di Pier Pietro Brunelli e Elisabetta Lazzari
Una riflessione per comprendere le vittime di se stessi… gettando la colpa sugli altri.
Le persone che si comportano in modo vittimistico vivono in una persistente e involontaria sfiducia verso gli altri e verso le possibilità positive della vita, attraverso l’irrigidirsi di meccanismi difensivi disfunzionali. Queste persone possono essere aiutate a migliorare la propria condizione generale di vita e la propria autostima quando si comprendo le ragioni psicologiche profonde del loro disagio interiore che le induce ad accusare gli altri e a non vedere mai le proprie responsabilità. Il recupero dell’autostima è fondamentale per uscire dal vittimismo patologico, ma a tal fine bisognerebbe essere capaci di un minimo di autocritica, cosa che purtroppo non c’è, o al massimo è simulata. Per diverse ragioni il comportamento vittimistico può essere considerato come una particolare forma di ‘narcisismo patologico’ che amplifica l’immagine dell’ego attraverso l’acquisizione di un potere sugli altri basato sulla colpevolizzazione, il ricatto affettivo, l’esaltazione del proprio Io attraverso la sofferenza effettiva, ma anche ingigatita, iperesibita e talvolta simulata.
Non esiste una diagnosi di ‘vittimismo patologico’, ma l’intento dell’articolo è di indagare e far discutere sugli aspetti patologici del vittimismo. Tuttaviaper comprenderci chiameremo genericamente ‘ vittimista patologico’ chi adotta uno stile comportamentale come quello di cui qui ci occupiamo.
La letteratura psichiatrica non parla esplicitamente di “vittimismo patologico” né come sintomo, né come disturbo di personalità… Un’etichetta psichiatrica che si può avvicinare è la “Sindrome di Munchausen” (vedi Wikipedia.org Sindrome di Münchhausen)nella classe dei cosiddetti Factitious Disorder (Wikipedia.org Factitious disorder)…… ma per quanto queste etichette possano essere riferite al vittimismo, essendo quadri generali non vanno a cogliere il processo interiore delle persone che è estremamente soggettivo. Cerchiamo qui di comprendere cosa c’è di pesante e dannoso nel vittimismo, per gli altri e per le vittime del vittimismo stesso.
Qui non si parla del malato immaginario e neppure della persona che fa finta di star male, qui si parla di persone che hanno una difficoltà ad esprimere le loro pene, ansie, dolori, preoccupazioni e sintomi anche reali in una modalità che non risulti affliggente per gli altri e per loro stessi. Non se ne rendono conto, non lo ammettono, non possono farne a meno, per cui esprimono il loro malessere in un modo frustrante e a volte più o meno aggressivo verso gli altri, e purtroppo in particolare verso chi li aiuta o li potrebbe aiutare. Non conoscono il senso di ‘aiutati che Dio ti aiuta’, e, in fondo, temono che richiedere aiuto voglia dire essere preda dell’aiutante, considerato più forte, alquanto ambiguo, e quindi anche da invidiare e difensivamente aggredire. Questo può essere un modo di reagire ad un’infanzia che per quanto abbia avuto una facciata sana e accettabile è stata vissuta, sul piano degli affetti e della fiducia, in modo alquanto ambivalente e pericolante. Nel vittimismo patologico allora si può rivivere l’ansia di non essere mai stati aiutati veramente da qualcuno con piena fiducia e reciproca disponibilità, in quanto da bambini non era così, e l’ambiente domestico e/o scolastico era percepito nella sua sostanziale ambiguità e inaffidabilità psicologica. Da ciò deriva che nel vittimismo patologico si crede che nessuno possa o voglia davvero aiutare e che tutti in fondo se ne fregano. Allora avviene che nel vittimismo patologico si esasperi la richiesta di aiuto implicito manifestando in modo sempre esasperato e continuo i propri dolori e bisogni frustrati – e al di là che siano veri o no, o che siano esagerati – si getta tutto ciò addosso all’altro che pure vorrebbe essere d’aiuto. Un’immagine è quella che la persona che si tenta di aiutare tenta a sua volta di graffiare e mordere chi la vuole aiutare e al fine la accusa anche di non averla voluta davvero aiutare o, come minimo, di colpevole incapacità… Parliamone insieme nel blog, c’è molto da comprendere…
Per aiutare il vittimista patologico occorre un complesso processo psicoterapeutico, di ascolto e di alleanza totale. La minima osservazione delle sue responsabilità può invalidare la relazione terapeutica. Il rischio è dunque quello di fortificare la posizione vittimista che trova nella psicoterapia la possibilità di ‘crogiolarsi’, fino a convincersi che è la poisizione ‘giusta’ da ricercare anche con gli altri. E’ comunque importante che chi si pone come vittimista patologico cronico possa confidare a qualcuno la sua vita e i suoi sentimenti e disagi più profondi. Allora può riuscire ad entrare in contatto con parti emotivamente importanti e parzialmente scisse di sé, in tal modo possono riconoscere quali sono state le fasi e le relazioni veramente dolorose della sua vita, e quindi distinguerle rispetto a ciò che ci è stato di positivo. In effetti quando si riconoscerà che la vita ha detto NO, ma ha detto anche SI’, allora si incomincerà ad uscire dal vittimismo assoluto, ci si comincerà a porre il problema di come ottenere i SI’ e quindi come fare a migliorarsi… si scoprirà che la prima cosa da fare è imparare ad esercitare una corretta e giusta capacità di autocritica e che per molti aspetti si è stati inconsapevolmente vittima di se stessi.
Vittime o vittimisti?
Tutti noi possiamo subire dei torti, piccoli o grandi, o vere e proprie ingiustizie il che provoca certamente dispiacere, ma non necessariamente il sentirsi ‘sempre vittima di tutto e di tutti’. Il vittimista è convinto di subire torti sempre e da chiunque: nell’ambito famigliare e lavorativo, nella coppia, nell’amicizia.
Generalmente, seppure con grande spirito di sopportazione, possiamo affrontare certe offese con l’aiuto della razionalità, ed anche rivolgendoci ad altri per avere sostegno. Possiamo sopportare soprusi e vessazioni da coloro verso i quali pensavamo di poterci fidare anche volgendo altrove la nostra attenzione creativa e ricettiva, costruendo per noi stessi nuovi impegni, situazioni e relazioni volte a fare del nostro meglio. Inoltre possiamo cercare una riconciliazione con chi ci ha offeso e ferito. Talvolta possiamo anche riconoscere che un torto subito deriva da incomprensioni reciproche; con ciò individuiamo una nostra quota di responsabilità. In ogni caso, seppure entriamo in crisi e ci addoloriamo, è naturale il desiderio e l’impegno per uscire dalla situazione critica, dalla quale ci si vuole liberare.
La persona vittimista invece, di fronte alle difficoltà e alle ingiustizie della vita, quelle piccole come quelle grandi, tende a reagire senza volersi veramente liberare della sofferenza, al fine di trarre da essa una forma patologica di difesa psicologica. Essenzialmente si tratta di una difesa non tanto verso gli altri, quanto verso fattori psichici suoi interni: inconsci disturbanti e risalenti alla prima infanzia. Quindi, in un certo senso, la persona vittimista, piuttosto che voler superare la sofferenza tende a crogiolarsi in essa, a trarne un qualche assurdo vantaggio difensivo/aggressivo.
Ciò avviene soprattutto se considera di poter impiegare le proprie pene, ad es. un proprio disturbo fisico, un proprio malessere o disagio esistenziale, come modo per verificare il suo potere nell’ambito di ogni relazione, specialmente quelle affettive. Il vittimista sembra richiedere l’attenzione totale degli altri, fino al punto che agli altri, ai quali viene mostrata la sofferenza, non viene riconosciuta alcuna esigenza e libertà personale, neppure relativa a problemi e sofferenze, che vengono comunque considerate secondarie. In genere il vittimista tende a confortare le sofferenze altrui superficializzandole, con una sorta di fatalistico ottimismo, che se fosse impiegato nei suoi confronti gli provocherebbe vere e proprie crisi di odio e di rabbia. Basta un niente affinché gli altri possano essere accusati di disinteresse, incomprensione e tradimento della relazione affettiva. In tal senso il vittimista patologico si sente assai ferito dagli altri – anche solo perché non lo comprendono – e crede di essere sempre e comunque la vittima innocente di potenziali carnefici. Da tale conflitto reagisce in modo da trarre un potere psicopatologico, basato sull’esaltazione dell’offesa subita, nonché della sua impotenza, del suo dolore, al fine di colpevolizzare non solo il colpevole o presunto tale, ma gli altri in generale, e, in modo assurdo, persino coloro che cercano di offrire il loro aiuto. Seppure il vittimista tende a costruire con chi lo aiuta una relazione di complicità, questa è volta a fortificare il vittimismo stesso. Qualora la persona che aiuta tenti di depotenziare la posizione vittimista o si rifiuti di suffragarla sempre e comunque, la relazione di complicità si commuta in conflitto. E’ difficilissimo uscire fuori dal paradosso per cui chi aiuta un vittimista viene impiegato dal vittimista per fortificare il suo vittimismo, e quindi l’idea di non poter essere aiutato da nessuno, ma al fine solo ferito e tradito… e così via.
La persona vittimista non è in grado di riconoscere le proprie responsabilità, e se si cerca di fargliele notare si sente aggredita.
Una manovra relazionale tipica del vittimista, è quella di accusare gli altri, non tanto per il fatto che gli hanno procurato un torto, ma perché sono incapaci di capirlo e di aiutarlo. In tal modo tutte le persone con le quali il vittimista entra in relazione possono essere accusate di omertà, complottismo, menefreghismo, mancanza di empatia, disumanità, ecc. In particolare medici , terapeuti e servizi assistenziali potranno essere considerati non soltanto ‘colposi e incompetenti, ma anche dolosi, quasi che facessero finta di voler curare, laddove invece traggono benefici per se stessi infischiandosene del maklatoe, anzi arriavando anche a provocare il suo malessere per motivi di lucro. Evidentemente ciò assume tratti paranoidi. Il vittimista si sente infelice e si trova effettivamente in difficoltà, ma anche in mancanza di un ‘colpevole oggettivo’, attribuisce la colpa agli altri, e alla vita e al mondo in generale, sviluppando una sfiducia misantropica generalizzata. Ciò gli fornisce sempre un alibi per non assumersi le proprie responsabilità e rimanere nell’immobilismo di una situazione negativa che internamente sente come immodificabile. Come vedremo alla base del ‘vittimismo patologico’ vi sono specifiche dinamiche inconsce rimaste incagliate in meccanismi difensivi infantili, che generano processi cognitivi ed emotivi disturbati e disturbanti.
Sia la vittima e sia il vittimista, possono subire in quanto agenti passivi, una disgrazia, un tradimento, una manipolazione affettiva o di altro tipo, ad es., economica, tuttavia la vittima non vittimista non ha alcune intenzione di adoperare ciò che ha subito per relazionarsi in modo manipolatorio verso altri che non c’entrano nulla, o dai quali potrebbe addirittura ricevere aiuto e solidarietà. Spesso la vittima vuole anche evitare di far sapere quanto gli è occorso, e quindi di apparire vittima, se non al fine di poter ottenere un qualche effettivo risarcimento del danno subito. Al vittimista invece, paradossalmente, e da un punto di vista emotivo, non interessa tanto la riparazione del danno subito, quanto la possibilità di impiegare il danno subito per esprimere una sua problematica inconscia disturbante, che altrimenti non riuscirebbe ad esprimere, cosa che lo porterebbe sul baratro della depressione e finanche della dissociazione (psicosi).
Il paradosso è che il vittimista impiega la sua posizione di vittima per difendersi da dolori e disturbi psichici verso i quali non riesce a porre rimedio. A tal fine può dunque non solo esaltare la sua posizione di vittima, ma anche fare in modo da poterla perpetuare, rinnovare, al punto di provocare situazioni dalle quali può in vari modi essere ‘vittimizzato’.
La vittima non vittimista, prova gratitudine verso chi la aiuta, perché il suo stato emotivo e mentale di dolore è ancorato ai fatti reali che glielo hanno prodotto e non ad intenzioni, seppure inconsce, di “sfruttare” l’altro per difendersi da antiche ferite irrisolte che si porta dietro dall’infanzia.
Il vittimista non riesce a provare gratitudine in quanto considera la relazione affettiva che la gratitudine svilupperebbe come un ambito potenzialmente inaffidabile. Ciò a causa di una mancata elaborazione della relazione primaria con la madre nella prima infanzia, vissuta come inaffidabile per fatti e comportamenti oggettivi e/o fantasmatici.
Provare gratitudine, fidarsi, aprirsi all’altro e quindi lasciarsi aiutare, amare e ad essere amati, nasconde lo spettro dell’abbandono e del tradimento, perciò piuttosto che provare gratitudine e amore per gli altri che vorrebbe aiutarlo, finisce con il trasformare gli altri ingrati, in persone incapaci di comprendere le sue esigenze, il suo amore, la sua bontà, e, naturalmente, i suoi dolori.
La difesa vittimistica è dunque una difesa dai propri fantasmi persecutori interiori, formatisi nell’inconscio a causa di una relazione disturbata con la madre, e poi con l’ambiente famigliare.
Quanto più questa difesa patologica viene perpetuata tanto più essa si trasforma in una prigione dalla quale non si riesce a uscire, anche perché la chiave è nascosta nel luogo più impensabile e misterioso che esista: dentro il proprio profondo, in zone d’ombra e rimossi dell’inconscio risalenti alla prima infanzia. D’altra parte uscire da questa prigione appare come pericoloso, il male è tutto fuori, e per difendersi bisogna rafforzare la prigione e occultare la chiave in un luogo sempre più profondo e irraggiungibile dentro se stessi.
Quando non vi sono colpevoli o potenziali carnefici finalizzabili a rafforzare la posizione di vittima, l’aguzzino diventa il destino ed il fato che viene considerato sempre avverso, come se si fosse vittima di una qualche predestinazione demoniaca che condanna alla sfortuna costante. Ed è questo un altro motivo per non fare niente e continuare a lamentarsi. Un altro aspetto tipico dello psichismo delle persone vittimiste, le porta a rimandare, a procrastinare o a non considerare tutte le azioni potenzialmente migliorative della loro condizione, ad un ideale “momento migliore”, che potrebbe anche però, a livello di realtà, non arrivare mai.
La realtà, viene però letta in modo deformato dalla persona vittimista, a causa di antiche e precoci difese – o difese “nella” difesa – che ancora permangono attive. Infatti, il vittimismo è una difesa ad es. per non sentire… (continua pagina successiva)
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Sono madre di un ragazzo 25 anni leggendo l’articolo rispecchia in lui questa patologia.
Lui è indipendente e prossimamente si sposa. Eppure accusa me per qualunque cosa gli accada di negativo, E’iniziato tutto da quando si è fidanzato, noi genitori avevamo espresso alcuni disappunti verso la ragazza ma poi con il passar del tempo l’abbiamo accettata. ma questo se le legato al dito!, Contrari anche all’acquisto della casa insieme, ma era sono un nostro parere lasciato poi libero di fare quel che voleva! eppure il suo atteggiamento verso di noi è andato sempre peggiorando in special modo verso di me madre. Non lo capisco più, si è allontanato completamente da noi accusandoci di tutto ciò che gli va storto, nonostante ora non gli diciamo più nulla. non so più come come comportarmi io madre. Ce la con tutta la mia famiglia, non vuole vedere più nessuno. come dobbiamo fare per riprendere un rapporto? Lui è un militare forse obbligato ai comandi? chiedo aiuto
Cara Signora, la crescita dei figli comporta sempre un distacco, e qualche volta può avvenire anche in modo problematico. Il fatto comunque che suo figlio si sposa è segno di maturità. magari ci vuole un po’ di tempo e un po’ di pazienza per superare quel periodo in cui non vi siete capiti. Diciamo che ammettere di non essersi capiti, e che comunque le intenzioni erano a fin di bene, è molto importante. Se invece ci si limita a non dire più nulla, può essere interpretato come il fatto che voi tutto sommato accettate, ma senza incoraggiamento e approvazione. Quindi ancora non si sente capito, e la compagna potrebbe colludere con lui in una reattività aggressivo-difensiva ed anche vittimistica. Mostratevi contenti della sua scelta, d’altra parte tutte le relazioni sono all’insegna del ‘se son rose fioriranno’, ma le rose bisogna anche innaffiarle… date loro un incoraggiamento e considerate il passato come un malinteso da superare riconciliandosi. Ma rose a parte, v anche detto che un matrimonio non è mai solo rose e fiori e comporta sempre sfide, preoccupazioni, adattamenti, per questo bisogna percepire i genitori dalla propria parte, e non solo come chi si è arreso e accetta suo malgrado.
E’ a questa situazione di depressione sottostante e magari inconsapevole perchè sovrastata dalla rabbia, magari inconsapevole, e che bisogna far emergere che mi riferivo infatti. Questo perchè a volte anche i depressi, pur non avendone l’intenzione, possono suscitare senso di colpa negli altri che gli sono vicini o essere considerati vittimisti che non vogliono guarire. Perciò certo, a parte questo, non manifestsno una reale personalità di tipo narcisistico manipolatorio per fare del male. Possono manipolare a causa del dolore ma poi capire l’errore e provare ulteriore senso di colpa per questo appena stanno meglio.
Inoltre, i depressi, anche gravi, in effetti,sono persone capaci di grande affetto, se aiutati ad esprimerlo, magari con una psicoterapia che li sblocchi. Grazie del chiarimento.
Sono d’accordo. A volte è importante trovare lo psicoterapeuta adatto per la propria situazione. Non sempre uno psicoterapeuta, per quanto sincero, preparato e motivato può riuscire a sbloccare totalmente e in poco tempo, l’importante è che abbia contribuito a fare qualche passo avanti. Poi se il paziente ha bisogno di una relazione terapeutica nuova e diversa sarebbe sempre auspicabile lasciarsi con reciproca stima. A volte questo non succede subito, e occorre del tempo per entrambi, terapeuta e paziente, rivalutare una relazione che è stata difficile o che si è arenata, ma se ha seminato qualcosa di buono i frutti saranno più avanti, magari anche grazie al contributo di un altro terapeuta.
Invito a guardare i video della mia conferenza seminario AMORI PATOLOGICI https://www.albedoimagination.com/2016/04/amori-patologici-conferenza-di-pier-pietro-brunelli/
Io ho sposato un vittimista patologico, per di più, abbiamo tre figli. Due dei quali sono adolescenti.
Uno dei due ci sta facendo disperare e ovviamente tutto quello che fa è colpa mia.
L’altra praticava forme di autolesionismo e ovviamente è colpa mia.
Sono stati entrambi bocciati e ovviamente è colpa mia.
Il nostro matrimonio fa schifo e ovviamente è colpa mia.
Con tutte queste colpe ho deciso di intraprendere una psicoterapia un anno fa e non è ancora conclusa, fra l’altro con emdr.
Mi segue la figlia e in breve risolve il suo comportamento autolesionistico e impara a prendere le distanze da noi e a seguire la sua strada, io la incoraggio, ma lui di continuo cerca di riacciuffarla per condividere e confidare i suoi problemi.
Mi segue lui, ma solo per controllarmi secondo me. Inizialmente è contento della psicologa, ma rifiuta di fare l’emdr perchè non si fida di lei. Per un paio di mesi andiamo assieme, poi io mi tiro indietro e ricomincio ad andare da sola, perchè la relazione peggiorava, perchè secondo lui lei appoggiava me e mi proteggeva. Lui continua ancora un paio di mesi, poi smette non ne può più della psicologa, una stronza avida, che protegge me.
Segue mio figlio primogenito il più bisognoso, in quanto ha problemi di comportamento a scuola e un giorno si e uno no mi chiama il preside, fuma erba, alcol ecc.
Da quando va dalla psicologa il suo comportamento aggressivo è notevolmente aumentato a scuola e a casa e qui chiedo il parere del dottore è normale? Ha iniziato a metà gennaio. Io interpreto questo aggravamento come una reazione al diventare consapevoli di certi comportamenti suoi e della sua famiglia. Forse è anche perchè è molto stanco, perchè intraprendere un cammino come questo è faticoso. Mio marito, la vede come colpa mia e della psicologa…. …. Secondo la sua esperienza come può essere interpretato questo aggravamento?
Chiedo scusa per il ritardo… c’è stao un problema tecnico. Comunque è impossibile risponderle, non conosco i dettagli del suo caso specifico. Il suo terapeuta cosa dice?
Signor Brunelli,
dal Ticino ….
ho fatto una ricerca sul web e la ringrazio molto che, ho potuto leggere con molto interesse il comportamento della vittima patologica che lei mette a disposizione all’ utente .
Ho conosciuto una donna 40 anni separata con due figli 5 anni orsono e vivo in montagna agricoltore . Tutto ha cominciato a naufragare la nostra relazione e accusandomi che aveva perso molto … che la città fino ad ora le aveva offerto e il malessere dei figli , avendo poche amicizie! Ma di questo io l’ avevo avvertita e ne aveva tastato prima il campo .
Ma i guai erano anche per l’ affidamento dei figli e i diritti di visita con il padre … in città e poi l’ amica del ex marito che non le andava bene . Perché le scrivo questo ? Nel suo scritto ho potuto come un po’ liberarmi da queste colpe della vittima verso di me essere agricoltore , dedicare non troppo tempo di evasione per lei e i figli … e vittima delle istituzioni sociali per l’ affido … ma non è vero !
