era la più importante perché proveniva direttamente dagli dei. Invece le forme di ‘mantica tecnica’, che si diffondono intorno al V secolo a.C., come la lettura del volo degli uccelli, delle viscere degli animali, e di molti altri segni profetici, sarebbero arti poco credibili, dato che l’indovino si servirebbe di conoscenze piuttosto dubbie al fine di interpretare segni premonitori, senza avere un effettivo collegamento psichico con gli dei. Così, nelle antiche tradizioni il dono della profezia doveva dipendere dalla possessione di forze divine, piuttosto che da una capacità di esercitare congetture sulla base di tecniche prognostiche.
L’ antica tradizione occidentale da cui potrebbe avere origine l’idea di un tempo libero apollineo, o comunque rivolto ad una liberazione e maturazione del sé, può farsi risalire alle pratiche di meditatio (del pensiero) e di esercitatio (dell’ azione) del ‘conosci te stesso’ e della ‘cura di sé’, (cura sui). Tali pratiche nell’ antichità classica venivano designate generalmente con il nome di Askesis (pratiche dell’ ascesi). Michel Foucault ha evidenziato come tali pratiche, fondamentali nel mondo ellenico e in quello romano, siano state dimenticate o occultate durante lo sviluppo storico della cultura occidentale (vedi Foucault, 1988).
Dice Foucault:
Queste pratiche dipendevano da ciò che spesso viene chiamato in greco epimeleia heautou, in latino cura sui. Questo principio per cui si deve “occuparsi di sé”, “curarsi di se stessi” è senza dubbio offuscato, ai nostri occhi, dalla luce del Gnothi seauton. Ma bisogna ricordare che la regola del dover conoscere se stessi è stata regolarmente associata al tema della cura di sé. Da un capo all’ altro della cultura antica, è facile trovare testimonianze dell’ importanza accordata alla cura di sé e della sua connessione con il tema della conoscenza di sé. In primo luogo, nello stesso Socrate. Nell’ Apologia si vede Socrate presentarsi ai suoi giudici come maestro della cura di sé […]. Occorre dunque comprendere che quando i filosofi e moralisti raccomandano di curarsi di sé (epimelesthai heauto) non consigliano semplicemente di fare attenzione a se stessi, di evitare errori o i pericoli o di tenersi al riparo. E’ a tutto un campo di attività complesse e regolate che essi si riferiscono. Si può dire che in tutta la filosofia antica la cura di sé è considerata sia come dovere, sia come tecnica, un obbligo fondamentale e un insieme di processi accuratamente elaborati (Foucault, 1994: 91-93).
[1] Il platonismo rinascimentale è accuratamente indagato con lo sguardo dell’anima-psiche da J. Hillman (1979), che esprime un sua particolare simpatia per Marsilio Ficino (celebre traduttore dell’opera di Platone). Ficino nelle pagine finali del suo Commentarium inConviviumPlatonis, riprende la quadripartizione platonica della mania. «Furor autem divinus est qui ad supera tollit, ut in eius definitione consistit. Quatur ergo divini furoris sunt speties.Primus quidem poeticus furor, alter mysterialis, tertius vaticinium, amatorius affectus est quartus. Est autem poesis a Musis, mysterium a Dionysio, vaticinium ab Apolline, amor a Venere» (VII, 14 – Testo disponibile ‘on line’ nella versione latina in www.bibliotecaitaliana.it.). L’uso di furor come traduzione del greco mania è attestato in Cicerone. Pico della Mirandola adatta alla sua tripartita philosophia (paragrafi 115-119) la dottrina delle quattro manie divine (divini furores, nel linguaggio di Ficino e di Pico).
[2] Dal Rinascimento in poi l’idea di una correlazione tra ispirazione e follia si assesta fino ad assumere una sua particolare interpretazione nel pensiero romantico. La fantasia romantica di un furor poetico, pervade l’impeto anticonvenzionale e trasgressivo delle avanguardie artistiche del ‘900. Il clima ‘postmoderno’ ha una sua vocazione nel protendersi verso ‘culture altre’ che, attraverso pratiche di ‘alterazione della coscienza’, mirano a provocare una ‘espansione di coscienza’, e quindi saggezza, creatività, conoscenza. Un’opera classica, che propone un imbarazzante quanto affascinante excursus storico sulla relazione tra genio e follia è quella dello psichiatra antropologo C. Lombroso: Genio e follia, Milano, Hoepli, 1877 (ora in versione digitale a cura della Biblioteca Braidense di Milano “Scaffale aperto”: www.braidense.it/scaffale/geniopremessa.html . Il senso psicopatologico e culturale, della relazione tra mania e melanconia, nella episteme della cultura occidentale moderna è espresso da M Foucault, in “Mania e melanconia”, titolo di un paragrafo della sua Storia della follia nell’età classica (1963: 231-251).