Il “Liber Novus”, o “Libro rosso”, di Carl Gustav Jung è stato uno degli ‘attrattori’ alla Biennale di Venezia (2013), rassegna di arte contemporanea – ‘Il Palazzo Enciclopedico’ – curata dal critico Massimiliano Gioni. La mostra non tendeva, nelle dichiarate intenzioni del curatore, a documentare tendenze o ricerche, ma a ristabilire la visione interiore che la modernità ha espresso a partire dalla sostituzione della religione con la psicoanalisi, dell’anima con l’inconscio.
Il percorso articolatissimo di Gioni, una storia parallela, in cui entrano in campo alienazione, alterità, follia, parte esplicitamente da Carl Gustav Jung, con il “Libro rosso” – un vero e proprio codice miniato concepito nel 1913 (cento anni fa!) ed elaborato nel corso di 16 anni.
I modelli che ispirano Jung sono il Faust di Goethe e lo Zarathustra di Nietzsche, e il libro diventa un’autoanalisi svolta sull’orlo di una personale problematica esistenziale, frutto di un dialogo serrato con la propria anima, diventando il lavoro che segna il suo traumatico distacco da Freud.
Jung, elaborando per la prima volta concetti come quello dei tipi psicologici (introverso – estroverso), l’inconscio collettivo, il processo di individuazione e anche attraverso lo strumento dell'”immaginazione attiva” applicato nella realizzazione del “Liber Novus”, marca la distanza dall’impronta freudiana.
Quella che Jung chiamerà più tardi “immaginazione attiva”, è appunto lo strumento inedito di cui egli si serve per suscitare i contenuti archetipici della psiche: nel 1957 Jung scrive: «Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interiori. A essi va fatto risalire tutto il resto. Tutto cominciò allora, e poco hanno aggiunto i dettagli posteriori».
Il libro viene tenuto “segreto” dallo stesso Jung, rivestendosi con il tempo e con la mitizzazione che ne viene fatta (potenza del “segreto”) di una immeritata etichetta di esoterico e iniziatico: Jung infatti non ha mai manifestato alcuna intenzione di “dare alle pubbliche stampe” il suo “Libro Rosso” (lo hanno fatto gli eredi solo nel 2010) e, a mio avviso, lo considerava qualcosa che egli intendeva mantenere separato dal suo scambio con il pubblico, ma non dimentichiamo che a suo tempo egli lo fece leggere a chi gli era più intimo.
L’evento mediatico della presenza del “Libro” alla Biennale ha sollevato l’interesse del pubblico di appassionati alle tematiche junghiane e a quelle dell’arte. I pareri sono stati molto discordi, alcuni hanno ipotizzato la manifestazione di un appetito plutoniano di scavare in quello che Jung intendeva mantenere privato, altri hanno rivendicato il diritto alla ‘sacralità’ della conoscenza, per cui lo ‘svelamento’ del Libro aprirebbe nuove e soprattutto creative aperture di senso.
Il “Liber Novus”, per quanto ‘svelato’, è comunque il libro segreto di Jung, segreto soprattutto in quanto riproduzione simbolica di un universo altro, popolato di immagini interiori che provengono da un aldilà mitico, in cui si caricano di una potenza numinosa che le rende a un tempo guaritrici e pericolose: operatori magici di forze psichiche autonome che solo attraverso un corpo a corpo con l’inconscio è possibile neutralizzare e incanalare in un percorso terapeutico.
Come si può vedere, nelle oltre 370 pagine che lo compongono, è un’opera complessa, profondamente onirica, satura di significati; un’impressionante esperimento di “immaginazione attiva”, un tentativo di portare alla luce, per parole e per immagini, potenti contenuti inconsci.
Le pagine scorrono tra raffinati e monastici (nel senso ‘amanuense’ del termine) sforzi calligrafici, scene dettagliatissime e spesso mandaliche, in una sorta di esperimento scientifico, tessuto con le fibre dell’alchimia e della mistica, che Jung volle compiere su se stesso e che ne mostra anche il lato ‘oscuro’ e ‘maniacale’.
Un testo quindi, straordinariamente intimo dove le immersioni nel sogno, nel mito e nello spirito religioso sono la testimonianza di un processo di rinnovamento e di rinascita del sé, elaborato nel contesto di una personale riflessione cosmologica, realizzata con un percorso artistico ‘performativo’.
Lui stesso definiva la sua come una pulsione artistica, “un torrente di lava”; riconosceva l’importanza dell’opera (Opus) cui dedicava tempo e attenzioni, e sotto la spinta di quella vena artistica non poteva non renderle il dovuto rispetto.
Jung, che ha più volte affermato di non comprendere l’artista contemporaneo -inconsapevole del proprio ruolo educativo e correttivo e sofferente di una ‘frammentazione’ della soggettività, condizionata da una società parcellizzata – con il “Liber Novus” e l’elaborazione delle immagini interiori, archetipiche, nonché con la sua teorizzazione delle forme del pensare, spinge la sua indagine verso l’atto creativo, piuttosto che verso l’opera d’arte, della quale semmai egli evidenzia la natura visionaria, perturbante, che attualizza l’archetipo.
Il “Libro Rosso” si rivela quindi un segreto portale che ci parla della sperimentazione ed auto-sperimentazione dell’inconscio, una preziosa testimonianza umana di un fare esperienziale per conoscere le profondità archetipiche dell’inconscio personale e collettivo.
INTERVISTA A MARIE-LOUISE VON FRANZ, la psicoanalista svizzera che ha dato uno straordinario contributo alla conoscenza e all’evoluzione del pensiero junghiano.
httpv://www.youtube.com/watch?v=58atjWlzYA4
Versione digitale del LIBRO ROSSO in lingua originale cliccando sulla copertina.
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VOGLIAMO LA VERSIONE DIGITALE IN ITALIANO!!!