Fino a tal punto che, credevo a quel che mi gettava addosso ….ora non siamo più assieme , ma giuro …. lei professore mi ha dimostrato che ho incontrato una vittimista in ogni suo malessere , visto da noi “normali” . Di tutto la ringrazio , si sta male e veramente non ho potuto fare nulla per farle cambiare idea. Purtroppo i giudici …per l’ affidamento dei figli 10 – 15 anni, terranno in considerazione anche la versione del padre naturale per una sana crescita dei figli .
Cordialmente Seann
Naturalmente ogni caso specifico andrebbe approfondito. Comunque è bene trarre dagli articoli una indicazione generale che effettivamente aiuta a capire gli aspetti psicologici di certi comportamenti problematici. Un cordiale saluto
Dal Ticino …
La ringrazio professor Brunelli,
innanzitutto per la telegrafica risposta che non mi aiuta molto in effetti ma, le ripeto che la relazione terapeutica sopra esposta, mi è stata la chiave per entrare nel pensiero di 1 ” malato” (si fa per dire) patologico . Vista la mia situazione è proprio di questi giorni e sentita la mia già compagna … proprio per questo professore, concludo anch’ io di essere accusato da lei …. idiota retrogrado e montanaro ! Concludo avendole detto di si … almeno di questo ora ha raggiunto lo scopo .
Cordialmente buone cose e la Saluto Seann62
A me non sembra che le sia stato dimostrato qualcosa del suo caso specifico, così come di nessun caso specifico se non lo si conosce direttamente, quanto che lei lo ha interpretato utilizzando una possibile chiave di lettura che le sembra appropriata alla situazione che ha vissuto e che le provocato e lasciato delle incertezze per le quali cercava delle risposte. Ogni caso particolare anche se simile sotto certi punti ad altri o a quanto descritto in libri ed articoli, sempre utili ed a volte molto utili per orientarsi, è comunque a sè ed è come tale che dovrebbe essere affrontato direttamente, se si desidera realmente capire qualcosa non solo della persona con cui si è avuta (o si ha perchè non ci riesce a staccarsi o perchè c’è un legame di sangue che impedisce veri distacchi ) una relazione ma anche di se stessi e del perchè si è stati e si è rimasti coinvolti in essa, nel particolare e ci si rimugina sopra, anche per “liberarsi” interiormente.
Buonasera o buongiorno …dipende da come legge,
Saluti Elisa,
grazie per il commento che mi è stato dedicato e analizzato … prendendo del Suo tempo !
Ha ragione … ci si prova ad entrare nel “saggio” per scolpevolizzarsi e dare il torto alla “vittima”.
Però è anche vero …(ex compagna) sapere che l’ affetto da me espresso, era importante e ancora lei tenerti in scacco ! Cioè amicizia si ma affetto no ! Allora mi torna che l’articolo del professor Brunelli a un certo punto, chiariva che la “vittima patologica” punisce facendo passare il curatore …. come approfittatore e aguzzino !
I migliori Saluti ….e magari mi possa ricominciare un sentimento meno problematico ma anche con le mille insicurezze della vita …. Seann
Mio padre rientra perfettamente nella descrizione fatta in questo articolo, mi è stato di grande aiuto leggere queste parole perché finalmente sono riuscita ad inquadrare un comportamento che fino ad oggi interpretavo come cattiveria, pura cattiveria gratuita nei confronti di mia madre che si fa in quattro per aiutarlo. Questa patologia è subentrata dopo un ictus di qualche anno fa, fisicamente non sono rimasti strascichi, invece psicologicamente sono usciti tutti i rancori che ha covato sin dall’infanzia nei confronti di sua madre e di tutti noi. Ci stiamo rendendo conto che questa patologia sta peggiorando molto velocemente, la paura è che arrivi a sfociare in violenza fisica, ne abbiamo avuto dimostrazione durante una discussione tra lui e mia sorella, non è successo nulla di irreparabile perché erano presenti altre persone che sono intervenute. Vorrei sapere se c’è un modo per obbligarlo a farsi curare, se il medico curante può intervenire su richiesta di mia madre, visto che lui non si presenta alle visite. Ho cercato informazioni in merito sul web, ma non vi è nulla, solo la sensazione che si debba stare inermi, in attesa del peggio.
Sarebbe importante che lei per capire meglio come comportarsi facesse almeno un consulto specialistico. Poi a seconda dell’eta il medico curante può indicare i termini per una visita psichiatrica o neurologica anche a domicilio.
Grazie per la risposta, cercherò qualche psichiatra in zona che possa darmi qualche indicazione.
Prima attraverso il medico curante vedere se ci sono le possibilità di richiedere una visita in TSO (Trattamento sanitario obbligatorio).
Gent.mo dott. Brunelli,
mi sono imbattuta in questo sito cercando le ragioni di un comportamento particolare di una mia amica (entrambe abbiamo 31 anni, la conosco da 3 anni circa). Sebbene non soffra forse di un vittimismo così accentuato come quello descritto nell’articolo, ho riscontrato in lei alcuni comportamenti che mi chiedo se non siano indice di un vittimismo più o meno latente. Già dall’inizio dell’amicizia ho potuto notare come si sentisse sola e da subito mi è stata raccontata la sua dolorosa esperienza sia in campo amicale (amiche cattive che poi la mollavano senza motivo mentre lei faceva di tutto per loro), sia in campo medico (operazione ai reni e continui malanni). Pensavo fosse davvero una persona con reali problematiche di salute e ho fatto in modo di starle vicino. E’ seguito un periodo dove era piacevole stare insieme e sembrava rasserenata, poi ecco assurde lamentele se passavano periodi in cui il mio lavoro era più intenso. A volte, ad un mio rifiuto di vedersi per reali problemi, seguivano mille messaggini, prima di insistenza per uscire, poi di finta comprensione velata da una presunta mia colpa sottintesa perché lei dava sempre la precedenza a me (cosa cmq non vera), era sola, timida, non riusciva a farsi altre amiche etc…etc.. . Ho capito che cercava una sorta di migliore amica stile “scuole medie”, una sorta di complicità amicale che non ha avuto e vorrebbe adesso, tanto più che non è fidanzata. Il problema attuale è che io sto vivendo un periodo molto intenso lavorativamente e assisto mia nonna anziana, ragion per cui è molto difficile ricavare spazi per vedersi come prima. Invece di comportarsi come le altre mie amiche che comprendono perfettamente il periodo che sto vivendo, questa persona sembra non comprendere come anche altri oltre a lei possano passare momenti stressanti e si risente così da far sentire me in colpa, come se dovessi dare a lei la precedenza su tutto. In non so come comportarmi, può essere davvero affetta da vittimismo oppure, mancandole il ragazzo, forse cerca una compensazione nell’amicizia che però non può trovare? Grazie per la sua risposta.
Le rispondo ricordando a tutti che non esiste una diagnosi di ‘vittimismo patologico’ e l’intento dell’articolo è di indagare e far discutere sugli aspetti patologici del vittimismo… La letteratura psichiatrica non parla esplicitamente di “vittimismo patologico” né come sintomo, né come disturbo di personalità… Un’etichetta psichiatrica che si può avvicinare è la “Sindrome di Munchausen” (vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_M%C3%BCnchhausen nella classe dei cosiddetti Factitious Disorder (https://en.wikipedia.org/wiki/Factitious_disorder)…… ma per quanto queste etichette possano essere riferite al vittimismo, essendo quadri generali non vanno a cogliere il processo interiore delle persone che è estremamente soggettivo. Cerchiamo qui di comprendere cosa c’è di pesante e dannoso nel vittimismo, per gli altri e per le vittime del vittimismo stesso. Qui non si parla del malato immaginario e neppure della persona che fa finta di star male, qui si parla di persone che hanno una difficoltà ad esprimere le loro pene, ansie, dolori, preoccupazioni e sintomi anche reali in una modalità che non risulti affliggente per gli altri e per loro stessi. Non se ne rendono conto, non lo ammettono, non possono farne a meno, per cui esprimono il loro malessere in un modo frustrante e a volte più o meno aggressivo verso gli altri, e purtroppo in particolare verso chi li aiuta o li potrebbe aiutare. Non conoscono il senso di ‘aiutati che Dio ti aiuta’, e, in fondo, temono che richiedere aiuto voglia dire essere preda dell’aiutante, considerato più forte, alquanto ambiguo, e quindi anche da invidiare e difensivamente aggredire. Questo può essere un modo di reagire ad un’infanzia che per quanto abbia avuto una facciata sana e accettabile è stata vissuta, sul piano degli affetti e della fiducia, in modo alquanto ambivalente e pericolante. Nel vittimismo patologico allora si può rivivere l’ansia di non essere mai stati aiutati veramente da qualcuno con piena fiducia e reciproca disponibilità, in quanto da bambini non era così, e l’ambiente domestico e/o scolastico era percepito nella sua sostanziale ambiguità e inaffidabilità psicologica. Da ciò deriva che nel vittimismo patologico si crede che nessuno possa o voglia davvero aiutare e che tutti in fondo se ne fregano. Allora avviene che nel vittimismo patologico si esasperi la richiesta di aiuto implicito manifestando in modo sempre esasperato e continuo i propri dolori e bisogni frustrati – e al di là che siano veri o no, o che siano esagerati – si getta tutto ciò addosso all’altro che pure vorrebbe essere d’aiuto. Un’immagine è quella che la persona che si tenta di aiutare tenta a sua volta di graffiare e mordere chi la vuole aiutare e al fine la accusa anche di non averla voluta davvero aiutare o, come minimo, di colpevole incapacità… Parliamone insieme nel blog, c’è molto da comprendere…
Buonasera,
il mio fidanzato rientra a pieno nel quadro descritto
“Vittima” di genitori separati all’età di 7 anni con abbandono da parte della madre (che disse di non provare istinto materno) la quale si trasferì in un’altra città col nuovo compagno e visitava i figli una, due volte al mese compensando l’assenza con doni materiali e null’altro. Dopo alcuni anni interrotta la relazione ritorna a stabilirsi vicino ai figli cercando sempre di compensare l’assenza affettiva accondiscendendo ad ogni loro richiesta, tanto che i bambini imparano in fretta a scegliere il genitore con cui trascorrere più o meno tempo a seconda del “guadagno”.
Quando da adolescente, lui inizia a fumare marijuana, fanno tutti finta di nulla
Nessuno dei due genitori fa sentire l’autorità genitoriale sulla questione, né sull’alcool con cui si accompagnano le serate tra amici
Quando lo conosco io, lui riduce al minimo il consumo di marijuana fino ad eliminare del tutto sia quella che il fumo di sigaretta, senza che io glielo chiedessi, solo perché io non ” gradivo “.
Abbiamo convissuto per un pó
La madre non condivideva e ci ha ostacolati in ogni modo, tentando di manovrarlo e disduaderlo con le tecniche più subdole…
Addirittura durante una mia breve vacanza dai miei che abitano a 500km di distanza per sopperire al dolore del figlio che non sopportava il peso della mia lontananza gli regala un viaggio con gli amici ad Amsterdam…
Lui riprende a fumare marijuana
Per un pó, ogni tanto.. Poi…fino a farne uso sconsiderato La madre sperava di avermi allontanata col viaggio e non sopportando la mia presenza (lui era tornato a vivere da lei una volta perso il lavoro perché io da sola non riuscivo a sostenere le spese) lo caccia di casa nel cuore della notte Lui torna dal padre
Ma non lavora e non può pagare il suo vizio Ma é arrabbiato E più é ferito e arrabbiato più ne vuole per fermare le lacrime… Si circonda di persone che ” regalano”… Io mi sposto di nuovo per lavoro… Lui frequenta sempre più gente particolare e arriva a fumare marijuana da quando apre gli occhi al mattino fino a notte fonda… La madre ricomincia con i regali… E si riavvicina… Lui prende i doni e la punisce chiedendo di più E lei piange, urla …lo manda via di nuovo Ma poi torna e dà di più… Il padre figura molto più fraterna che paterna é ancora più incapace di imporsi Ha qualche vizio anche lui e non si sente un buon esempio quindi lascia fare!
La madre incolpa il padre di non essere un buon genitore Il padre incolpa la madre di essere una poco di buono Il tutto avviene davanti ai figli e a chiunque si trovi presente
Il figlio continua a trovare rifugio perché non sta bene, dice
Ma continua anche a fare ping pong tra i genitori che soddisfano ogni suo capriccio
Per i primi otto mesi della nostra relazione sono stata la sua unica confidente, la donna che aveva sempre desiderato, il centro del suo universo (uso parole sue) poi, ha iniziato a mettermi da parte ogni qual volta gli facessi notare che le persone non si usano, che non si ricattano le persone chiedendo regali in cambio di presenza… E soprattutto che non poteva mettermi da parte ogni volta che c’era la possibilità di fumare marijuana
Non mi aveva mai mentito prima
E non mi aveva mai messa al secondo posto
Sono andata via due volte per colpa della marijuana e dopo un pó mi ha cercata lui di nuovo… Ma ora, addirittura é tornato in casa della madre che ovviamente per la gioia del ritorno del figliol prodigo ha scordato che a settembre voleva portarlo in comunità e gli regala di tutto di nuovo
Con me due “mi manchi” in 15 giorni a cui non é seguita conversazione perché gli ho chiesto di rinunciare a questo vizio e di iniziare una vita altrove
Come posso aiutarlo a non perdersi nel suo dolore?
Come posso non perderlo?
Grazie
Per una risposta approfondita e seria è necessario parlarne attraverso alcune sedute di psicoterpia.
Buongiorno,
ho letto questo articolo più volte sperando sempre di trovare poi una soluzione.
Ho 26 e sono fidanzata con un ragazzo anche lui di 26 anni. Lui vittimista e io ”carnefice”. Ogni esempio, ogni dinamica descritta, almeno una volta l’ho vissuta. E la causa è sicuramente nel suo passato dove ha vissuto un’infanzia dove aveva tutti i motivi di sentirsi abbandonato e trascurato, anche se in realtà non lo era.
A volte, presa dallo sconforto, presa dallo sfinimento e dalla stanchezza di sopportare tutti questi circoli senza uscita, ho pensato di prenderlo, e dirgli esplicitamente cosa è e cosa gli succede, ma so che sarebbe distruttivo. Entrare nel suo profondo è impossibile, quella chiave per la serenità è troppo protetta. Mi tiene lontana da tutta la sua interiorità.
Ora sia in una fase molto critica, mi ha fatto saltare i nervi per l’ennesima volta, io ho perso la pazienza, ho tirato fuori la rabbia accumulata, lui ha reagito da manuale, e adesso è in quello stato di zero rancore, come se si fosse dimenticato, però è di ghiaccio e lontano anni luce da me. Come lo posso recuperare?
E’ così solo con le persone che lo amano, e io sono tra queste. qualche volta sono riuscita a farlo ”stare bene” ma per davvero. Ma poi, basta una mossa sbagliata, e sono punto a capo, e tutti i progressi vanno perduti in un secondo.
Se ci fosse un consiglio che può darmi, per riavvicinarlo.
La ringrazio
Non ho elementi per dare un consiglio,bisognerebbe fare una analisi più precisa, non vi conosco… tuttavia, in senso logico oltre che psicologico, non resta che chiedere scusa (magari anche di colpe che non si ha) e tentare con tutto l’amore possibile una via di riconciliazione. Comunque è ovvio che quando una persona ha reali problemi di vittimismo l’unica via è quella di una psicoterapia, o se non vuole di un supporto psicologico a chi sta loro vicino,
Gentile Giulia, prova a pensare che forse il suo stato di “zero rancore”, un essere di ghiaccio e lontano anni luce potrebbe essere indice di una rabbia e di una disperazione, di paura che non può, per motivi interiori suoi (del ragazzo) esprimere a differenza tua e di sentimenti dai quali ha bisogno di difendersi e con i quali potrebbe in realtà temere di ferirti (vero o non vero che sia nella realtà, parlo a livello interiore). Quindi si potrebbe trovare doppiamente bloccato. E magari, ammesso che il vittimismo sia davvero il suo problema perchè qui non c’è alcun elemento descritto che può indicarlo tranne il tuo vissuto con lui ( nel senso che i problemi personali e di coppia possono essere molti e vari pur presentando tra loro somiglianze) sia l’unico modo che ha per esprimere un disagio profondo ovvero un modo, per quanto irritante, di chiedere aiuto. Le persone che sono state inibite per diversi motivi nella espressione emotiva dei loro sentimenti autentici da piccole,soprattutto quelli d’amore ma anche quelli di una giusta dose di rabbia, possono imparare a “congelarsi” per un certo tempo per non essere ferite in situazioni di stress o che percepiscono come pericolose per la loro integrità interiore ed autostima . Spesso si “congelano” per paura di ferire chi gli è vicino anche se la percezione che se ne ha dall’esterno può essere opposta. La situazione può essere quindi complessa. Comunque, come dice il dottor Brunelli, solo attraverso la conoscenza e l’analisi della situazione specifica e delle persone è possibile dare qualche consiglio più specifico quando ci sono dei problemi in atto sopratutto importanti che si vogliono però risolvere.
Ho letto l’articolo con estremo interesse.
Mia sorella mette in atto tutte le dinamiche descritte.
Ha 36 anni, problemi psicologici che non siamo mai riusciti a capire per i quali non si è mai evoluta dal ruolo di figlia e sembra ferma a 16 anni fa: nessuna relazione né amicale né amorosa, nessun legame al di fuori della stretta cerchia familiare, studi non finiti, nessun lavoro. Vive con nostra madre, è infelice ma anche piena di rabbia verso chi le capita a tiro come se la sua situazione fosse da attribuirsi al malcapitato familiare di turno – mia madre, in primis, ma anche io, che sarei colpevole di “essermi fatta i fatti miei” – mi sono laureata, lavoro, mi sono sposata, ho una bambina…insomma la mia colpa è vivere la mia vita nonostante la sua sia “andata a rotoli”. Si rifiuta, tra l’altro, di assumersi qualunque responsabilità, sia per il passato, sia per il presente, sia per il futuro. A un certo punto, intorno ai 30 anni ho notato un peggioramento perché ha cominciato a parlare come se le cose le fossero dovute…come una persona che si svegli all’improvviso e rivendichi dei risultati impossibili, avendo dormito. Ha frequenti crisi di rabbia in cui grida che vuole “una vita come tutti”, una casa, un lavoro, grida che ne ha diritto come tutti. Le sue esigenze, legittime, non poggiano tuttavia su alcun impegno o progetto da parte sua, e quindi appaiono prive di razionalità. Alle crisi di rabbia alterna crisi di pianto inconsolabile, si dichiara disperata, tuttavia rifiuta di farsi aiutare. A mio parere avrebbe necessità di sostegno psicologico o psichiatrico (credo ci sia una componente depressiva) ma non riesco a convincerla, e nel frattempo gli anni passano e lei peggiora, la vedo peggiorare e buttare via la sua vita senza poter fare nulla. Cosa mi consiglia di fare? Sono sola in questa battaglia, nostra madre mi è contro perché non vuole ammettere che mia sorella ha dei problemi nel comportamento.
La cosa più sensata da fare è riuscire a comprendere il più possibile le ragioni INCONSCE e non semplicemente quelle CONSCE (potrebbe infatti trattarsi di questioni completamente in opposizione) che condizionano sua sorella ad irrigidirsi in tali comportamenti. Finché si cerca di capire perché quella persona si comporta in modo disturbato e disturbante spiegandoselo a livello del ragionamento ‘normale’ rispetto alla realtà effettiva , si resterà frustrati e non si caverà il ragno dal buco… Ecco perché sarebbe bene farsi aiutare da uno specialista dell’inconscio, in quanto se non si conoscono certe dinamiche interne, non è possibile fare una diagnosi efficace… Lei deve capire che i comportamenti di tipo vittimistico o di altro tipo disturbante sono come una specie di fastidioso disturbo della pelle, ma finché il paziente o chi lo cura cerca di avere cura della pelle, con creme e quant’altro, il problema non si risolverà.. perchè? Ma perché può essere un problema che deriva dall’intestino, ed è quindi quello che va curato, non direttamente la ‘pelle del problema’, non i suoi effetti, ma le sue cause… e le cause sono IN-CONSCE cioè il soggetto non è capace assolutamente di sapere quali siano e pur di giustificare le sue anomalie ed assurdità tirerà fuori qualsiasi spiegazione, ma mai quella inconscia in quanto quel piccolo IN è fondamentale, vuol dire IN-CONSCIO cioè che non CONSCIO perciò non lo sa!!! Allora più chi vuole aiutare o deve comunque sopportare certe persone ‘difficili’ deve cerca di capire quell’iN e più riesce in tale obiettivo. Ma è ovvio come ho detto che per capirlo sarebbe importantissimo farsi aiutare con qualche seduta che ti aiuta, diciamo così, a diventare un po’ psicologo, meno reattivo e più interpretativo nel profondo (inconscio) al fine di comportarsi nel modo migliore con la persona problematica, per aiutarla e per non subirla troppo pesantemente.
La ringrazio per la risposta, l’ho letta solo ora e proverò a seguire i suoi consigli.
Mi piacerebbe capire se secondo lei mia sorella trarrebbe beneficio dal leggere questo articolo, cioè se a suo parere sarebbe in grado di riconoscere i propri comportamenti e quindi di ammettere di avere questo problema. Già saremmo un passo avanti. E’ diventato sempre più complesso dialogarci perché lei si sente depositaria di una sua realtà che noi non capiamo, ce ne “freghiamo”, come dice lei. Non riconosce di avere comportamenti vittimistici, ritiene invece che chiunque facesse la sua vita li avrebbe, non capisce che ognuno di noi è diverso e ha bisogni diversi e affronta le cose in modo diverso e personale.
Sinceramente penso che mio padre, 78 anni, vedovo da 11 e affetto da patologie deambulatorie e non, sia caratterizzato da vittimismo patologico. Il problema è che nella misura in cui peggiora fisicamente, peggiora anche psicologicamente e mi fa impazzire telefonandomi continuamente, arrabbiandosi quando non mi trova a casa e ho il cellulare spento perché sono al lavoro o in un qualsiasi altro posto in cui devo necessariamente tenerlo spento o non prende. Importuna inoltre le badanti con avances a sfondo sessuali, è fissato col cibo, chiede continuamente a tutti l’elenco di cosa si è mangiato. Come devo relazionarmi a lui? A volte sembra che tutto ciò che faccio per lui, non basti mai, mi colpevolizza se vado via con mio marito e non passo a trovarlo, critica tutti i miei interessi. Credetemi, sono esasperata.
Certe volte è importante far capire, anche con il tono della voce o accentuando qualche problema, che non si sta bene e che per la propria salute e per necessità famigliari bisogna assentarsi o mantenere altri impegi… purtroppo bisogna un po’ fargli sapere che non ci si diverte e che anzi si hanno le proprie sofferenze e problemi…
Buongiorno,
ho letto questo articolo, in quanto sono disperata dalla situazione con mia madre, che rispecchia in tutto e per tutto questa patologia.
Io e mio padre secondo lei siamo dei manipolatori, che la costringono a fare cose che non vuole, che non si interessano a lei, che la dipingono come una folle.
E’ completamente sola, ultimamente piange sempre (quando sta con noi), cade spesso (quando nessuno può vederla), dice di non mangiare (ma secondo me lo fa di nascosto), ci insulta, alza le mani, ci sta logorando di giorno in giorno, non sappiamo più come prendere in mano la situazione.
Da qualche mese ha iniziato ad andare in analisi, ma le cose sono solo peggiorate, le abbiamo detto se fosse la persona giusta per lei (in quanto asseriva che la psicologa le dicesse chiaramente di separarsi, che noi siamo solo dei narcisisti insensibili) e lei ha smesso di andarci (rinfacciandoci questa scelta).
Ho pensato di coinvolgerla in un corso di cucina, ho pensato che conoscere persone nuove, tenersi occupata (è casalinga da molti anni, ma per scelta sua, anch’essa rinfacciata a mio padre), ma le cose vanno sempre più male…assieme a noi ci sono due persone che conosco, madre e figlia (clienti di mio padre) , che per lei sono diventate il nemico, solo perchè hanno preso un pezzo di pollo in più…ha cominciato a dire insulti ad alta voce, a lamentarsi sempre , giustamente queste due persone non l’hanno più calcolata e lei ha avuto comunque da ridire; al mio farle notare che, forse, l’avevano sentita e giustamente non l’hanno più salutata, automaticamente per me esistono solo queste due persone.
Da qualche mese, poi, mio padre ha comprato una nuova auto, lei inizialmente era d’accordo, poi una volta arrivata l’auto ha fatto passare le pene dell’inferno a mio padre, che per accontentarla si è accollato ulteriori spese di mantenimento dell’auto vecchia.
Ora, la vecchia auto ha avuto un problema, quindi è stato costretto a demolirla, da lì sono iniziati tutti i nostri problemi…nonostante l’auto nuova sia uguale a quella vecchia, non la vuole guidare, mi sono offerta di prestarle la mia quando la vuole, ma sembra sempre non bastare mai…per lei era come una persona, non la capiamo mai, ma intanto parla sempre di volere un’altra macchina…cosa dobbiamo fare?
Mi scusi lo sfogo, ma sono veramente al limite.
Lei Alessandra deve diventare meno reattiva, cioè deve accettare che sua madre ha difficoltà e che lei non può terapizzarla più di tanto. Bisogna avere pazienza e fare il possibile per comprendere e aiutare queste persone, ma bisogna controllare se stessi, o meglio il proprio controtransfert, lasciandosi scivolare addosso le negatività altrui, anche quelle di una madre. In altri termini non bisogna prendersela a cuore, certamente si proverà fastidio e dispiacere, ma non frustrazione, rabbia impotente, abbattimento… Si immagini un chirurgo che fa un’importante operazione, certo è concentrato, anche preoccupato, ma le sue emozioni sono controllate, non deve lasciarsi andare reattivamente a paure, dispiaceri, insicurezze, altrimenti gli tremerebbe la mano. Si pensi ad un poliziotto che deve far fronte ad un crimine, certo sarà in tensione, ma deve riuscire a controllare l’ansia, altrimenti potrà anche rischiare di più. Così un parente di una persona che con varie modalità risulta disturbante deve riuscire a controllare le proprie emozioni reattive. Con ciò non è che il problema si risolva, ma si depotenzia, ed anche la persona disturbante migliorerà a mano a mano che si renderà conto che i suoi comportamenti disturbanti ‘non attaccano’. Va poi detto che non bisogna sopravvalutarsi, infatti non è facile imparare a non essere reattivi, e ad esserlo per lungo tempo… prima o poi capita di scoppiare e di reagire, oppure di reagire dentro se stessi, provando forti turbamenti. Allora l’unica possibilità è rendersi conto che occorrono periodi di distacco e di evitamento della persona disturbante. Senza esprimerlo chiaramente, con tatto e diplomazia bisogna evitare confronti, e anche proprio di restare in presenza. Bisogna quindi prendere aria e allontanarsi in una appropriata misura di tempo e spazio dalla persona disturbante, ciò non vuol dire abbandonarla, ma darsi la possibilità di ricaricarsi e purificarsi per poi poterla meglio comprendere ed aiutare. Chi sta accanto ad un vittimista patologico, per non subirlo ed anzi per aiutarlo, deve prendersi il giusto spazio-tempo per se stesso al fine di rilassarsi, distrarsi, vivere… non tanto per una q1uestione di ‘sano egoismo’, bensì di ‘sano altruismo’, nel senso che solo aiutando se stessi migliora la possibilità di aiutare gli altri.
Grazie Elisa, potrebbe essere utile far leggere a Mia madre il passo del vangelo di Luca, è religiosa ma a modo suo, perché anche su quel profilo si sente superiore e ovviamente ne ha da dire e da consigli pure al Padreeterno. Sono sicuro che ne trarrà beneficio ma momentaneo e verra a conclusione come sempre che la vita fa schifo e che le persone fanno schifo, soprattutto mio padre. Nonostante gli acciacchi dell’età e alcuni problemi cardiaci ben curati, attorno a mia madre ci sono persone, amici e parenti che soffrono veramente e hanno problemi seri, molto seri di salute, di tanto in tanto se ne parla, ma ti assicuro che poi il suo male del giorno prende il sopravvento è viene esaltato in tragedia. Tutto passa in secondo ordine. Riguardo alla frase a me destinata ” vai pure tranquillo in vacanza con i tuoi amici o con la tua compagna, tanto poi ti avvisa la guardia medica ” è in parte da correggere, perché non è la guardia medica o la polizia ad avvisarmi nel caso, ma Lei stessa un attimo prima di morire, praticamente ogni sera dei giorni di vacanza, da 30 anni. E dico ”VACANZA”, non esiste per lei, non deve esistere per altri.
Un saluto affettuoso.
Caro Amedeo comprendo bene la tua situazione e l’ansia e conflitti con il relativo malessere che può crearti quando tenti di fare una cosa per te e sei continuamente tenuto in ostaggio da questi comportamenti materni ma vorrei farti una domanda ed una proposta di riflessione. Cos’è che ti spinge, nonostante l’età adulta e la maturità e consapevolezza spiccata, a sottostare ancora oggi (oltre ad un normale e dovuto senso di responsabilità verso un genitore anziano che ha problemi di salute ..) al gioco di tua madre, ai suoi ricatti emotivi – in senso lato perchè sicuramente non è realmente consapevole di come si comporta e del disagio che ciò ti comporta – nei tuoi riguardi?
Un senso di colpa? (reale o immaginario.). Una qualche tua profonda paura? La paura di “tradirla”? Una particolare dipendenza affettiva da lei ed un’ansia da separazione sulla quale lei può far leva?
Un caro saluto ed un abbraccio
Carissima Elisa, in pratica ti sei già risposta: ”(oltre ad un normale e dovuto senso di responsabilità verso un genitore anziano che ha problemi di salute ..)” io vivo a molti chilometri di distanza dai miei genitori per motivi di lavoro, sono figlio unico e loro non fanno nulla per farmi dormire tranquillo da anni,…almeno 45. Io ne ho 50.
Non ho sensi di colpa, dovrebbe averli lei, non ho paura di tradirla, in nessun senso, piuttosto è lei che tradisce me con i suoi discorsi e azioni, penso sempre che sia migliore su alcuni aspetti invece mi smentisce puntualmente. Non ho il complesso di edipo se è questo che vuoi sapere, vivo da anni lontano da casa anche per scelta se fossi rimasto sarei morto da almeno 20 anni causa ictus. Mi preoccupa molto mio padre, vive con lei e non ha alternative se non scappare, ma è tardi.
Fa una vita di inferno ( anche per colpa sua, io sarei scappato da lei dopo due giorni ).
per il resto ce la caviamo abbastanza bene. Infondo siamo delle buone persone. Un saluto.
Riflettendo aggiungo che:
Non si tratta di sottostare al suo gioco o ai suoi ricatti emotivi, ma di difendere ad oltranza
mio padre , Me, la mia compagna, i miei cugini i miei zii, i miei amici, ecc….io faccio da suo referente continuo, ne ha una per tutti e mi parla male di tutti, non e è semplice estraniarsi, chi ha un po’ di carattere reagisce, ma finisce con accumulare negatività e perdere energie vitali, potrei essere più forte e sereno di quanto sono. Magari sbaglio, ma purtroppo è una persona problematica, refrattaria ad ogni genere di cura, se non quelle relative ai suoi problemi cardiaci….possibilmente non invasivi…in pratica solo pillole.
Ha rifiutato quasi tutti gli esami di routine, angioplastica compresa. Chi me lo fa fare?
Su questo farei una seria riflessione. Forse quello che le dicevo nella prima risposta.
Caro dott. Brunelli, ho letto l’articolo e l’ho trovato molto significativo per il momento che sto vivendo, momento che si protrae ormai da diverso tempo. Mi sembra di riconoscere tutte le caratteristiche del “vittimismo patologico” nel mio compagno. Stiamo insieme da quasi tre anni tra alti e bassi, ultimamente abbiamo continue discussioni, lui si lamenta di qualsiasi cosa, lavoro, stanchezza cronica e poi non gli va bene nulla, si lamenta di me di come mi relaziono con lui, del nostro rapporto, della nostra intimità, fa continui paragoni con le sue relazioni precedenti dicendomi che queste continue discussioni non le ha mai avute precedentemente, scatenando in me una sensazione di inadeguatezza, anche se io sono consapevole che le sue accuse sono infondate perché passa da momenti di euforia ed idolatria nei miei confronti a momenti come questi che ho descritto, solo che questi ultimi sono sempre più frequenti. Tutte le volte si ripete il solito cliché, si rabbuia per qualcosa che al momento non capisco creando un clima di tensione, se gli chiedo spiegazioni si altera, se faccio finta di niente idem, i motivi poi che adduce sono a mio parere futili, ad esempio gli ho dato il buongiorno ma non un bacio, ho dimenticato di mettere qualcosa a tavola, dico una cosa ma a suo parere volevo sotto intenderne un’altra, mi sembra di camminare sulle uova, perché ogni volta si comincia così ma non si sa mai dove si arriva, alcune volte mi ha detto cose che mi hanno talmente ferita che ho perso il controllo dalla rabbia e sono arrivata a colpirlo facendogli male, facendoci male. Non so più cosa fare, vivo in continua tensione, anche quando stiamo bene basta poco perché si rovini l’armonia…
Tempo fa gli ho proposto di andare da uno psicoterapeuta per cercare di capire come poter risolvere questo malessere che colpisce entrambe, lui però non si è mostrato interessato alla cosa se non quando gli ho detto che ci sarei andata da sola.
La volevo ringraziare per l’articolo, mi è stato di aiuto, se non altro per riacquistare un po di fiducia in me stessa…
Cordiali saluti
Grazie per questi incoraggiamenti. Controlli le esplosioni di rabbia, sono comprensibili ma non devono passare all’atto fisico… qualche urlo , ma non di più… bisogna quindi imparare a lavorare sulla propria reattività rendendosi più impermeabili e imperturbabili possibile, lasciandosi scivolare le negatività addosso ‘senza prendersela e senza prendersele’ (lo dice la parola stessa ‘no… prendersela… cosa? la sua negatività, che ti fa diventare negativa… – tecnicamente si parla di ‘controidentificazione proiettiva’) – Un caro saluto con solidarietà.
Cara Anna Maria,
ho letto la tua mail e mi permetto di dire un mio parere perchè anch’io ho vissuto per 5 anni una storia come la tua, che purtroppo è andata peggiorando di giorno in giorno.
Negli ultimi tempi il mio compagno si era focalizzato soprattutto su di me, non gli andava bene nulla, travisava le mie parole e mi criticava in continuazione, dalla cosa più banale come un cibo cucinato in un modo piuttosto che in un altro, a come mi vestivo, come camminavo, ma soprattutto per quello che dicevo.
Ero arrivata al punto tale che dovevo prestare molta attenzione alle parole che pronunciavo perchè sistematicamente gli dava un’interpretazione del tutto personale e sbagliata.
Questo suo modo di comportarsi lo aveva già in parte isolato dai suoi amici, alcuni si sforzavano di accettarlo, ma sicuramente la sua compagnia non era gradita e si notava.
Alla fine mi sono arresa, il nostro rapporto con continui dissapori, discussioni e alternanza di periodi di pause, si è lentamente deteriorato, al punto che non riuscivo più a provare un vero sentimento per lui.
Le liti accese con frasi pungenti e offensive da parte sua nei miei confronti mi hanno fatto capire che non volevo più portare avanti una storia simile.
Il suo vittimismo misto ad un’ipercriticità eccessiva rappresentavano un grosso problema; penso che se non avessi trovato il coraggio di lasciarlo, mi avrebbe trascinata nel suo vortice malato.
Sono trascorsi due anni da allora, sono ancora abbastanza giovane e sono stata fortunata: ho incontrato una persona che mi apprezza per come sono, un uomo positivo che non si lamenta tutto il giorno, che mi lascia vivere la mia vita senza rendere tutto molto pesante; sono uscita da un incubo nel quale vivevo e di cui non avevo sufficiente consapevolezza.
L’ho capito appieno dopo averlo lasciato ed ora sono rinata.
Se posso darti un consiglio: prova a capire se davvero ami questo uomo e vuoi tentare il tutto e per tutto, o aiutandolo in qualche modo, oppure accettandolo, altrimenti trova dentro di te il coraggio di chiudere questa pagina.
Non sono d’accordo che bisogna imparare a lasciarsi scivolare le negatività e che bisogna lavorare sulla propria reattività perchè queste persone alla lunga diventano odiose e il loro continuo cronico vittimismo (come nel mio e nel tuo caso misto ad una insopportabile criticità), spegne i sentimenti, stanca e sfinisce chi sta loro vicino.
Ti faccio un grande in bocca al lupo.
Paola
Paola, ti faccio i miei complimenti.
Una fotografia perfetta del tuo vissuto, simile a quella di molti altri,
in più con la soluzione migliore. Per chi ha a che fare invece con un genitore anziano vittimista la cosa si complica un po’. Ti assicuro però che le tue parole sono di grande aiuto. Se mio padre avesse letto quanto scritto da te avrebbe fatto tutt’altra vita, e forse pure io. Saluti
CARO DOTTORE HO LETTO TUTTE LE CARATTERISTICHE DI UN VITTIMISTA PATOLOGICO, IO VEDO TUTTE QUESTO IN MIA MOGLIE CHE CONOSCO DA 20 ANNI.
NIENTE QUALCOSA A VOLUTO CHE LEI MI CHIEDESSE IL DIVORZIO .
ORA LEI E ANDATA VIA CON MIA FIGLIA DI 4 ANNI A VIVERE DA SUA MAMMA MOLTO LONTANA DA ME, DA POCO SONO VENUTO A SAPERE CHE STA CONTINUANDO A FARE LA VITTIMA CON UN’ALTRO LUI E TUTTI I SUOI PARENTI ,TUTTI GLI STANNO VICINI PERCHE SA LAMENTARSI NEL MODO GIUSTO IN BASE ALL’ESIGENZA, LA MIA DOMANDA E ANCHE PREOCCUPAZIONE POTREBBE ARRIVARE A FARE DEL MALE A MIA FIGLI DI 4 ANNI ,NEL CASO GLI VERREBBERO A MANCARE GLI AIUTI CHE CONTINUAMENTE CHIEDE.
IO ULTIMAMENTE MI ERO STANCATO DELLE SUE CONTINUE LAMENTELE E NON GLI DAVO PIU RETTA ,FORSE E QUELLO IL MOTIVO DEL SUO ALLONTANAMENTO DA ME. IO NON VOGLIO PORTARGLI VIA SUA FIGLIA MA COME POSSO PROTEGGERLA DA LEI IN CASO SUCCEDE QUALCOSA?
A queste domande così specifiche che riguardano scelte vitali non è possibile rispondere via blog… è opportuno che lei individui un consultorio a cui rivolgersi, oppure che contatti uno specialista, anche chiedendo consiglio in tal senso al medico curante di famiglia.
E su quale base effettiva vera e concreta puoi affermare che sta ancora facendo la vittima visto che, da quello che scrivi si capisce che, te l’hanno semplicemente riferito. Ma tu l’hai mai vista fare la vittima con i suoi parenti? No!!! Ti stai a fare solo grandi ed inutili seghe mentali. Ha fatto bene a lasciarti perché le stavi imponendo le tue idee e probabilmente ultimamente eri diventato anche troppo pesante. Anch’io avrei fatto lo stesso. Probabilmente ti da fastidio che ti ha mandato a quel paese, è questo l’effettivo problema, e te lo sei meritato su tutta la linea.
Si può sapere perché le mie risposte non risultano leggibili. Ieri ho dato altre ben due risposte e non vi sono presenti, probabilmente scomode?
Il problema è che non sempre posso attivare le risposte subito, non è una chat immediata, mi occorre un po’ di tempo per potermi a questo sforzo di ricerca e di volontariato. Ringrazio tutti per la pazienza e la collaborazione.
Egregio dottor Brunelli,
ho letto con attenzione il suo articolo e le vorrei chiedere un consiglio.
Mia madre ha 81 anni, mio padre è morto molti anni fa, lei da anni ha un nuovo compagno, sta bene in salute ed economicamente, fa una vita agiata e molto brillante.
Non avrebbe motivi per lamentarsi, ma non è così: non è mai soddisfatta di nulla, si lamenta per ogni cosa.
Forse non è un vero e proprio vittimismo il suo, ma una lamentela continua, sul suo compagno che non la capisce e che non sopporta più, sulle figlie di lui che non le sono riconoscenti perchè si occupa del padre, sugli amici che non sono mai come li vorrebbe, sui miei fratelli che non la vanno a trovare e non si preoccupano per lei che è anziana, ecc., ecc.
Tutte queste lamentele e/o vittimismo ricadono inevitabilmente su di me e sulla mia famiglia, visto che siamo i familiari più vicini, con i quali si sfoga in continuazione dimenticando che abbiamo una nostra vita con i nostri problemi.
Quello che le chiedo gentilmente è non tanto scoprire se si tratta di vittimismo o di un’altra patologia, perchè che ne sia affetta credo sia fuori discussione, ma come possiamo fare io e la mia famiglia per non farci “violentare” psicologicamente da questi continui logoranti comportamenti.
In sostanza, vista l’età e il fatto che sicuramente lei non solo non si sottoporrebbe mai ad una psicoterapia o cose simili, ma addirittura negherebbe di essere afflitta da problemi di alcun genere, noi pensiamo che l’unica soluzione possa essere quella di prendere le dovute distanze.
Lei che cosa ne pensa?
La ringrazio molto e le porgo distinti saluti.
Veronica
Il problema è che nel nostro intimo soffriamo quando ci sentiamo incapaci di aiutare una persona cara, quando non comprendiamo cosa essa voglia da noi, quando la vediamo infelice e desideriamo che invece sia felice. Non si può sfuggire al vittimismo patologico di una persona amata, la sua ostinazione a mostrare sempre e comunque il suo malessere ci ferisce e ci colpevolizza. La sola cosa possibile per essere d’aiuto a queste persone è lavorare su se stessi, anche al fine di accettare la loro problematica e di capire che questa non dipende in alcun modo da noi e che noi abbiamo diritto a vivere e ad essere felici anche se loro fanno di tutto per non esserlo e persino si infastidiscono se a loro sembra che stiamo bene o benino… si tratta di un disturbo, non è cattiveria, è un modo sbagliato di rispondere ad una depressione sommersa… di certo è anche vero che hanno motivo di lamentarsi e di soffrire, ma nella persona che non ha questo disturbo, ciò non impedisce di esprimere affetto, solidarietà, gratitudine e di non mostrarsi sempre lamentosa arrabbiata e litigiosa perché ce l’ha con la vita in generale e quindi anche con noi… ma ripeto, se si deve aver che fare con una persona con problemi del genere è consigliabile un terapia su se stessi (loro in genere non sono disponibili in tal senso) al fine di poterli meglio comprendere e aiutare e di non esserne danneggiati.
Egregio dottor Brunelli,
la ringrazio molto della risposta, ho letto anche alcune di quelle che ha dato ad altre persone e mi chiedo e le chiedo: ma è davvero così? Non si può sfuggire al vittimismo patologico?
Io voglio bene a mia madre, ma non soffro per non essere capace di aiutarla, perchè il sostegno psicologico che le ho fornito in tutti questi anni di lamentele mi ha prosciugato tutte le energie e le dirò anche che non è mai sufficiente, ne serve sempre di più.
Lo scorso anno ho subito una quadrantectomia con relative terapie e anche in quel frangente non mi è stata per niente di sostegno; ero io ad ascoltare i suoi assurdi ed inesistenti problemi, anche in un momento così difficile.
Non mi permetto di discutere il suo parere da professionista, ma non riesco a credere che una famiglia intera come la nostra, ostaggio della sua “malattia” e del suo egoismo, per poter vivere la propria vita abbastanza serenamente si debba sottoporre ad una terapia individuale o di gruppo.
Perchè è sbagliato prendere le distanze da queste persone?
Non è con un parziale allontanamento che una persona affetta da vittimismo può riflettere e rendersi conto quantomeno di non essere al centro dell’universo?
Grazie ancora per la sua risposta.
Veronica
Salve, ringrazio infinitamente per l’articolo: davvero esaustivo, mi è stato di grande aiuto.
Mia madre corrisponde esattamente alla vostra descrizione. Da un anno ha deciso di affrontare delle sedute con uno psichiatra(che le sta molto simpatico), ma rifiuta la cura farmacologica da lui consigliata, per paura di danneggiare il fegato.. vive in un continuo stato di rabbia/invidia verso chi, secondo lei, sta meglio(compresi noi figli,e l’anziana madre, spesso sgridata perchè, sebbene anziana, non ha malattie gravi!!!!). Minimizza i problemi degli altri, anche un malato terminale sta meglio di lei, poichè sicuramente si è goduto la vita, mentre lei no! Tutti sono colpevoli del suo malessere: l’ex marito, i genitori, noi figli, che non l’apprezziamo/ascoltiamo/difendiamo abbastanza..gli “altri”, invece, sono fortunati perchè hanno figli bravi, belli, premurosi, mariti ricchi ecc ecc E così è sempre stato.
Parla in continuazione(per ore) dei suoi problemi, ingigantendoli e vedendo tutto negativo. Teme che qualche parente possa metterle del veleno nel caffè, dice che noi figli desideriamo la sua morte…e insomma, tutto cio’ che avete scritto voi, ma al contempo ha un’altissima considerazione di se stessa, dice di amarsi molto, e si sente superiore a 3/4 di mondo.
Superati i 30, mi ritrovo a capire che è malata, dopo aver vissuto un’ infanzia immersa in una realtà parallela e fasulla da lei costruita(dove l’ho creduta davvero vittima e dove mi sono sentita sempre in colpa per tutto, anche della fame nel mondo), io sicuramente comincerò una terapia, perchè mi ha risucchiato forze e pazienza, ma vorrei sapere come fare per lei, poiché rifiuta le cure farmacologiche..e la situazione va solo peggiorando.
grazie mille
Quante cazzate in un’artico!!! Risponda ad una semplice domanda: se uno viene escluso, da un gruppo, da un evento a cui teneva molto, o viene consentito ad un’altra tua amica di partecipare escludendolo automaticamente fuori, senza nessuna spiegazione verosimile e logica del perche e stato esclusoei si sentirebbe ferito ?? Si o no??
Innanzitutto è scorretto il suo modo di intervenire e mi spiace. Poi è anche scorretto il comportamento di chi esclude gli altri senza dare spiegazioni… Quando si viene trattati in modo ingiusto , come nel caso del modo di porre la sua domanda, o perché si è stati esclusi ingiustamente ci si sente feriti. Comunque le scuse sincere possono riparare, ma non sempre le persone sono in grado di scusarsi, specie quando sono travolte dal vittimismo patologico.
Le scuse false sono facilissime da individuare. 1) Uno ti porge le sue scuse: non credo di averti ferito se l’ho fatto ti chiedo scusa. (Fin qui tutto bene) 2) Dopo pochi secondi o minuti che ha fatto le sue scuse si nota che continua a sostenere la propria teoria. 3) Se ne deduce che le sue scuse non sono sincere, perché, anche se si è scusato, non c’è minima traccia di pentimento sincero poiché nonostante esse la sua opinione non muta di un millimetro, il che vuol dire che sono scuse lì accampate in aria tanto per chiudere il discorso! 4) Chi ha difficoltà a scusarsi non è chi fa vittimismo (che non esiste!) ma l’esatto contrario e colui, come lei, che non crede alla verità e continua a vivere nelle sue menzogne, e anche la faccia tosta di accusare gli altri di vittimismo. Semplicemente, è un vigliacco che non è in grado di assumersi le responsabilità delle proprie azioni tacciando gli altri di vittimismo.
Mi scusi Sara ma una persona, in questo caso il dott. B. non potrebbe farle delle sincere scuse perchè gli dispiace se si è sentita ferita da qualcosa scritto nell’articolo (che ovviamente non era riferito a lei ma ad un tema in generale..) anche rimanendo convinto delle sue teorie? Non capisco perchè le due cose le appaiono in caso tanto inconciliabili in considerazioni che gli articoli trattano alcuni temi in linea generale e non si riferiscono nè a lei, nè a me nè a Giorgio o ad Antonio o a Maria.
Sembrerebbe da quello che trasmette nel modo in cui utilizza il suo linguaggio, che lei ha molto sofferto per via di qualche esperienza in cui qualcuno l’ha molto delusa e ferita sottraendole un qualcosa che riteneva suo e che poi per il suo dolore e rabbia, l’ha accusata anziché mostrarle comprensione e forse, restituirle il “maltolto”.. Non so, ho la sensazione che lei si senta come derubata di qualcosa di molto importante legato al suo valore, che ha sentito forse non adeguatamente riconosciuto. O attaccato dall’esterno. Mi spiace se qualcuno l’ha accusata dopo averle fatto un “torto” in qualche campo della vita, di vittimismo. Sicuramente una brutta esperienza perchè non sempre la parola viene usata in modo idoneo nella vita reale, anzi., così come altri vivono con genitori che ne sono affetti per motivi interiori e che rendono le loro vite esasperanti. Qualsiasi articolo ma anche un qualsiasi romanzo, può trattare argomenti che non condividiamo in parte o per nulla ma dobbiamo sempre considerare che non è riferito a noi ma siamo noi che ci immedesimiamo nel bene o nel male a seconda della nostra esperienza di vita ed interiore, vivendo sentimenti di approvazione e rifiuto, questo accade a tutti. A volte fa bene a volte ci fa arrabbiare di più. A volte possiamo approvare qualcosa e non il resto. Anche nell’alimentarci è così: qualcosa ci piace, qualcos’altro no ma lo tolleriamo, qualcos’altro per niente ed altro ancora può farci male, provocando una colica, un’allergia. Nel frattempo, quello stesso alimento che a noi fa male potrebbe star nutrendo altre persone che hanno un diverso metabolismo e sistema immunitario rispetto a noi.
Gentile Sara, nello scrivere la sua domanda lei già conosceva la risposta che le sarebbe stata data e che voleva ottenere perchè ogni situazione di esclusione ingiustificata o apparentemente tale per chi la subisce e magari non riesce ad accettare, per validi motivi personali, eventuali motivazioni che gli vengono date (può anche esserci un rifiuto in tal senso perchè prendere coscienza di una parte di validità di tali motivazioni, qualora ci sia, farebbe diminuire la nostra autostima, provocando una profonda ferita e rabbia) non può che far sentire feriti; è la logica semplice ed un minimo di esperienza che lo dice.Escludere gli altri non va bene ma non va bene neppure la sua maleducazione ed aggressività nel modo di porgere la tua domanda per quanto motivata da rabbia.originata altrove e che forse si è amplificata. Cambiando prospettiva, provi anche a pensare se piuttosto qualcosa che hai letto non t’abbia un pò punto sul vivo, non volendo ed a rifletterci con calma.
Mi dispiace per lei ma la sua teorie fa acqua da tutte le parti! Non c’è nulla che mi abbia punto sul vivo. Semplicemente mi innervosisco certe insule teorie psicologiche di saggezza da quattro soldi! Sono teorie insulse sostenute dai vigliacchi, che non hanno il coraggio di assumersi le responsabilità delle proprie azioni e, se ne lavano allegramente le mani tacciando gli altri di protagonismo! 2) In italiano senza spiegazione significa prive di spiegazione, senza alcuna spiegazione, spiegazione essenti, inesistenti (non spiegazioni date ma non accettate da chi le ha ricevute). Spiegazioni, richiesta al fine di migliorare se stessi, crescere e maturare. Le spiegazioni, potrebbero minare l’autostima? Non credo proprio altrimenti non sarebbero state volutamente richieste! La verità anche se fa male ed è dura da accettare (o potrebbe minare l’autostima, cosa che ritengo al quanto improbabile) è sempre meglio di una bella menzogna! La menzogna ferisce più della verità è queste è una regola base di vita!
La sua risposa è molto aggressiva ciò vuol dire che qualcosa le ha dato molto fastidio, e mi scuso per questo. Forse sarebbe opportuno correggere l’articolo per meglio distinguere tra i casi che effettivamente entrano in una sorta di nevrosi vittimistica e chi invece è veramente vittima di persone e di circostanze negative. Se ritiene può collaborare con suggerimenti in tal senso per meglio capire, e anzi diciamo che lo ha già fatto. Quindi grazie per l’intervento e mi spiace per quanto può averla turbata non era mia intenzione. Comunque, mi creda ci sono situazioni in famiglia o nelle relazioni amicali dove per quanto si faccia di tutto per capire e aiutare certe persone, queste si ostinano a permanere in un vittimismo aggressivo, ambivalente e colpevolizzante verso tutti ed anche verso chi vorrebbe aiutarle. D’altra parte per capire quale sia il grado di vittimismo ‘patologico’ di una persona si può considerare quanto questa sia disponibile a dialogare, comprendere, perdonare , elaborare, al fine di trasformare le incomprensioni in occasioni di incontro e di solidarietà.
Gentile Sara, generalizzare il senso di spiegazioni ricevute nel mondo esterno in una specifica circostanza a tutto il resto del mondo che dice qualcosa di simile in un contesto diverso e ad altre persone che ci fanno risuonare “qui” – o altrove – al nostro interno quel qualcosa che “lì” ci ha fatto male e non ci è piaciuto, creandoci forte disagio e ferendoci, oltre a donarci un temporaneo sfogo, non risolve però la situazione nè è utile a mitigare veramente la rabbia che quelle determinate reali situazioni che abbiamo vissuto ci hanno suscitato ma anzi, al contrario, potrebbero amplificarla come se avessimo ancora a che fare con quel fatto reale senza però poterlo concretamente cambiare. Cioè il fatto continua a rimanere immodificato mentre la nostra rabbia e malessere che ce deriva, crescono, modificando il nostro sentire.
La rabbia entro certi limiti è utile poi fa male alla persona stessa che la prova al di là del fatto se quello che dice sia giusto o meno, oltre a poter provocare disagio in altri che con quello specifico fatto o fatti, non c’entrano nulla ma che scrivono qui (mi riferisco nello specifico a questo blog) per motivi diversi e non è corretto vengano attaccati per le loro domande ed opinioni anche se noi possiamo considerarle a volte sbagliate secondo il nostro personale e rispettabile, cosi’ come quello altrui, punto di vista.
In questo stesso Blog c’è un bell’articolo scritto dal dottor Brunelli e dal dottor Cosimo Aruta sulla rabbia e come gestirla in modo positivo che forse potrebbe esserti di aiuto o almeno lo spero: https://www.albedoimagination.com/2013/08/provi-rabbia-verso-qualcuno-o-qualcosa/
si elisa quando dici: sì infatti, mi sento derubata di qualcosa che appartiene al mio valore, prima ti fanno un torto poi ti accusano di qualcosa, poi ti tolgono qualcosa e poi ti accusano di vittimismo. l’accusa che non riesco a sopportare è quella d’inventarsi le cose non mi va che la gente mi deve far passare per una pazza che si inventa le cose e che non ha di meglio da fare nella vita. non ci sto proprio. e poi se glielo fai notare ti accusano di fare la parte della vittima prima ti calpestano ti mettono sotto i piedi e poi ti accusano di vittimismo. e secondo la loro testa tu devi dire sempre sì e che hanno ragione loro e fare i loro zerbino in modo che loro ti possano manipolare a loro piacimento e farti identificare con il profilo di ciò che non sei, semplicemente perché nella loro testa ritardata è contorta e perversa tu sei così e poi se fai notare loro i loro errori ti dicono che è solo tutta una tua grande ed inutile illusione?? Ma non ci sto proprio!! Sai com’è un cervello mi funziona ancora e so riconoscere quali sono le illusioni e quale la verità anzi ci vedo e ci sento fin troppo bene. e non mi va che qualcuno mi sta a dire che quello che percepisco una mia illusione so valutare benissimo da sola quando lo è e quando non lo è. anzi, so farlo fin troppo bene e non mi sono mai sbagliata sulle mie valutazioni. Mai. è una mia abilità. a cui ci tengo anche parecchio.
Ricordo che come moderatore devo annullare i commenti mirati a provocare e ad alterare il dialogo… per questioni da chiarire a livello personale si può eventualmente riferirsi ad uno scambio di indirizzi privati aderendo alla pagina di Albedoimagination su FB… qui sono benvenuti commenti , anche molto critici, ma in una logica di apertura e rispetto delle differenti posizioni e idee.
Sentirsi manipolati è bruttissimo però chi lo fa di proposito in genere è tutt’altro che ritardato, cosa che almeno li giustificherebbe.
Forse ti hanno trattato come una persona incapace di fare una cosa che invece è di tua competenza (almeno secondo te, che ti conosci) ed hanno affidato quel dato compito ad un’altra persona facendoti intendere che la tua “competenza” nel settore (non so quale sia) era solo una tua illusione e che quindi i tuoi reclami erano una forma di vittimismo?
Ti hanno fatto passare avanti qualcun altro che secondo te non aveva il tuo stesso valore sul campo lavorativo o di studio? E ti sei sentita come calpestata; è questa la base del problema?
Leggendo qui, Sara, potrebbe anche trattarsi forse, in via ipotetica, di mobbing ( che ha diverse forme ma include comunque l’esclusione ed il tentativo di allontanare la persona presa di mira) se ciò che racconti è avvenuto in un ambiente di lavoro o di studio e si è ripetuto più volte nei tuoi confronti,
Ripeto, in via del tutto ipotetica perchè non conosciamo i fatti reali.
E’ possibile secondo te un’ipotesi del genere per dare un senso a quanto ti è avvenuto?
Gentile Dottore, facevo una riflessione:
il Vittimista patologico è una persona da prendere assolutamente sempre con le molle,
non crede che la definizione della patologia, in alcuni o se non in molti casi possa scatenare ulteriore rabbia? Ad esempio, per il mio caso personale ( Mia Madre ), se le facessi leggere l’articolo o le dicessi, sei affetta da Vittimismo patologico, sicuramente riceverei da lei una risposta aggressiva o addirittura una coltellata se mi va bene. Ecco, non converrebbe chiamare questo tipo di affezione / patologia con un nome meno aggressivo o generico tipo ” F24 ” oppure ” Giuseppe Rossi ” ? Sono sicuro che la persona si relazionerebbe in modo diverso, poi alla fine magari, forse , si potrebbe svelare il vero nome. So che può sembrare una banalità ma per me non lo è. Mia Madre odia le vittime, pur essendo lei stessa vittima, ne crea di nuove giorno dopo giorno e si diverte a distruggerle. Se si sentisse chiamata vittima la cosa potrebbe rivelarsi fatale. Per tanto pensavo di farle leggere l’articolo sostituendo la parola Vittimismo Patologico con altro nome e solo dopo aver visto reazione svelare il vero nome, a mio rischio e pericolo. Spero di poterle scrivere ancora :-) cosa ne pensa? Un saluto a tutti.
Magari scelga alcuni brani… comunque mi sembra che non si può fare il copia e incolla… inoltre sarebbe meraviglioso se si potesse spiegare certe cose così poi c’è un cambiamento… ma purtroppo non funziona così. Io credo che invece a lei Amedeo gioverebbe un consulto per elaborare meglio come relazionarsi.
Grazie mille, accetterò il suo consiglio, era per sdrammatizzare un po’ la cosa in se molto seria.
Io di consulti ne ho fatti, concordo in pieno quanto scrive a riguardo del problema, so che non c’è soluzione, pochi possono migliorare ma non cambiare del tutto, chi è vicino a vittimisti può solo imparare a relazionarsi in modo da non soffrire troppo e a non far soffrire di conseguenza,
parenti, amici e vittimisti stessi. Cordiali saluti a tutti
Uuuu ma che strano creiamo problemi da nulla. Problemi insolubili! Sento una forte puzza di bruciato. Te la do io una soluzione: IL PROBLEMA NON ESISTE! Il VITTIMISMO NON ESISTE! è UN PROBLEMA CHE SI è INVENTATO L’ESSERE UMANO! Ficcatevelo una volta per tutte in testa!
Caro Amedeo se tua madre è un persona religiosa potresti ad es. farle leggere una parte del brano del Vangelo di Luca dove si parla della donna curva come metafora di una donna piegata e che non riesce a reggere i colpi della vita sentendosene sopraffatta e quindi vittima. E’ anche un brano che se letto nella sua completezza è utile a ridare speranza a chi soffre per malattie e problemi esistenziali anche di lunga durata.
Inoltre non dovremmo mai dimenticare che anche le persone che noi percepiamo (ricordiamo che la percezione è un atto che ci differenzia l’uno dall’altro come persone anche verso l’altro che ci è vicino) come vittimiste -ed alcune sono obiettivamente pesanti – soffrono realmente.
Alcune di esse vorrebbero in realtà aiuto ed è questo il loro vero scopo, altre con questo tipo di atteggiamento, attuano invece anche un comportamento sottilmente vendicativo, rivendicativo (rispetto a ferite infantili ancora aperte generalmente) e manipolatorio.
Alcune madri cercano ad es. attraverso un atteggiamento vittimistico di tenere i figli adulti il più possibile legati a sè nella vita quotidiana, instillando in loro senso di colpa ad ogni possibile uscita con amici, per una partita o altro. Ad es. frasi frequenti possono essere di questo tipo: “vai pure tranquillo con i tuoi amici tanto se mi accade qualcosa di brutto ti avvisa la polizia o ila guardia medica”.
Grazie Elisa… molto chiara, sia sul piano concettuale che emotivo.
Salve dottore,
innanzitutto grazie di vero cuore per aver scritto questo articolo perchè aiuta chi ha a che fare col vittimismo patologico a prendere consapevolezza che si tratta di un vero disturbo, e nel caso specifico aiuta me a capire che il senso di inadeguatezza e di fallimento che mia madre ha sempre cercato di inculcarmi non corrisponde alla realtà. Perchè il male peggiore è che si finisce per pagare con la propria vita quello che il genitore ha subito nell’infazia, se non si ha la fortuna di avere qualcun altro accanto per poter evadere dalla vita familiare o di poter cominciare una psicoterapia per potersi in qualche modo riabilitare come persona. Io ho 26 anni, sono caduta in una profonda depressione e sto combattendo con tutte le forze in terapia per potermi riappropriare di me stessa, ma allo stesso tempo sono ancora costretta a convivere con mia madre finchè non sarò economicamente autonoma. Quale atteggiamento mi consiglia di assumere per reggere ai continui tentativi di controllo, svalutazione e colpevolizzazione che di certo non mi aiutano a costruire la mia autostima? Come trattare con le vittime patologiche senza danneggiare sè stessi nè farsi odiare?
Come lei ha scritto bisogna prendere sempre più coscienza che si ha ache fare con una persona problematica, talvolta effettivamente disturbata, è sempre meglio rivolgersi da uno specialista prima di interpretare e attribuire diagnosi generiche. Bisogna capire perché l’altro è così anche dal suo punto di vista. Certo dispiace e ci si sente feriti, ma ciò può essere contenuto quanto più lavoriamo alla nostra consapevolezza. Allora si diventerà meno reattivi e più liberi dalle influenze disturbanti degli altri.
Se ti muove delle critiche non ti passa di mente che probabilmente abbiano un fondamento di verità? Svegliati! E più che accusarla di vittimismo non faresti meglio a parlarne con lei dicendo semplicemente che quel suo modo di fare ti fa sentire una pezza da piedi e che ti dà fastidio e trovare una soluzione insieme come persone mature e adulte? Piuttosto che tacciare gli altri di cose inesistenti?
Commento qui. Visto che nell’altro in cui si propone, di modificare alcuni tratti dell’articolo manca la scritta “repley”. Infatti, ho commentato apposta. Almeno modificare questa teoria è un primo passo. Cmq i suggerimenti essendo molteplici potrei darglieli solo in privato, se è veramente interessato. Cmq più che vittimismo patologico parlerei di incapacità di farsi rispettare e di imporsi con l’altro che si è soggetti a continui tormenti e si tende per forza di avvenimenti ad amplificarli, e quella amplificazione, forse, usata come scudo di difesa, potrebbe sfociare nel vittimismo patologico. Questa è solo un ipotesi. Più che concentrarsi sul vittimismo non sarebbe più logico e naturale studiare le cause di esso e intervenire su queste? Ci vuole, calma, comprensione e capacità, e molta sensibilità e molto tatto. Con la supponenza o lasciando l’altro a se stesso si finirà solo per irritarlo, farlo arrabbiare, ancora di più.
Certo dobbiamo comprendere sempre le cause di certi comportamenti disfunzionali e senza condannarli. Inoltre le cause sono specifiche per ciascuno di noi e quindi non bisogna cadere nelle generalizzazioni. Nell’articolo concepito e scritto insieme con la Dr.ssa Elisabetta Lazzari sono indicati molti riferimenti di ricerca e di comprensione. Comunque come ho già detto io sono disponibile a disambinguare alcuni punti e conto di sentire anche il parere della Dr.ssa Lazzari, affinché anche il suo contributo critico possa essere il più possibile accolto. Tuttavia dobbiamo confrontarci nel rispetto delle varie ipotesi e delle diverse situazioni di ciascuno (così come peraltro ha già fatto osservare la Dr.ssa Lazzari). Occorre quindi una riflessione e un po’ di pazienza e vedrà che anche questo suo intervento darà i suoi frutti per lei e per altri. Naturalmente si tratta solo di un articolo, ma si potrà fare del nostro meglio per integrarlo e correggerlo, anche grazie al contributo costruttivo dei partecipanti.
Che lei è tutto matto! A meno che non sia una demente patenta, il che mi risulta improbabile, anche se cambiasse il titola articolo dalle prime righe si capirebbe perfettamente che parla di vittimismo. Ma prima di parlare il cervello lo mette in funzione?
Gentile Sara, la prego di non intervenire con questa aggressività, le sue opinioni sono importanti, vengono recepite e possono aiutare tutti a capire. Quindi la prego di porle con la giusta forza polemica , ma senza aggredire, né offendere… questo è il mio compito di moderatore nell’interesse di tutti. Poi come le ho già detto farò in modo di chiarire meglio nell’articolo che ci sono casi ove non si tratta di vittimismo, ma veramente di persone che esprimono la loro sofferenza e non vengono comprese. Anzi su questo prossimamente ci sarà un convegno a Milano, il 23 settembre, dove si parla di ‘vittimizzazione secondaria’ cioè di situazioni per cui non soltanto si è stati veramente vittime di qualcuno o di qualcosa, ma per giunta non si viene creduti neppure entro ambienti terapeutici e giudiziari. Su questo veramente bisogna intervenire e discutere e le sue osservazioni sono importanti. Il convegno è aperto e gratuito e quindi ne indicherò meglio l’indirizzo e gli orari sul blog per chi vuole venire.
E se tua madre alla veneranda età di 83 anni continuasse ad incolparti e offenderti (all’età di 50 anni) per ogni cosa?” anche se razionalmente si capisce che il problema è suo, la reazione di rabbia viene fuori e subito dopo il senso di colpa per aver reagito in modo esagerato alla povera vecchietta. Cadi in depressione e la prima cosa che pensi è: “che campo a fare per essere offesa continuamente senza motivo? Per fortuna il marito e il lavoro ti aiutano a superare il momento anche se si continua a vivere con una profonda tristezza interiore.
Come fare per acquistare una maggiore autostima e non ricadere nel circolo vizioso di credersi sempre e ovunque inadeguati?
Grazie per l’aiuto, Luciana
Bisogna accettare che il vittimismo patologico è una forma disturbata di relazionarsi. Con questo non è che si risolva il problema, ma almeno ci può evitare o contenere il controtransfert, cioè di reagire sentendosi in una condizione di malessere, rabbia, frustrazione. Bisogna cioè sviluppare una sorta di pazienza e distacco tipica del medico con gli ammalati, senza per questo perdere di umanità e capacità di comprensione. No0n bisogna sentirsi colpevoli o insufficienti nei confronti del parente vittimista patologico che più o meno inconsciamente mira a colpevolizzare e a coinvolgere gli altri, ancorché lo aiutino, nel suo proprio malessere.
Invece, DEVE ACCETTARE che il vittimismo NON ESISTE.
Lei invece deve accettare che in certi casi non esiste e in certi altri esiste. Poi lo può chiamare in un’altra maniera, ma ci sono persone che in determinate situazioni colpevolizzano e fanno star male gli altri, anche qualora facciano il possibile per aiutarli. Ciò non avviene in maniera sempre esplicita ed estrema, ma generando un’atmosfera di malessere che è disfunzionale per se stessi e per gli altri… si ricordi la massima ‘Aiutati che Dio ti aiuta”, dobbiamo cioè anche fare il possibile per aiutare chi ci vuole aiutare, quando questo semplice concetto non funziona si entra n una modalità relazionale di tipo vittimistico.
Sono assolutamente d’accordo con lei, dott Brunelli Il Vittimismo patologico esiste eccome.
Fatevene una ragione, e cercate di guardarvi dentro se ci riuscite. Altrimenti come dice il dottore pazienteremo.
“per aiutare chi ci vuole aiutare” per aiutare prima si DEVE imparare a rispettare l’opinione dell’altro e a mostrare comprensione nei suoi confronti (che non intendo l’indulgenza di superiorità che irrita soltanto) e eticchettando gli altri di vittimismo non lì state aiutando in alcun modo state solo aiutando le vostre assurde convinzione e teorie state aiutando solo i “carnefici” a scaricarsi di dosso le responsabilità. invece, dovreste aiutare la persone che tacciate di vittimismo a farsi rispettare a farsi valere piuttosto che scaricare la colpa sugli altri qualora esistessero. forse, non vi è mai passato di mente che quello è solo un meccanismo di difesa per non farsi mettere i piedi in testa dall’altro? dare la colpa all’altro non significa sempre e solo che stai facendo vittimismo ma ogni volta che attribuisci all’altro delle responsabilità vuol dire che è SUCCESSO QUALCOSA. Qualcosa che TI HA FERITO. Il vostro approccio è sbagliato!!
Gentile Sara, continuo a farle osservare che se vuole partecipare al dialogo in questo blog deve proporre le sue osservazioni in modo più dialogante e senza dare giudizi colpevolizzanti e generici su tutti, come fossero suoi nemici… Detto ciò una volta per tutte, le ripeto ancora che il suo intervento ha senz’altro un senso di verità in quanto esistono veramente persone che sono davvero vittime e che vanno aiutate e comprese in ogni modo. Si parla addirittura di “vittimizzazione secondaria” quando una person non solo è davvero vittima, ma quando chiede aiuto viene considerata esagerata e persino ‘vittimista’ perciò finisce con il non ricevere aiuto e diventa vittima 8una seconda volta. Su questi casi bisogna riflettere e portare molta attenzione. Lei in tal senso ci sta dando un valido contributo. Detto ciò come confermano molti altri casi, esiste anche il ‘vittimismo’, laddove a causa di problemi e di torti subiti, ci si sente in diritto di vessare e manipolare gli altri o di ricattarli, fino a farli sentire in colpa nonostante si riceva da loro ogni possibile aiuto. Queste forme di vittimismo covano una sorta di invidia patologica verso gli altri in generale e che paradossalmente viene espressa soprattutto verso i propri cari, gli amici e i terapeuti che in verità cercano di aiutare e di comprendere, almeno per come possono, con i loro limiti, ma facendo del proprio meglio. Perciò giustamente dobbiamo capire quando c’è una situazione di vittimizzazione che non viene capita e accettata e quando invece ci sono forme di vittimismo di cui altri finiscono con il diventare vittime. Poiché ciascuno ha la sua esperienza e di esprimere cosa sta vivendo e cosa sente, dobbiamo comprendere sia chi sente di essere vittima e lo è veramente e non si sente compresa, e sia chi ha che fare con persone che NON FINGONO DI STARE MALE, STANNO MALE DAVVERO, ma adoperano ciò per manipolare, ricattare e agire in modo disturbante quasi che debbano vendicarsi, anche verso chi non c’entra niente e vorrebbe aiutarli – e questo è il vittimismo.
Il vittimismo è una difesa infatti, che il più delle volte nasce nell’infanzia a causa di situazioni affettive complicate in cui il bambino piccolo può trovarsi nella sua famiglia e per le quali non ha ancora raggiunto un adeguato sviluppo sia emotivo che cognitivo (intellettivo..che attraversa varie fasi ) e che viene da lui/lei utilizzata come unica “arma” per proteggersi dall’aggressività altrui nelle sue diverse forme che lo spaventano e dalla propria rabbia ed impotenza interiore, oltre che dagli effetti della depressione.
Talvolta, in alcune persone può perdurare o riemergere, ad esempio in situazioni di forte stress, anche in età adulta. Ci sono anche situazioni in cui ognuno di noi può avere certi atteggiamenti in modo temporaneo a causa di particolari bisogni affettivi ma poi passano.
Allo stesso modo ci sono purtroppo persone che tendono colpevolizzare gli altri per ogni loro problema, perfino per il tempo brutto o piovoso e che si sentono “vittime” di ogni evento e circostanza che capita ( è la cosiddetta sindrome di Calimero, ben descritta dal famoso cartone animato che aveva come protagonista il bel pulcino nero il cui detto più tipico era: “Ma perchè capitano tutte a me?”). Anche in queste persone però il vittimismo rappresenta un meccanismo di difesa che utilizzano perchè non ne hanno – per motivi connessi alla loro vita, per quel momento o per loro caratteristiche interiori – di più efficaci per affrontare (o “non ” affrontare) ciò che gli capita. Cioè non deve essere intesa, almeno secondo me, come un’etichetta ed una giustificazione (da parte di chi ne fa uso) ma eventualmente come la manifestazione di un profondo malessere che non trova altri modi ed altre parole per esprimersi e che come tale va quindi compreso. Aiutando se possibile la persona a trovare modi più efficaci e gratificanti per se stessa e che gli rimandino anche, meno reazioni disturbate da parte dell’altro, soprattutto in una società come quella attuale dove pazienza, ascolto e comprensione dell’altro sono limitati. E’ indubbio che esista un abuso della parola vittimista e di quelle di vittimista patologico là dove chi le pronuncia per non riconoscere la propria parte in quanto accade con un’altra persona, si pone di fatto in realtà a sua volta come vittimista lamentandosi di ciò che tale altro gli fa passare, in un processo che potrebbe durare all’infinito se certe dinamiche non vengono capite. In questi casi anche, si può provare una sensazione d profonda ingiustizia, isolamento e rabbia.Tanto più intensi tanto per noi quelle persone e quelle situazioni che con esse ci coinvolgevano ed in cui avevamo creduto erano importanti. Sta spesso a chi ha più buon senso porre fine a certe situazioni utilizzandole poi con calma come spunti di riflessione per capire ancora meglio noi stessi e gli altri, capendo anche con chi ci fa bene interagire e con chi no.
Grazie di questo ottimo chiarimento Elisa… propongo di inserirlo come introduzione all’articolo…
Mi sa che qui il problema sia tuo! Perché te la prendi tanto? è del tutto normale ciò che accade? Più che accusare tua madre di vittimismo, scrollandoti così di dosso tutte le tue responsabilità, perché non provi a capire su che cosa ti incolpa? è evidente che c’è qualcosa che non fai. E che dovresti fare per darle una mano visto che ha 83 anni ed è abbastanza anziana, Ma evidente che in quel buco che ti ritrovi al posto del cervello non ti è passato di mente che si affatichi troppo? Per es. a lavare per terra, o a fare la spesa (ammesso che esca ancora), o a lavare i vetri o a fare qualcosa che la stanchi troppo? E che probabilmente, ha ragione lei. Smettetela di fare i conigli, incolpando e accusando gli altre di cose inesistenti, tirate fuori il coraggio e affrontate la cosa da persone mature e adulte e con un po’ di autocritica. Svegliatevi e diventate delle persone serie e responsabili!
Buongiorno, sto vivendo una stagione molto difficile nella relazione di coppia. Il rapporto di amore con la mia ragazza dura da 6 anni e nessuno dei due dubita sull’amore sincero che stiamo vivendo. Leggendo questo post mi sono finalmente reso conto di quale potrebbe essere il malessere di cui soffre la mia ragazza e che inevitabilmente colpisce in maniera pesante il rapporto. E’ evidente che non avrei la forza e la capacità di affrontare, da solo, una discussione con lei su questa patologia. Dopo l’ennesimo weekend di litigio siamo concordi nel farci aiutare da un professionista. Ma quale tipo di specializzazione può aiutarci? Sono disperato e inerme…
Per una indicazione generale ed anche per un consulto o un percorso terapeutico personale e di coppia https://www.albedoimagination.com/2014/03/consulenza-di-coppia-riconciliarsi-o-voltare-pagina-nel-bene/
Buonasera,
forse è vero che il caso non esiste.
Ho 49 anni e sto attraversando un periodo davvero negativo che mi ha spinta a guardarmi indietro e a rendermi conto che metto in atto sempre le stesse dinamiche quando mi relaziono con un uomo, che sia mio marito, il mio ex marito, mio padre e, talvolta, anche con mio figlio.
Distruggo tutto, e pur sapendo che mi faccio del male, oltre che farlo ad altri, non riesco a non farlo e la cosa mi svilisce ulteriormente.
Sento che la mia è una disperata richiesta d’amore ma mi rendo conto che i modi sono sbagliati e distorti e possono solo portare ad altro.
Per la prima volta credo di poter dare un nome a quello che vivo perché mi sono riconosciuta in modo impressionante nella descrizione fatta nell’articolo.
Vorrei fare un passo avanti nella giusta direzione ma non so da dove iniziare.
Grazie per l’attenzione e per l’articolo.
E’ importante fare la psicoterapia perché aiuta moltissimo.
Ho letto l’articolo.. e per la prima volta ho riconosciuto il mio problema. Mi sono sempre ritenuta come una persona buona, troppo, e vittima del mondo cattivo che la circonda. Allontano sempre chi mi vuole bene, e chi davvero fa qualcosa per me con commenti acidi. E chi è più debole di me lo manipolo, in modo che non possa mai diventare migliore di me..
Sono perseguitata da un paradossale senso di soddisfazione nell’incolpare gli altri ma allo stesso tempo mi sento in colpa, tantissimo!
Cerco di provocare e far arrabbiare chi mi circonda per vedere fino a che punto può arrivare.. ma c’è gente che mi ha dato tanto amore.. e io lo sto gettando così.
E’ la prima volta che sto davvero guardando dentro di me.
Premetto che ho 18 anni
Mi raccomando, bisogna considerare che ha 18 anni si ha una grande prospettiva di cambiamento e di crescita… certamente si possono vivere esperienze e stati d’animo che mettono a dura prova, ma davvero bisogna considerare che è una prova che si può sempre vincere e superare.
Gentile Silja, sua madre è in cura, e non soltanto per una questione di vittimismo, ma da quello che lei dice per una condizione più complessa e invalidante. Capisco che lei sia preoccupata e addolorata, e di quanto sia stato pesante per lei doverla aiutare e accudire. Ora però mi pare che il problema sia il suo SENSO DI COLPA, del quale lei non mi pare essere tanto consapevole, dal momento che non se ne cura e lei non è in cura. D’altra parte in questi casi non curarsi di se stessi è un modo di punirsi per il fatto di essersi sentiti insufficienti per non aver curato oltre il possibile la madre, e per aver scelto di vivere lontana con suo marito. Io credo che se lei facesse anche un breve ciclo di psicoterapia lei starebbe meglio, e questo le permetterebbe, anche da lontano, di stare psicologicamente più vicino a sua madre. Un caro saluto con solidarietà.
Grazie della sua testimonianza. C’è tanto bisogno di persone che comunica quanto i loro sforzi hanno poi portato ad un miglioramento e ad una nuova apertura verso la vita, nel rapporto con se stessi e con gli altri.
Salve, volevo dire che ho trovato l’articolo molto interessante ed è un problema che sto vivendo molto da vicino con mia madre, che sta decisamente degenerando da quando sono venuti a mancare i suoi genitori. Prima era abbastanza contenuta, ora è davvero inarginabile, è un continuo volersi difendere , voler scaricare da sè ogni forma di responsabilità, proprio come una quindicenne. Peccato che di anni ne ha 67 . Il rapporto sta diventando sempre più conflittuale , ed ovviamente non vuole consigli si crogiola nella sua disperazione. Con risposte classiche: “voi non vi rendete conto”, “voi non mi capite” , “io non so cosa devo fare più di così”…etc ovvio che le ho dato più di un’idea per poter migliorare la sua condizione, anche quella di farsi curare da un’analista, ma non è stata accolta di buon grado. Infatti dice che nessuno è all’altezza per poter comprendere il suo problema. Le liti sono sempre più frequenti e io sono veramente logoro, perchè questi continui attacchi non mi permettono di vivere la mia vita. Non solo ora si sta mangiando tutti i soldi, vuole che dei soldi da me, sempre con la stessa tecnica della disperazione, che si è mangiata un capitale , ma non è colpa sua ,ovviamente. Non so più come fare. Ora ci si è messa anche una strana figura che ha conosciuto alcuni anni fa, che continua a imbonirla dandole ragione e mettendola contro al resto della famiglia, secondo me per un interesse personale, perchè è in contatto con alcune sette religiose. Vorrei un consiglio su come arginare i suoi attacchi , se mai interrompere definitivamente i contatti con mia madre , prima che mi rovini. Premetto che non abitiamo assieme, fortunatamente al momento sono in un’altra città. Vorrei sapere se questo disturbo può portare a delle forme di pazzia , perchè mi pare abbia dei comportamenti davvero borderline . Che ne pensate? Grazie dei consigli .
L’articolo è davvero interessante ora penso di sapere cos’ha mia madre.Sebastien ho letto la tua storia e devo dire che è molto simile alla mia, peccato che non ci sia il commento del Dott., a differenza della tua mamma la mia che ha 60 anni, se la prende con mio padre da sempre, è ossessionata dalla gelosia … e la cosa che più mi fa arrabbiare è che si affida ai cartomanti.. io ho provato in tutti i modi a farla distrarre ma è sempre aggressiva insopportabile..non la sopporta più nessuno e va in giro a parlare male della mia famiglia …io vivo in un’ altra città e ora che lei è in pensione penso sia meglio provare a farle cambiare aria abitudini trasferendosi nella mia città chissà??? proporle uno psicologo la offenderebbe tantissimo così pensavo di prenderle una cagnolina per farle amare una creatura …. per ritrovare quell’istinto materno perso negli anni….lei in fondo vuole solo attenzioni compagnia… (l’ho notata molto più tranquilla quando mio fratello le lasciò per qualche giorno la sua cagnolina usciva per passeggiate… le comperava cose buone da mangiare era dolce e apprensiva) …. Speriamo bene!
penso che dobbiamo agire e rivolgerci a qualcuno che possa aiutarle uno psicologo o psicoterapeuta…
Gent.mo dott. Brunelli,
mia moglie manifesta tutta la sintomatologia del vittimismo patologico e, ovviamente, non lo accetta e non lo riconosce. Esiste qualche test psicolgico obiettivo da richiedere ad uno specialista che possa dimostrarlo?
Grazie mille .. in anticipo.
Non mi risulta che esista, un test sul vittimismo. D’altra parte non può essere quella la via per comprendere il proprio problema, anzi potrebbe anche peggiorarlo e fuorviare approcci terapeutici più adeguati. Comunque il responso verrebbe quasi del tutto rifiutato e confutato, anche perché la persona non si sentirebbe compresa e si sentirebbe tuttalpiù accusata e giudicata e questo farebbe aumentare il suo vittimismo. Ogni tipo di vittimismo è diverso ed ha le sue specifiche inconsce ragioni, sono queste che devono essere comprese e un test che offre un dato generico non può certo farlo. La cosa migliore che può fare un parente è farsi aiutare da uno specialista a comprendere non tanto la sintomatologia vittimista, ma le cause profonde che la determinano in un membro della famiglia o in un partner. Allora si potrà incominciare a relazionarsi con maggior consapevolezza oggettiva/soggettiva e ottenere i primi risultati che, per quanto non possano essere completamente risolutivi – infatti la persona avrebbe bisogno di un suo proprio supporto specialistico – possono essere sicuramente incoraggianti e ottenere un discreto contenimento degli effetti disturbanti e un generale miglioramento della relazione.
Salve, ho trovato questo articolo veramente interessante. Purtroppo mi ritrovo a prendere consapevolezza del mio problema ma non so sul serio come affrontarlo. Come si fa a interrompere un processo il quale va in moto da anni? Vorrei poter cominciare a vivere in modo diverso, smettere di compiangermi e incolpare sempre gli altri che fino ad adesso mi ha portato solo problemi su tanti fronti.. Prima davo colpa agli altri che non mi capivano, i quali per qualche ragione volevano ferirmi . Ma leggendo questo articolo presumo che il problema potrebbe essere solo mio..
Provi a fare un po’ di psicoterapia, vedrà che senz’altro avrà rapidi miglioramenti, anche perché lei dimostra già una notevole consapevolezza. Forza.
Gentile Dottore,
dopo tanto pensare e combattere, sono finalmente riuscito a dare un nome al problema che affligge la mia ragazza. Cominciavo veramente a pensare di essere io la vera causa di tutto, sono quasi annientato e non so piú dove sbattere la testa. In realtá sono stato abbastanza forte fino a questo momento, ma adesso c´e un bambino di mezzo e devo assolutamente trovare il modo che questo problema non travolga anche lui in futuro. Mi sono ridotto ad uno straccio per di non “creare” problemi e vivere decentemente con il bambino vicino, ma la situazione non é cambiata, anzi peggiora in continuazione. Io sono disposto a rimanere uno straccio purché questo possa evitare gli stessi problem al bambino, ma mi sembra di capire che non servirebbe a niente. La psicologa dalla quale andiamo si é quasi arresa poiché la mia ragazza non si apre con lei e non le racconta veramente ció che succede, un giorno si l´altro anche, minaccia di non andarci piú. Ed é meglio che eviti di scrivere qui le altre minacce. Come posso proteggere il mio bambino?
Grazie
Il perdono, l’unico modo di liberarsi del rancore: è ciò che spiegano praticamente tutte le ricerche di psicologia…: ad esempio: https://happily.it/liberarsi-dal-rancore-in-10-mosse/
Certo, ma la confusione viene dal fatto che esso implica un processo, un’elaborazione… quando invece si cerca di imporlo a chi non è pronto si rischia di fare più danno… occorre una preparazione, un sostegno… il perdono è un punto d’arrivo per un nuovo inizio, ma non è semplicemente il punto di inizio da accettare sempre comunque in ogni momento e a tutti i costi… c’è chi ci arriva prima e chi dopo, e ciascuno ha bisogno di essere compreso rispetto ai suoi tempi e alle sue possibilità.
Peccato che i veri malati di vittimismo patologico, quelli veri, non perdonano, anzi.
Perchè più affidarsi a ricerche psicologiche e a prendere tutto per oro colato, non provare ad utilizzare il cervello? Il veleno viene innietato da altri. Punto 1) l’unico modo per liberarsi del rancore è il chiarimento. Il confronto diretto, maturo, e lo scampio reciproco maturo di opinioni e punti di visto. Per confronto diretto e maturo intendo un chiarimento propositivo. Diamo un tempo alla risoluzione del problema per es una mezz’ora e risolviamo il problema. Il tempo limitato darà meno adito ad accuse ed insulti inutili. Così si affrontano le cose nella vita reale i libri e le ricerche psicologiche sono una cosa la vita reale è ben altro. Alessia, scendi dal mondo delle nuvole! 2) Quando ciò viene a mancare,poichè gli si tappa la bocca all’altra persona accusandola di vittimismo e appipoandole ettichette varie tipo quella di inventarsi le cose, facendo passare le altre persone per le povere pazze che non hanno nient’altro da fare nella vita che perdere tempo a inventarsi le cose. Inoltre, l’avete privata del diritto di esprimre la propria opinione. Es. se si fa notare un comportamento sbagliato: o si viene accusati di voler litigare, o di inventarsi le cose, o di fare la vittima. Riassiumiamo: 1) Avete accusato l’altro persona di fare la vittima. 2) L’avete accusata di inventarsi le cose facendola passare per una povera pazza. 3) Analizziamo il punto <> Tempo sprecato! Perchè qualsiasi scelta o strada faccia, voi avete sempre la scusa e l’ettichetta pronta da apppioparli adosso. L’unico modo di convincervi è darvi ragione. Ma siccome ragione non ne avete, poichè siete nel torto dimostrarvi che avete sbagliato sul conto dell’altra persona è alquanto: IMPOSSIBILI. L’avete posta fra due scelte impossibili da prendere. 4) Avete impedito il chiarimento privando ambo le parti di liberarsi dal rancore al fine di arrivare al perdono. Con la presunzione che questo comportamento sia un comportamento fermo adulto e maturo. 5) Avete fatto di tutto per alimentare il rancore, l’odio e il risentimento, insomma avete fatto di tutto pur di allontanare l’altro dalla via del perdono. Il tutto perchè ci si ostina ad essere convinti di essere dalla parte del giusto,(idea che ci si è fatti sull’altra persona basandosi su eventi pregressi di cui non si è tanto meno a piena conoscenza),senza fare la ben minima auto-critica verso se stessi, il che significa non credere alla verità e a vivere nelle proprie menzogne appiopando all’altro ettichette vittimistiche alquanto inesistenti! Altro che comportamento fermo, adulto e maturo! É l’esatto contrario! Ps: in quanto al punto <> Se si è credenti praticanti (coro, catechismo, lettori…) ci sono dei comportamenti che SONO DOVUTI, poichè sono la base dei principi cristiani. Per es. se si nota che l’altro è timido, avvicinarsi a lui e degnarsi di invitare l’altro ad uscire insieme a voi o almeno di invitarlo a fare due passi con voi, anche se vi sta antipatico. <>, <>, <>. SONO COMPORTAMENTI DOVUTI. QUESTA è LA BASE DEI PRINCIPI CRISTIANI. Altrimenti se andate in chiesa solo per fare la preghierina e fare protagonismo da quattro soldi, potete benissimo restarvene alle case a farvi la bella vita, la vostra ipocrisia è pari a quella dei farisei! La testimonianza non si da con le parole ma con i fatti, con le opere, vere e concrete, partendo da quelle più piccole fino ad arrivare a quelle più grandi, ma se non si conosce la base non si può far nulla nemmeno le cose ordinarie. In altre parole, se la vostra testimonianza si basa solo sulle parole siete solo chiechi e guide di ciechi e non farete altro che cadere in un fosso! Preciso discorso rivolto ai cristiani, ai cristiani praticanti, gli atei liberi di fare le loro scelte. Anzi, devo dire che gli atei rispettano questi principi più dei cristiani e dei cristiani praticanti.
Salve Dott.Brunelli e Dott.ssa Lazzari,
ho fatto una ricerca sul web e mi son ritrovata a leggere questo articolo dopo aver ricevuto le ennesime accuse, quali “vittima”, “lamentosa”, “incontentabile” dal mio compagno. “Ennesime” perchè non è la prima volta. In tutte le relazioni che ho vissuto, finite in maniera disastrosa, le accuse erano sempre le stesse.
Mentre leggevo l’articolo mi veniva da sorridere, mi sono davvero imbarazzata molto. Purtroppo mi ritrovo in tutte le dinamiche descritte… Dinamiche vissute in tutte le mie relazioni di coppia. Credo di aver un problema serio, nè sono consapevole… ma non so davvero come uscirne. Ho 27 anni, credo di essere affetta dal vittimismo patologico e vorrei tanto uscirne perchè le cose non vanno davvero più bene. Il mio modo di affrontare la vita negli ultimi anni è cambiato molto. Prima avevo un energia inesauribile, fomentata dalla rabbia, tutto quello che mi ponevo come obiettivo lo realizzavo. Forse nemmeno tanto per me, ma perchè dovevo dimostrare di essere all’altezza, volevo essere accettata, volevo dimostrare di essere capace e volevo vedere l’orgoglio negli occhi di chi amavo. Adesso non c’è più nulla. Non ci sono più sogni, non ci sono più ambizioni, sono stata, o mi son, privata di qualsiasi entusiasmo. Gli occhi che volevo veder brillare erano quelli di mia madre. Sono figlia unica, sicuramente amatissima…ma probabilmente nel modo sbagliato. Mia madre è una “Vittimista patologica” con V maiuscola. I tratti che la contraddistinguono sono la mancanza di autocritica, il suo deresponsabilizzarsi da qualsiasi cosa anche di fronte all’evidenza… non l’ho mai sentita chiedere scusa o ammettere i suoi errori, anche stupidi, nè con me e nè con nessuno. Il problema è insormontabile. Mio padre… vittima, asseconda e sopporta.
Io mi son battuta per anni, abbiamo provato a fare terapia. In adolescenza stavo male, già allora vivevo stati di malessere coscienti. Mia madre esaudiva il mio “desiderio/capriccio” portandomi a fare terapia che puntualmente finiva con la dottoressa che voleva parlare con mia madre o fare sedute familiari. E come Voi avete descritto, le varie dottoresse erano delle incompetenti perchè non solo la chiamavano in causa ma osavano invitarla a mettersi in discussione. La forma mentis di mia madre è: “le ho dato tutto quello che potevo darle, è la mia ragione di vita, io il mio dovere l’ho fatto. Forse le ho dato troppo amore, è lei che è sbagliata.” Tra l’altro, nell’ultimo anno abbiamo avuto problemi economici gravi per scelte finanziarie sbagliate di quest’ultima. Non vi dico, la situazione è peggiorata categoricamente. Il clima in casa è peggiorato, casa mia è “casa inferno”. Si litiga di continuo, io se già prima mi sentivo sola e non accettata, adesso credo di esser perduta. Lasciando da parte le privazioni fisiche che mi complicano la vita in una maniera allucinante… se già prima non avevo sostegno o conforto, adesso sembra che sia di troppo. Io vorrei anche solo un abbraccio o una pacca sulla spalle come a dire: “non ti preoccupare… va tutto bene…”. Invece mi sento solo ripetere che il loro “dovere” l’han fatto e che ora me la devo cavar da sola… come se poi ti chiedessi qualcosa. Ma, se fosse solo questo, camperemmo ognuno per fatti suoi…invece no, sono sommersa ogni giorno da critiche, umiliazioni e manipolazioni di ogni tipo per cui finiamo a gare a chi è più vittima. Io non ce la faccio più. Dico solo l’ultima e poi giurò che concludo e arrivo al dunque. Il 6 gennaio è venuta a mancare la mia cagnolina per un brutto male che me l’ha portata via in una settimana, ho fatto di tutto per aiutarla ma purtroppo alla fine ho dovuto sopprimerla. E’ stato il dolore più grande che ho vissuto sino ad ora, è stata dieci anni e mezzo con noi, era la mia sorellina. Ovviamente dopo la perdita sono stata molto male e tuttavia ho un grande dolore dentro anche adesso. La parole di consolazione di mia madre sono state: “Uà e se fossi morta io?”.
Ora il punto è questo, io non voglio essere come lei… ho 27 anni e lei 60….ma se continuo così ci divento e mi rovino la vita. Senso di inferiorità, superbia, vergogna, insoddisfazione, frustrazione, mancanza di stima, mancanza di ambizione, PAURA! Me le sta trasferendo tutte. Prima riuscivo a farmi scudo, adesso me la sta trasmettendo tutte. Mi sento mancare il terreno sotto ai piedi, sono come bloccata. Mi sento sfiduciata e non motivata nell’affrontare e desiderare qualsiasi obiettivo. E ho davvero paura. Non voglio essere come lei, non voglio rovinarmi la vita, non me lo posso permettere. Credo che il mio problema sia questo maledetto attaccamento a lei, questi continui tentativi di volermi sentire apprezzata e stimata. Mi fa così male non essere stimata dalle persone che più amo nella mia vita. Sono cresciuta sin da bambina sentendomi dire che non avevo cuore in petto, che non avevo sentimenti perchè non la “obbedivo”. Ha sempre fatto confronti con gli altri, screditandomi e dicendomi sempre che io non era all’altezza di questo e quell’altro.
Io non so lei che progetto avesse per me, ma io non l’ho seguito e forse questa è la mia colpa.
E’ chiaro che il problema ce l’ho io, sono io che continuo a cercare qualcosa che non avrò mai. Ma non so dove altro cercarlo e non sono come uscire da queste dinamiche, da questa atmosfera che mi sta inghiottendo. Prima ce la facevo, adesso non mi più. Ho provato con la terapia, ho provato per anni, ma il problema persiste…ed anzi è peggiorato. Non voglio rovinare il mio ennesimo rapporto, non voglio rovinarmi la vita.
Detto ciò, che consiglio potreste darmi?Su cosa potrei riflettere, quale è la mia ombra secondo Voi? Posso riuscirci nonostante viva tutti i giorni a contatto con mia madre?
Altra terapia, se non ha effetto, adesso non posso più permettermela. Non ho un lavoro e se continuo così difficilmente lo troverò.
In ogni caso, Vi ringrazio anticipatamente per la risposta ma soprattutto per il bellissimo ed interessantissimo articolo che avete scritto. Anche il solo leggerlo mi ha fatto sentire un po’ meglio.
Cordiali Saluti
Gentile Giò, il solo fatto che tu ti renda conto di una tua possibile tendenza al vittimismo indica che è uno stato transitorio e superabile. Poi è evidente che tutti quando si sta veramente male sentono di essere vittima di qualcosa, è comprensibilissimo. Inoltre a volte capita anche di sfogarsi un po’ sugli altri, anche ingiustamente o esagerando, ma questo anche perché effettivamente ci si può sentire incompresi e stressati e depressi. L’importante è che funzioni il ‘senno di po’, cioè che poi ci si renda conto delle proprie debolezze e di quelle degli altri, sapendo distinguere quando qualcuno sbaglia nei propri confronti perché veramente lo ha fatto apposta o per strafottenza, oppure ci sono stati equivoci, difficoltà e anche limiti di quella persona che non ce l’ha fatta a capirci ed aiutarci come pure avremmo meritato. Certo, da quello che racconta la aiuterebbe un po’ di psicoterapia, o almeno coltivare una buona amicizia con una persona di saggezza con la quale parlare e confrontarsi con fiducia. Allora con tanta solidarietà le faccio i miei migliori auguri – Dr. Brunelli
Giò,mentre leggevo quello che hai scritto,man mano sentivo il mio stesso profilo delinearsi,come te vivo la stessa identica condizione,se volessi parlarne,io ci sono,posso davvero capire il tuo problema perchè è identico al mio.
Ciao Giò,
ho letto oggi il tuo post, se può consolarti sappi che anche io sono figlio unico di una persona affetta da vittimismo patologico, ti posso dire che tua madre è un agnellino a confronto.
io ti consiglio di uscire da casa quanto prima, è importantissimo prendere distanze almeno
per avere alcune ore di silenzio e godersele o non pensare a lei, poi purtroppo c’è il telefono, e lì non c’è molto da fare. Il fatto che tu riconosca il problema è importantissimo come ha detto il dott. Brunelli che ringrazio sempre, io sono esattamente il contrario, dalla nascita mi sono contrapposto e ho rifiutato il ruolo di vittima, a mie spese. Ti assicuro che vivo tutt’oggi delle giornate terribili, come ti dicevo basta iil telefono, purtroppo devo seguire i miei genitori nelle loro faccende di vita perché non più giovanissimi, anche i problemi economici sono spessissimo una degenerazione del comportamento folle delle nostre madri, il dottore mi correggerà se sbaglio.
Almeno con i tuoi compagni cerca di essere lucida e ascolta ciò che ti dicono, se ora sei da sola goditi la solitudine e ascolta te stessa, non c’è cosa migliore, e con tua madre non abbassare la guardia. E spera che un giorno qualcuno le faccia vedere la luce. Se posso permettermi di farti fare una risata, sappi che anche io ho perso una cagnolina e alcuni gatti, mia madre invece e animalista estrema, il risultato? è sempre stata colpa di mio padre e di quelli che non li hanno curati per bene. Tutti morti di vecchiaia oltre i 16 anni. ( cause naturali? ) un saluto.
Per noi che soffriamo di attacchi di panico e ansia, io sono venuta a conoscenza di quest’evento gratuito, lo trovate su facebook qui.
Dobbiamo cercare ovunque stimoli e consigli che ci aiutino a stare meglio e questa conferenza secondo me è una buona occasione. Almeno, io intendo sfruttarla e trarne il massimo!
Gentile dottore,
la ringrazio per questo articolo. Leggendolo e confrontandomi con i molti commenti, ho preso la decisione di parlare con il mio fidanzato della situazione di difficoltà che sta vivendo ormai da un po´ di tempo.
I suoi atteggiamenti variano da quello che lui chiama “sentimento di inferiorità” nei miei confronti (perchè a differenza sua, riesco a dirigere la mia vita, a relazionarmi con gli altri), e che dovrebbe ovviamente scatenare in me sensi di colpa, ad un senso di impotenza e di incapacità di agire, che lo lasciano “bloccato” nella vita lavorativa e sociale. I suoi comportamenti, che alle volte sono esasperanti (gelosia dovuta al fatto che io “conoscerò sicuramente qualcuno migliore di lui”, accuse perchè io “ignoro il suo dolore e rimango indifferente”, “non dò peso ai suoi discorsi”, quando faccio davvero di tutto per cercare di aiutarlo e per non cercare di rimanere soffocata). Si sente attaccato da tutti e tutto. Se provo a fargli notare una cosa, mi comporto “come sua madre” che lo sminuisce, se provo ad avere un atteggiamento positivo, mi manifesta la sua ansia di “non essere come gli altri”.
A fare da sfondo a questa situazione c`è una storia familiare con un divorzio dei genitori mai risolto legalmente, un rapporto inesistente con sua sorella, delle relazioni che, a suo dire, si sono sempre risolte con tradimenti dall`altra sponda (dovrei crederci o è solo un modo per mostrarsi ancora più vittima??).
Vorrei capire come parlargli senza ferirlo…senza far aumentare questo senso di disagio
E’ difficile. Bisogna far capire che siamo tutti un po’ vittima di qualcosa o di qualcuno. E’ importante fargli capire anche dei propri disagi e delle proprie sfortune in modo da creare una sorta di solidarietà, seppure sul tasto del vittimismo. Poi un po’ alla volta bisogna far capire anche della consapevolezza circa le proprie responsabilità e debolezze e quindi anche delle sue.
Care amiche e amici di Albedoimagination, a nome mio e dei collaboratori dell’Associazione Culturale Albedo, vi faccio i migliori auguri per il Natale e per l’anno nuovo, affinché vi sia crescita ed evoluzione, nell’amore e nelle nuove prospettive di vita.
Con l’occasione vi segnalo due articoli di Albedoimagination nella speranza che possano esservi di sostegno e di approfondimento.
https://www.albedoimagination.com/2014/12/4510/
https://www.albedoimagination.com/?s=Natale
Come sempre vi ringrazio per le vostre testimonianze e la vostra partecipazione. Vi ricordo che l’ideale culturale, umano e spirituale dell’Associazione culturale Albedo è nella solidarietà, nella reciprocità, nella gratuità, nella creatività. Tutti possono partecipare e collaborare con idee, articoli, segnalazioni di eventi idonei alla ‘mission’ di Albedoimagination.
Ancora tanti tanti auguri
Pier Pietro Brunelli
buonasera dott. Brunelli, il suo articolo è stato fondamentale, in quanto sono riuscito a dare un nome al problema di mia madre e per questo la ringrazio infinitamente. Il mio problema è riuscire adesso a comunicarglielo…sembra non esistere un modo per passare il guscio aggressivo che si è costruita, riuscendo sempre a passare per quella che ha sacrificato tutto e adesso tutti devono stare a quello che dici lei. Di disavventure e disgrazie ne ha passate tante ma questo non le da nessun diritto di avvalesi di quel dolore per ottenere quello che vuole. Lei pensa che farle leggere il suo articolo la potrebbe aiutare? La situazione è sempre più pesante e in famiglia non sappiamo più come muoverci, di difetti ne abbiamo tutti e siamo tutti pronti a riconoscere le nostre responsabilità (ovviamente mia madre no, in quanto le piccole autocritiche che si pone sono palesemente simulate durante le normali discussioni…). Come dobbiamo comportarci? la prego mi e ci aiuti!
Dovete cercare un sostegno psicologico da parte di specialisti e persone di saggezza. Purtroppo è così. Bisogna considerare il problema alla stregua di un problema di salute che va curato. Inoltre è fondamentale ricercare una forza spirituale dentro se stessi, e ciascuno a modo suo.
Vi faccio tanti cari auguri e vi consiglio di leggere gli articoli sul senso psicoterapeutico degli Angeli e del Natale.
La ringrazio per la tempestiva risposta che verrà sicuramente presa in considerazione, ricambio con i miei piu sentiti auguri per un felice natale e anno nuovo!
Aggiungo che queste persone possono togliere il sorriso ad un’intera famiglia e provocare veri e propri disturbi psichici. Non hanno alcun senso di colpa in quanto credono che il mondo ce l’abbia solo con loro e per somma ingiustizia. Per quanto si sforzino provano invidia verso chiunque stia bene o benino, inclusi i loro cari. Qualora abbiano competenze intellettuali di un certo livello si può cercare di interagire con loro con qualche risultato positivo e, inoltre, sono più disponibili a lavorare su se stessi anche facendosi aiutare da terapeuti. Bisogna avere una enorme pazienza. La prognosi resta comunque riservata. Qualora il terapeuta o chiunque faccia osservare loro il loro ‘vittimismo patologico’ – che poi è un aspetto del narcisismo patologico ‘martirizzato’ – si risentono enormemente e abbandonano la terapia. Ascoltano solo chi consente loro di sentirsi vittime, giacché non riescono ad individuare un’altra possibilità per stare al mondo. Dunque la terapia troppo accondiscendente – tuttavia necessaria per guadagnare la loro fiducia -rischia di indebolirli ulteriormente o di cronicizzarli. Sono persone che d’altra parte soffrono, e che hanno anche giusti motivi per lamentarsi, e che quindi vanno aiutate e comprese, ma è difficilissimo aiutarle in quanto non ammettono minimamente le loro responsabilità e la loro resistenza al cambiamento, e di conseguenza possono fare ben poco per migliorarsi essendo convinte che fanno già tantissimo per sopportare le negatività degli altri e le ingiustizie da sempre subite. Danno cenni di miglioramento qualora si scusino sinceramente e si dispiacciano per aver messo altri in difficoltà, seppure involontariamente. Comunque, è assolutamente auspicabile che la famiglia o almeno qualcuno dei membri più coinvolti o chiunque voglia aiutarli, abbia a sua volta un sostegno per sopportare la continua frustrazione e la colpevolizzazione nonostante l’impegno, l’affetto e la buona volontà. Con un aiuto per chi aiuta ce la si può fare a migliorare la situazione e la relazione, perciò anche ‘loro’ possono entro certi termini migliorare. Ancora auguri con solidarietà. Dr. Brunelli
Gentile Paolo, credo che la lettura dell’articolo possa aiutare una persona come tua madre, che descrivi come priva di capacità introspettive ed auto-riflessive relativamente al suo – e vostro problema, – oltre che piuttosto priva di empatia verso d voi, se la signora ha almeno delle capacità intellettuali abbastanza accentuate che le consentano di comprendere almeno a livello profondo, l’esistenza di qualche affinità con il suo personale comportamento.
E di iniziare ad attivare così alcune conseguenti emozioni, che potrebbero portarla a riflettere ulteriormente, forse a chiedere qualche riscontro a chi convive con lei,oppure a desiderare un supporto diverso o a cercare di controllarsi un pò con il tempo.
Altrimenti, sembrerebbe un pò difficoltoso.
Certamente non è facile oltrepassare il guscio aggressivo/reattivo (che spesso reagisce anche impulsivamente) di una persona, considerando che sicuramente se lo è costruita per difendersi da qualcosa che le ha provocato grande sofferenza e dalla quale teme probabilmente, anche se inconsciamente, di essere ancora colpita. E’ difficile ma non impossibile.
D’altra parte una madre vittimista e che sembra sempre essere stata l’unica al mondo ad aver sofferto e che non percepisce la sofferenza di chi e è vicino, è una delle esperienze più dolorose da provare per i figli, per i quali spesso l’unica possibilità di superarla è un pò imparare ad ignorare questo atteggiamento (ciò si impara con la maturità) ed in parte, chiedere a loro volta un supporto che aiuti a non cedere alla forte ed umano tentazione di sentirsi e comportarsi – come frequentemente sembra accadere – a propria volta da vittimisti in qualità di” vittime del vittimista”, e lo stesso vale anche per altri che con essi hanno per necessità rapporti, per evitare di attivare un circolo vizioso o loop disfunzionale che ad un certo unto potrebbe rivelarsi senza soluzione.
Un caro saluto con l’augurio che la vostra situazione migliori e possiate recuperare un pò di serenità.
La vedevo di colpo cambiare e essere preda di qualcosa che non capivo né tantomeno conoscevo, come un mostro contro cui non potevo fare niente, quanto avrei voluto una spada per difenderla e liberarla da quel panico…
E’ successo a una persona a me cara che ho poi visto rinascere, piano piano, conoscere quello che le succedeva e accettarlo. Diventare padrona di sè.
Vedere la consapevolezza di poter reagire alle cose in qualcuno a cui tieni è una delle emozioni che ti restano.
Non ero un’esperta dell’argomento e il mio desiderio era trovare una soluzione che le desse sollievo, ma di univoche non ce ne sono credo…e i farmaci…sono forse la cosa più facile a cui pensare ma servono veramente?
La risposta l’ho trovata e se ha funzionato, voglio farla conoscere a tutti quelli che sentono di non avere armi !
Avevo scoperto la Conference Collection del Dott. Gianluigi Giacconi.
Se vuoi essere felice dipende solo da te: questo è solo uno dei punti sviluppati nelle conferenze.
Gentile Dottore, la ringrazio infinitamente per questo articolo e solidarizzo con affetto con tutti coloro che hanno commentato e commenteranno qui sotto. Vorrei averlo letto qualche anno fa..Mia madre credo sia vittimista cronica con comportamenti irrazionali che a volte la rendono irriconoscibile e la fanno sembrare quasi un’altra persona..nega l’evidenza al punto di arrivare a litigi forti. Il clima in casa è spesso stato negativo e teso e a mio parere anche mio padre ha caratteristiche del vittimista e del narcisista. Anche da bambina ero spesso colpevolizzata, certo le dimostrazioni d’affetto c’erano, ma erano in contraddizione con altri comportamenti accusatori. Poi la situazione è degenerata con il divorzio (ero adolescente), inutile dire che ci hanno strumentalizzati e manipolati con ricatti morali e affettivi per perseguire la loro lotta e il loro odio reciproco, per tanti anni. Sono convinta che mia madre ha impostato tutta la sua difesa sull’essere vittima e diventando a sua volta carnefice, accusando i figli di cose di cui chiaramente non potevamo portare la responsabilità e dipengendoci ai parenti come dei gran egoisti e menefreghisti fino al punto che il nostro affetto e la nostra presenza venivano spesso sminuiti e rifiutati (l’unico aiuto ammesso era la partecipazione alla guerra contro l’altro genitore). Naturalmente i parenti erano i loro consolatori. Credo che questo vittimismo sia generalizzato e radicato profondamente: mia madre è sempre stata dipinta come quella “troppo buona che si fa mettere i piedi in testa” e che quindi doveva riscattarsi. In realtà credo non sia mai maturata come donna e ha continuamente bisogno di appoggiarsi a qualcuno. In tutto ciò ho cercato di fare del mio meglio per me e i miei genitori anche accettando mancanze di rispetto e facendo da “consolatore”. Vorrei avere letto questo articolo prima e avrei evitato scelte sbagliate e tanti sensi di colpa verso me stessa! Il punto ora è che sono stata per un po’ di tempo esaurita e confusa nelle relazioni interpersonali ma per fortuna conosco persone capaci di amare e che mi riportano alla positività. Ora cerco di allontanare mia madre per non farmi divorare ma faccio fatica perché è sola e ho paura di essere e diventare vittimista anche io.. e l’ultima cosa che vorrei è creare una famiglia infelice. Dopo avere riscontrato somatizzazioni cerco di essere positiva e oggettiva nella vita ma non sempre ci riesco..ho pensato di andare da un terapeuta ma non voglio psicofarmaci né crearmi ulteriori angosce.. e vorrei potere gestire meglio mia madre e le sue richieste..dal momento che ormai è evidente che non sì possono aiutare queste persone come posso aiutare me stessa? Mi rendo conto che senza le ombre e le ansie gettate dai suoi comportamenti e dai miei sensi di colpa avrei vissuto molti momenti più serenamente e preso decisioni più lucide..grazie ancora
Cara Lisa, comprendo quanto difficile e dolorosa sia la tua situazione, soprattutto se è da lungo tempo che dura ed ha reso poco respirabile il clima familiare così come i tuoi timori di poter ripetere gli stessi comportamenti di tua madre, dando vita ad una famiglia infelice.
Questa consapevolezza dei tuoi problemi e timori però, può essere una base per un lavoro terapeutico personale a cui hai accennato e che ti aiuti a superare sia questi momenti di crisi e confusione, sia ad elaborare meglio ed a migliorare tutta la tua situazione personale/familiare.
Andare da uno psicoterapeuta non significa prendere dei farmaci ma fare dei colloqui per comprendere meglio se stessi secondo un certo orientamento teorico (ad es. freudiano, junghiano, transazionale, cognitivista, ecc) ed una metodologia utilizzata dal terapeuta stesso a tal fine anche se l’elemento centrale di una psicoterapia è la relazione.
I farmaci possono essere dati soltanto dallo psichiatra e sarà lo psicoterapeuta, in accordo con il suo paziente a valutare se, in un certo momento, per alleviare ad es. l’ansia o la depressione, sia utile prenderli per poi sospenderli sotto strettissimo controllo medico/psichiatrico (lo psichiatra dovrà fare precisi schemi da seguire attentamente) per evitare problemi più gravi di quelli per i motivi per cui sono stati presi.
Non bisogna però demonizzare i farmaci perchè in certi momenti, per brevi periodi possono essere molto utili.
E’ anche possibile in molti casi, evitare i farmaci, ricorrendo ad altre tecniche più naturali, come meditazione, tecniche di respirazione, yoga e training autogeno ad es. per mitigare l’ansia e riuscire a riacquistare serenità ed energia positiva.
Questo per spiegarti che se il tuo timore è quello che esista un’equivalenza tra andare da un terapeuta ed il prendere degli psicofarmaci, non è così, perciò se ne senti il bisogno, per essere aiutata ad uscire dallo stress che provi e per capire come gestire questa tua difficile situazione con tua madre ( e tuo padre), che comprendo essere difficile, secondo me dovresti farlo. Almeno provarci, per te stessa.
Un caro saluto
Elisa
Gentilissimo Prof. Brunelli
ho letto da poco questo interessantissimo articolo e profilo.
concordo pienamente su tutto in quanto vittima di una vittimista da almeno 40 anni,
forse più, mi perdoni l’immodestia ma avrei potuto scriverlo io per quanto mi è familiare e per quanto in tutti questi anni ho capito e appurato sull’argomento.
Io mi ritengo un miracolato, è solo grazie ad una mia particolare forza, fermezza mentale e morale che ho potuto resistere alla situazione che tutt’ora vivo.
Sono lo specchio esatto di Danila, solo al maschile, non ho figli ne fratelli, ho solo una compagna che credeva fosse tutto esagerato ( dai miei racconti ) e invece ora è più pessimista di me sul fatto che la cosa si possa risolvere.
Consigli? A Parte la terapia della quale avrebbe bisogno mia madre e forse anche io? Ovviamente la terapia è una cosa che ha sempre rifiutato pur proposta nella maniera migliore, a dire il vero ho sempre provato una sorta di pietà e comprensione per l’ipotetico Prof. Psichiatra che le fosse capitato a tiro.
A parte gli scherzi, passo la mia vita a tamponare crisi quotidiane di ira e di depressione, e a proteggere le persone care che mi circondano da ingiurie e attacchi, mio padre credo abbia molato il colpo ed è del tutto annientato. Io che per mia fortuna ho altri strumenti e me la cavo, ma sento che sto per finire le forze.
E’ difficile vivere costantemente con dosi massicce quotidiane di negatività
alla fine tutto è condizionato dal malumore trasmesso, anche il rapporto di coppia,
mi sveglio pieno di buoni propositi e al primo contato anche telefonico un attimo dopo non ho più forze. Sono certo che non è colpa mia, è una persona impossibile.
Un saluto a tutti i compagni di sventura. Grazie.
Mettersi al riparo è possibile. Purtroppo non si può pensare di non aver alcun fastidio, ma è possibile e importante non essere reattivi in modo disfunzionale per se stessi. Riuscire a farsi scivolare il più possibile addosso la negatività del vittimista. Ovviamente è importante prendersi periodi di pausa e di ricarica per se stessi. Certo ci possono essere fasi acute, ma se interiormen6te si comprende che c’è anche un proprio coinvolgimento psicologico disequilibrato, allora possiamo correggerlo e stare meglio. Un caro saluto
La ringrazio tantissimo per la tempestiva risposta,
da parte mia non ho mai pensato di non aver alcun fastidio prima o poi,
so perfettamente che è difficile, i suoi consigli li metterò in pratica , in parte già lo faccio
ma insisterò, crede sia utile far leggere il suo articolo al diretto interessato?
Ancora grazie, A.
Grazie, grazie, grazie di questo articolo e della possibilita’ di poter finalmente dare un nome alla mia sofferenza e sperare di porvi rimedio. Sono la figlia di una vittimista patologica oggi ultrasettantenne, con la quale non sono mai riuscita ad impostare un rapporto sereno ed equilibrato causa anche la mia incapacita’ di reagire con il giusto distacco alle sue continue lamentele e atteggiamenti svalutatori verso i miei goffi e maldestri tentativi di farla stare meglio. La chiara preferenza da lei sempre dimostrata verso mia sorella minore che, a differenza mia, e’ diventata una professionista di successo, mentre io, pur essendomi brillantemente laureata, ho cambiato migliaia di lavori e sono attualmente disoccupata (cosa che mia madre non manca di farmi spesso notare, mettendo in dubbio i miei tentativi di riqualificarmi in altri campi con “ma ne sarai capace?” E offrendomi al contempo somme di denaro) non ha certo aiutato le cose, anche se debbo ammettere che mia sorella, pur molto critica nei miei confronti, mi ha offerto a varie riprese il suo appoggio (posso inoltre contare su un marito e una figlia adolescente molto affettuosi e presenti). Dopo la scomparsa di mio padre, il quale mi rendo conto ha tutto sommato contenuto ma anche sempre avallato il vittimismo di mia madre, la situazione e’ peggiorata. Inoltre, i miei sensi di colpa sono oggi acuiti dal fatto che ora vivo all’estero e che il peso dell’accudimento di mia madre grava sulle spalle di mia sorella. La scorsa settimana, dopo una caduta accidentale, ho raggiunto mia madre per assisterla ma e’ stato un incubo. Qualsiasi cosa dica o faccia, soprattutto per cercare di lenire dolori fisici o psicologici, e’ accolta con gesti, parole e soprattutto toni di voce che esprimono sfiducia e svilimento. Mia madre ripete in continuazione che e’ depressa, ma vive sostanzialmente come una reclusa, scansando i pochi amici che ha e anche la propria sorella e si esprime praticamente sempre con un tono lamentoso, soprattutto se le capita di rispondere al telefono. Se qualcuno si informa della sua salute reagisce perlopiu’ con fastidio lamentando di essere stata interrotta nello svolgimento di presunti lavori manuali, lavori che sostiene di svolgere in continuazione ma dei quali ovviamente non c’e’ traccia. La casa e’ spesso nel caos ma ovviamente non vuole nessun aiuto, neanche per lavare i piatti e se per caso riesco a fare qualcosa lei immediatamente lo rifa’, sostenendo di saperlo/ poterlo fare meglio….l’ultimo furibondo litigio e’ stato scatenato dal suo rifiuto nel farsi aiutare da me ad assumere i molti medicinali che prende quotidianamente, complicato dal fatto che legge e rilegge ossessivamente i bugiardini e non vuole ascoltare il parere del medico o di altri (Praticamente vuole solo conferme alle sue elucubrazioni mentali). Alla mia reazione di stizza se non rabbia, come da un paio d’anni a questa parte, ha reagito con improvvisa calma, direi quasi piacere, sostenendo che sono pazza e che debbo farmi curare…me ne sono andata sbattendo la porta e urlando parole bruttissime e tornata a casa ho avuto una crisi di pianto terribile, della quale hanno fatto le spese mio marito e mia figlia. Mia sorella ha fatto finta di niente, esortandomi a stare tranquilla e assicurandomi di poter contare sull’aiuto di una occasionale badante ma mi sento una fallita e molto triste…..
Gentile ‘Margaret’
in questi casi la psicoterapia è molto d’aiuto. Bisogna trovare un sostegno quando si è stati di sostegno troppo a lungo e in modo disfunzionale ad una persona, soprattutto, un parente una madre vittimista. Provi a riflettere su questa possibilità. Le darà certamente benefici e una nuova possibilità di crescita personale.
Un caro saluto con solidarietà e auguri.
Dr.Brunelli
cercavo di capire una situazione lavorativa che riflette comunque dinamiche vissute più volte nella mia vita e ho letto in parte i commenti a quanto esposto.
Sono molto grata alle persone che mettono a disposizione questi contenuti. E’ infinitamente utile potere dare una forma chiara a quello che, senza saperlo analizzare, appare solo come un meccanismo incomprensibile da cui sembra uscire solo un verdetto di accusa.
Ho avuto una storia familiare complessa, con un chiaro e profondo rapporto vittima-carnefice-salvatore. Mia madre ha subito abusi nell’infanzia e mio padre ha perso la madre alla nascita e ha sviluppato una personalità violenta, vittimista e sadica. Entrambi sono morti di tumore e ho accompagnato entrambi alla morte cercando con tutte le mie forze di fare quanto potevo per aiutarli.
Ho due sorelle che da più di 20 anni tentano ripetutatemente il suicidio, abusano di psicofarmaci, ricevono aiuto economico, ricorprendomi di insulti e accuse continue.
Vivo all’estero e quindi a parte mandare soldi, limito le mie visite, anche perchè non sono in grado di reggere l’urto dei rapporti malsani che ci sono inevitabilmente con loro. Male riesco a metabolizzare il fatto che mi colpevolizzino per essere sana, per avere un buon lavoro ben pagato (per il quale merito di essere per loro un bancomat continuo a fondo perso), per essere magra, per non prendere psicofarmaci e per tutto quello che io “ho” e che loro “non hanno mai avuto”.
Ho la sensazione che i sensi di colpa latenti che queste accuse finiscono per crearmi non mi aiutino di certo a costruirmi una vita privata che mi manca.
Ho una posizione lavorativa di direttrice di una divisione. Fra i miei lavoratori ho diverse persone provenienti dalle regioni balcaniche. Chi proviene da queste regioni si descrive, per cultura, come una vittima della storia, vittima dell’immigrazione e già dal primo contatto ama essere considerato molto sfortunato e tiene molto al fatto di essere riconosciuto come persona che ha subito ingiustizie incredibili. Con due di queste persone in particolare si sono instaurate delle dinamiche che mi hanno davvero fatto sudare sette camicie in questi ultimi mesi.
Soprattutto perché questo tipo di relazioni finiscono per sfidare la mia pazienza in modo davvero infernale.
Leggere il fatto che comunque è un tratto del rapporto vittima-consolatore il fatto che la vittima cerchi con ogni mezzo di fare infuriare il consolatore, per poterlo accusare, mi ha fatto riflettere, anche se non posso dire che mi abbia completamente sollevato.
Comprendo che chi si comporta come la vittima-provocatrice non ha coscienza dei propri comportamenti, quindi non può attraverso un dialogo sereno porre rimedio ai propri comportamenti. Comprendo che chi soffre di questi problemi non sia capace di comprendere le problematiche altrui, in quanto i problemi altrui non sono di alcuna entità rispetto ai propri.
Cionondimeno perdere la pazienza mi affligge moltissimo. E per poche volte che possa essere capitato, per quanto sempre entro limiti civili, non è consono alla mia posizione lavorativa.
Ora capisco che è la mia storia familiare che mi ha probabilmente portato a cercare di portare aiuto a queste persone, e capisco che in ogni caso non posso fare nulla per queste persone e invece di aiutarle danneggio solo me stessa, in quanto finisco per credere all’immagine mostruosa che queste persone dipingono di me ai miei occhi, dopo che ho fatto tutto quello che potevo per aiutarle.
Credo di dovere maturare un distacco da queste persone e da questa categoria in generale, a parte le mie sorelle ovviamente che avranno il mio aiuto fino alla fine dei miei giorni. In quanto invece di aiutarle finisco solo per fare parte della loro malattia e non della loro guarigione. Ed è un male per loro e per me.
Che dire…non credo di potere fare molto per le mie sorelle a parte aiutarle economicamente. Ammetto che dopo avere assistito i miei genitori fino alla loro morte, portando il peso della follia della nostra storia familiare, avendo due sorelle che mi ricoprono di contumelie e accuse…a volte sento davvero una stanchezza interiore notevole. E sento che non posso essere d’aiuto, perché mi manca davvero la forza per accettare il dolore che mi provoca la loro rabbia verso di me.
Voglio loro bene, ma non riesco a reggere lo stress che mi provocano.
E finisco per cercare di tenermene lontana interessandomi a loro, ma a distanza.
Di fondo credo di avere maturato il problema di sentirmi in colpa per il fatto di “essere a posto” e credo che questo mi crei un conflitto con il “successo” e con la felicità, come se fossero cose di cui vergognarsi.
beh…un grazie sentito a voi che dispensate informazioni, parole di supporto e concreto aiuto a chi vive queste dinamiche.
Auguro a me stessa e a tutti coloro che fanno parte di questo gruppo di persone, vittime o consolatori, di potere trarre energia evolutiva da questa dinamica invece che finire per venirne privati.
un caro abbraccio
Gentile Cri, da quanto lei scrive credo che lei debba comprendere che le persone alle quali la vita ha destinato di aiutare altri, a loro volta hanno bisogno di un aiuto. E’ normale procurarsi un sostegno se si deve portare un peso. Anche nel campo delle ‘professioni di aiuto’ – helping profession, ci sono indicazioni e metodi di auto-aiuto, aiuto di gruppo, supervisione, sostegno, ecc. Nel momento che lei sviluppa una buona alleanza psicologica con un terapeuta, sentendosi in tal modo capita, sostenuta, compresa, il peso si alleggerirà senz’altro e potrà recuperare forze e indirizzarle nel modo migliore: PER LEI e PER GLI ALTRI.
Riporto quanto lei scrive “E sento che non posso essere d’aiuto, perché mi manca davvero la forza per accettare il dolore che mi provoca la loro rabbia verso di me.
Voglio loro bene, ma non riesco a reggere lo stress che mi provocano. E finisco per cercare di tenermene lontana interessandomi a loro, ma a distanza”. Lei potrà sentirsi di essere d’aiuto elaborando dolore e rabbia in una dimensione di crescita per lei, attraverso un certo tipo di sostegno psicologico sintonizzandos9i su un terapeuta che a sua volta è in grado di entrare in questa sintonia. Voglio dire che non dipende solo dalla tecnica, il metodo o l’esperienza del terapeuta, ma da sue alcune qualità umane e psicologiche che si armonizzano con quelle di lei.
In primis il terapeuta dovrebbe aiutarla a modificare la sua reattività, il suo controtransfert rispetto alle sorelle o in generale ad un mondo lavorativo sociale amicale troppo spesso richiedente e non riconoscente. Tuttavia esistono le persone e le situazioni generative, capaci di scambio e gratitudine, ed è bene allenarsi a queste anche con il proprio terapeuta. Certo si potrà dire che la negatività, la superficialità, l’incomprensione sono più diffuse e le relazioni positive, generative scarseggiano… ma allora è proprio per questo che bisogna cercare e sintonizzarsi verso queste relazioni. Nella relazione di sostegno e aiuto per se stessi con il proprio terapeuta, cresciamo e impariamo ad aiutare gli ltri, senza risentire troppo delle loro nevrosi relazionali, e quindi liberiamo più energia per noi stessi e per le relazioni positive.
Grazie dottor Brunelli per la sua gentilissima e comprensiva risposta. Non tutte le mie relazioni di lavoro sono di tipo vittimistico per fortuna e almeno posso contare su qualche relazione lavorativa “sana”, dove non ci sono dinamiche sfavorevoli a nessuno. Questo è un fattore molto positivo, anche se concordo che potere contare su un aiuto di tipo professionale potrebbe aiutarmi a rielaborare le mie reazioni rispetto alla rabbia che mi viene indirizzata, cosa che da sola non so fare.
Chi vive all’estero credo abbia forse qualche difficoltà supplementare, lingua, orari, ma capisco che sarebbe un vantaggio per la mia vita in generale potere vivere in modo diverso le mie relazioni familiari, che per ora mi hanno messo alla prova, ma non sono stata capace di “passare l’esame” con successo.
Un carissimo saluto e grazie delle sue belle parole piene di calore.
Ciao a tutti.Sono un ragazzo di 20 anni che vive a Londra con suo fratello da 3 mesi.So che sembrerà strano, ma in base all’articolo letto penso di essere un vittimista patologico. É una settimana che non lavoro più e da allora non riesco ad uscire di casa per fare un cv e trovare un altro lavoro…so che quello che faccio è irresponsabile e sbagliato, ma dovuto alla mia “ansia sociale”(ho lavorato da cameriere per 2 mesi), non riesco a uscire dalla casa in cui stiamo e in un certo senso non voglio…mi sento in colpa per essere un pigro e un ingrato e credo d approfittarmi di lui solo per rimanere attaccato alla mia immagine infantile.Mi dispiace per mio fratello e per I miei genitori, perchè in realtà loro tengono tanto a me, mentre io sn un “parassita”.Vorrei qualche consiglio per uscire da questa situazione…perchè sono convinto che così staremmo tutti meglio. Grazie in anticipo.
Eduardo non ti immedesimare in quello che leggi su Internet. Prendilo come un’indicazione sulla base della quale vai a confrontarti con persone esperte. In Inghilterra ci sono tanti servizi psicologici quasi gratuiti e mutuabili. Vai, parla di queste cose e poi ne trai le giuste considerazioni. In ogni caso a 20 anni tutto è in trasformazione. Le difficoltà oggettive per il lavoro purtroppo esistono. Si tratta di uin momento di tua crisi esistenziale, disorientamento, incertezza che ti procura ansia e un blocco delle motivazioni a darti da fare. Sono cose che possono risolversi. Da una p’arte hai bisogno di un po’ di relax e dui svuotare la mente e da un’altra parte di dialogo , come ti ho detto, con una persona con competenze psicologiche che ti aiuti a chiarire i dubbi. Un caro saluto.
Buongiorno dottore,
qualche giorno fa mi è capitato di descrivere ad un’amica mia sorella come ‘affetta’ da vittimismo, così oggi mi sono messa a cercare in rete se esisteva qualcosa di questo tipo. Ho subito trovato questo forum e ho letto qua e là qualche commento dei lettori e le Sue risposte.
Trovo molto interessante quello che avete detto, che per prima cosa bisogna ‘tutelare’ se stessi e non farsi trascinare a fondo, nel momento che si cerca di aiutare chi sta male. Sono giorni che cerco di aiutarla a cercare lavoro, vista la grave difficoltà economica familiare, e mi sono quasi sostituita a lei cercando in giro, accompagnandola in giro,sistemandole il cv e spronandola a chiamare questo o quell’altro. Sono stanca, stanca morta.. e sto per scoppiare da un momento all’altro perché da parte sua ci sono solo tante lamentele perché nessuno la chiama, mentre i suoi sforzi sono poco e niente: dorme fino all’una di pomeriggio, e passa quasi tutto il tempo a perdere tempo su internet o a leggere. Ma se le chiedi, ti dice che cerca tutto il giorno che è andata a vedere dappertutto, che non c’è niente. Sono diversi anni che non lavora e non si è mai resa autonoma nonostante abbia già 36 anni.. Non so più dove sbattere la testa, mi sento presa in giro, e non capisco davvero se non se ne rende conto o se non ha voglia di fare niente. Riesce a negare anche l’evidenza e rimuove tutti i fatti negativi di cui è stata responsabile, a parte alcune cose per cui fa un bagno di umiltà e si sente una cattiva persona. Ogni volta che si parla di una persona mette l’accento di quanto questa l’abbia trattata male o riguardo ai nostri genitori continua a dar loro la responsabilità di tutto, delle sue paure, dolori e situazione attuale lavorativa e affettiva.
Volevo chiederle se può darmi un consiglio su come posso fare a farle aprire gli occhi, perché siamo tutti stanchi e non possiamo più permetterci questa situazione. So che era seguita da uno psicoterapeuta anni fa, quando le chiedo perché non ci ritorna mi risponde che la maggior parte sono dei ciarlatani.
La ringrazio,
cordialmente Lucia
Mi pare che lei faccia già tanto per sua sorella. Forse dovrebbe fare un po’ meno in quantità e migliorare la qualità psicologica. A tal fine è importante non essere reattivi, cioè lavorare su se stessi per limitare il turbamento che il vittimista ci infligge. Nei momenti in cui si avverte che dentro se stessi si attua una frustrazione, un senso di impotenza o di rabbia, è importante concentrarsi sulla respirazione e fare alcuni respiri profondi. SWe si ha un credo religioso è importante psicologicamente anche pregare un po’ per quella persona, comunque è bene inviarle buoni auguri dal profondo, come se la si affidasse anche a forze superiori.
Purtroppo certe persone riaprono gli occhi solo quando vanno a ‘sbattere’, allo0ra sarà necessario aiutarle a rialzarsi. Mi pare comunque che lei Lucia debba maggiormente centrarsi sulla sua propria vita e distaccarsi per quanto possibile dai problemi di sua sorella. A volte solo co0sì queste persone , dopo un certo tempo, si rendono piu’ disponibili a rielaborare la relazione ad un licvello più maturo, ove rinunciano ad ostinarsi nella posizione infantile di presa in carico totale e dove tutti i loro problem9i dipendono dagli altri e da un mondo ostile. Provi dunque a lavorare su se stessa per distaccarswi e allora le possibilità di far nascere una relazione più consapevoile miglioreranno e anch4e sua sorella si sentirà più predisposta ad assumersi le sue r4eswponsabilità, co9sa indispensabile in ogni relazione d’affetto. Cordialissimni saluti.
Gentile Lucia, leggendo la tua email, oltre al suo senso di esasperazione, a me sembra che compiano delle tracce attraverso le tue parole, della possibilità che forse tua sorella possa anche essere depressa o comunque che stia sperimentando per qualche motivo, un vissuto simile, che in qualche modo colpisce profondamente anche tu che hai cercato e cerchi di aiutarla. Hai provato a chiederle, con il necessario tatto, qualcosa in tal senso? Spesso, persone depresse, che non manifestano molto apertamente il loro dolore con gli altri, anche i familiari più stretti, con lacrime o reazioni impulsive e rabbiose, possono essere scambiate per dei vittimisti poiché tendono a spostare le loro difficoltà sull’inattività per mancanza di energie ed a cercare di comunicare il loro profondo disagio attraverso delle lamentele di diverso tipo. Ciò accade quando ad esempio, in precedenza magari da piccoli o da adolescenti, non sono state ascoltate oppure, se si,furono fraintese.
Il vittimismo, per quanto pesante per l’altro, è spesso una maschera della depressione o di un dolore (spesso accompagnato da rabbia) percepito come incomunicabile da una parte ed incomprensibile dall’altra. Questo , senza entrare nei dettagli dei processi psicologici sottesi che richiedono un lavoro terapeutico, è uno dei motivi per cui può provocare grande sofferenza da entrambe le parti, Ed è per questo che entrambe le parti, devono avere i loro spazi e tempi per capire meglio se stesse ed il rapporto i cui si è coinvolti per riacquistare la reciproca indipendenza e maturità affettiva, che consenta ad entrambe di stabilire confini personali chiari ma con amore.
Un caro saluto ed auguri per la vostra delicata situazione
Elisa
Grazie come sempre Elisa per i tuoi puntuali e sentiti interventi. Un caro saluto
Gentile Dottore
E’ da tempo che cercavo un testo che riguardasse questo mio male che è il vittimismo.Sono arrivata davvero a toccare il fondo, mi sta distruggendo sia individualmente che socialmente. Come posso uscirne ed evitare di farmi del male e far del male a chi tengo?
deve fare una normale psicoterapia, cercandosi uno psicoterapeuta con il quale si sente a suo agio, non giududicata, compresa e aiutata.Il fattto che lei si renda conto di questa sua tendenza controproducente indica che lei ha il requisito base per guarire e crescere, e che la psicoterapia eeee’ la via giusta.
Questo articolo mi ha aiutato molto. Ho in casa da quattro anni una suocera novantenne che finge di non poter camminare quando siamo in casa ma si alza allegramente e sgraffigna ogni cosa commestibile nel raggio di cento mq. quando siamo al lavoro. Quando le sottoponiamo l’evidenza della cosa, nega spudoratamente e pretend
e aiuto per ogni cosa…sono sfinita e sono tre giorni che le metto dinanzi l’incongruenza dei suoi comportamenti. Ho ottenuto solo una serie di insulti:sei perfida, sei cattiva…. Ad essere onesta del suo parere poco me ne importa, ma non la sopporto più.
Comprendo benissimo la situazione. Massima solidarietà. Questo articolo, molto interessante ed accurato, non fa una piega eccetto per una cosa: quelli che vanno ‘curati’ sono le vittime dei vittimisti. Sua suocera di 90 anni, la mia ultrasettantenne, stanno una favola nel loro vittimismo narcisistico, non hanno alcun bisogno di cure, non hanno alcuna sofferenza: quella ce l’abbiamo noi che le subiamo. Non è stato scritto abbastanza sulla loro arte manipolatoria sofisticatissima.
Questo articolo mi ha aiutato molto. Ho in casa da quattroanni una suocera novantenne che finge di non poter camminare quando siamo in casa ma si alza allegramente e sgraffigna ogni cosa commestibile nel raggio di cento mq. quando siamo al lavoro. Quando le sottoponiamo l’evidenza della cosa, nega spudoratamente e pretente aiuto per ogni cosa…sono sfinita e sono tre giorni che le metto dinanzi l’incongruenza dei suoi comportamenti. Ho ottenuto solo una serie di insulti:sei perfida, sei cattiva…. Ad essere onesta del suo parere poco me ne importa, ma non la sopporto più.
Anche io sono un “consolatore” purtroppo… Non riesco ad aggiungere nulla.. È dura signori…. Ma sono sicuro che possiamo farcela.. Un saluto e un grande abbraccio a tutti..
questo interessantissimo articolo mi ha aiutato a realizzare ciò che avevo in parete intuito: ho avuto a che fare tutta la vita con una vittimista patologica: mia madre. Lei non ha potuto iscriversi alla facoltà di medicina ma si è laureata in farmacia perchè mio nonno non voleva; non ha mai lavorato perchè si è dovuta dedicare alla famiglia, ha fumato per trent’anni perchè nessuno l’ha mai aiutata a smettere ( litigavamo di continuo e la costringevo a fumare fuori al balcone); quando finalmente è riuscita a smettere di fumare è ingrassata trenta chili mangiando di tutto, nonostante fosse stata operata di colecistectomia, procurandosi una steatosi epatica che più tardi sarebbe stata terreno fertile per metastasi (quando le è stata diagnosticata intolleranza al lattosio ha pensato bene di comprare una bella scamorza per verificare se i test erano attendibili: risultato una bella colite). Sempre vittima dei “soprusi” di tutti i familiari è riuscita a fare terra bruciata intorno a se. Quattro anni fa una mammografia , (eseguita su mia insistanza a cinque anni dalla precedente) evidenzia un tumore: 7 linfonodi positivi, chemioterapia, radioterapia e terapia ormonale, per due anni, senza nessuna variazione nell’alimentazione, stato depressivo con insonnia (mai trattato per non intossicarsi!!)e apatia totale. dopo due anni compaiono, metastasi epatiche (lei è rientrata in quel 10% di casi che non rispondono alla terapia , ma guarda un pò la sfortuna!)e ora gira tutta l’italia collezionando consulenze di specialisti “incapaci e inumani”. Ah dimenticavo, io sono un egoista perchè mi sono sposata, sono andata a vivere in un altra regione (per lavoro, sono un medico di base), e non la chiamo mai (tutti i giorni, e mi risponde a monosillabi), e non la vado mai a trovare (e se per caso le dico che vado da lei, mi dice che i bambini la stancano e non ce la fa a tenere in ordine la casa) ah, dimenticavo: i parenti di mio marito sono dei disgraziati ed invidiosi ( li ha visti due volte in vita sua) e io, che mi sono laureata grazie ai suoi sacrifici (!!) mi sono ridotta una serva e una cameriera.
Danila veramente importante questa sua testimonianza ed io le voglio esprimere la mia piu sincera solidarietà. Vorrei esortarla a non avvilirsi, a non subire ulteriormente il vittimiso di sua madre- Deve fare il più possibile lo sforzo di considerarla affetta da una psicopatologia, in quanto così è, in tal mondo – mi consenta la metafora giacché lei è un medico – il suo sistema immuno-psichico (di Danila) produrrà anticorpi psichici. Con ciò non è che si possa dirsi sereni, in qunato è molto disturbante una madre che invece di dare senso di protezione lo indebolisce e colpevolizza chi pure cerca di proteggerla, ciò genera un condionamento pesante, ma che non si deve trasformare in una ‘infezione psichica’ o una ‘malattia ereditaria’ sui figli; è quindi importante che questi possano reagire in modo psichicamente sano e consapevole.
Lei, cara Danila, deve cercare in ogni modo di godersi le cose buone e belle della vita, anche le piccole cose, deve comprendere che – sebbene tutti dovremmo fare così – chi ha avuto una madre narcisista- vittimista ha particolarmente bisoigno di siluppare – anche per compensazione e con un certo impegno terapeutico – un’attitudine positiva verso la vita, il mondo, e gli altri che meritano fiducia, affetto e attenzioni. Sono certo che lei già ha sviluppato questo e che le viene riconosciuto – ad esempio dai familiari di suo marito – allora deve sviluppare ancora di più la sua vitalità verso l’apprezzamento delle cose piacevoli, delle relazioni d’amicizia, dell’amore per il suo lavoro, la vita, la natura, la società. Bisogna cioè avere consapevolezza che questa è la cura di base, altrimenti può prevalere inconsciamente un senso di frustrazione e di ingratitudine dovuto all’impossibilità di aiutare una madre patologica e vittimistica, e quindi anche un’inconscio sentimento di infelicità e di sfiducia, di impossibilità di godere della propria vita e di fare le proprie scelte con la giusta serenità.
Riconciliarsi consapevolmente con la ‘madre ineriore’e quindi con un senso spirituale della Grande Madre, l’archetipo del materno dentro di noi, vuole anche dire impegnarsi a vivere facendo piacere a se stessi e a questa madre archetpica che ci nutre nel profondo è che è quindi contenta del nostro piacere. Questa consapevolezza archetipica le darà qulla protezione e quel tepore pacifico e rasserenante che ciascuna persona ha bisogno di sentire, ma in modo particolare chi ha subito una psicopatologia della ‘madre terrena’, come quella vittimistica di cui stiamo parlando o anche di altra natura patologica.
Cordialmente. Dr. Pier Pietro Brunelli
Gentile dott. Brunelli, la ringrazio di cuore per la tempestiva risposta e per le sue parole. Purtroppo pur essendo medico è complicato gestire questo tipo di problematica dall’interno. cerco di restare lucida ma purtroppo finisco sempre nel cascare nel gioco delle sue provocazioni, finendo per sentirmi in colpa o per perdere le staffe e diventando la figlia cattiva ed ingrata. cerco di limitare i contatti il più possibile( e vengo sistematicamente accusata di averla esclusa dalla mia vita) ad ogni modo quello che mi preoccupa di più , questione che lei ha perfettamente centrato, è il rapporto con mia figlia (di due anni). purtroppo quando sono sotto pressione o particolarmente stanca mi accorgo di avere atteggiamenti simili a quelli di mia madre e questo mi terrorizza. come posso essere una madre serena ed equilibrata per la mia bambina e limitare il più possibile i danni già fatti dalla mia? per il resto ho una vita serena, sono una persona solare (quando non sono a contatto con i miei) e il mio lavoro mi dà grandi soddisfazioni.mio marito è un uomo splendido, tuttavia spesso mi fa notare la rabbia che ho nei confronti di mia madre ( la quale tra l’altro, una volta raggiunto il suo scopo, quello di farmi innervosire, è tranquilla e sorridente come nulla fosse) e talvolta mi rimprovera di avere un atteggiamento troppo aggressivo nel rimproverare Giulia (nostra figlia). lui stesso mi dice che quando sono con i miei divento un’altra. come posso uscire da questa trappola? La ringrazio e la saluto caldamente.
Gentile Dr.ssa Danila, lei ha una formazione medica e dovrebbe estenderla anche alla valutazione e alla comprensione delle disfunzionalità , delle ferite, delle patologie relative all”apparato psichico’. Così come per il corpo sono necessarie terapie efficaci che possono alleviare e risolvere una disfunzione, un trauma, un’infezione, o altro squilibrio organico, così è quando le problematiche psichiche si cronicizzano o hanno forme di acutizzazione che ostacolano realmente la qualità della vita. Certamente lei come medico si occupa di avere cura della salute fisica delle persone, ma ora le tocca che un suo collega specialista (uno psicoterapeuta) abbia cura di lei e quindi le propongo un percorso terapeutico per la sua salute psichica. Sono certo che le gioverebbe molto. Prenda seriamente in considerazione questa possibilità. Cordialmente Dr. Brunelli
Questa storia mi sembra incredibilmente conosciuta, sia in prima che in terza persona, con l’aggiunta che quando non si è più utili per parare i colpi e prendersi vari rinfacciamenti di cose in certi momenti insensate, può succedere di essere buttati via come scarpe vecchie e scomode.
Solo che in quanto “scarpe usate”, ci si può anche sentire molto consumati.
E bisogna cercare con fatica ogni giorno quel frammento di sole che scaldi o quella goccia di pioggia che nutra, anche attraverso piccole azioni, sentimenti e pensieri, al fine di ri – rendere la nostra un’anima fertile. Come era prima ma più evoluta allo stesso tempo. Non è semplice con certe ripetute esperienze di vita ed è faticoso, talvolta molto ma è possibile. Sicuramente nascerà anche una diversa attitudine anche verso certe persone, come ad es. tua madre Danila, comprendendo la loro patologia che si può esprimere in varie forme, un’attitudine spesso con il tempo più conciliatoria al proprio interno che mette però maggiormente in grado di gestire il rapporto con loro anche all’esterno, a livello interpersonale. E sapendo che purtroppo, rispetto ad un rapporto primario che dovrebbe ed avrebbe soprattutto dovuto, in passato infonderla, la propria serenità è altrove, con gli altri, nel mondo esterno ed in alcune zone del nostro mondo interno.
Con solidarietà.
Purtroppo anche io sono caduta nella rete di un vittimista… Uscita da un matrimonio burrascoso mi sono ritrovata in una relazione con questa persona..che all’inizio era stupenda.. Poi la convivenza e a completare la coppia la nascita di un figlio… Ora pero le cose vanno sempre peggio…lui mi colpevolizza su tutto e 24 ore su 24 mi sminuisce come donna e come madre.. Ha perso molteplici lavori e ora ho sulle spalle mutuo bollette mantenimento del piccolo più lui da sfamare.. Non mi da tregua in niente, si comporta come un servo in punizione facendo passare agli occhi di tutti che la cattiva sono io.. Perché non mi sono ancora liberata di lui? Per mio figlio che lo ama come fosse un Dio, visto che fa il “mammo” mentre io vado a lavorare per mantenere la famiglia..non so davvero cosa fare avrei bisogno di un consiglio se possibile in maniera da riuscire a di stricarmi da tale situazione. Ringrazio anticipatamente
E’ molto importante in questi casi avere un siostegno psicoterapeutico. Cerchi di fare il possibile per ottenerlo in funzione delle sue esigenze e delle sue possibilità. Ci sono situazioni apparentemente insolubili che invece con il giusto sostegno possono trasformarsi e andare verso il meglio. Importante è preservare l’amore dei figli anche quando non siamo in accordo con il partner. Si tratta di due cose da tenere distinte. Quando un bimbo ama entrambi è sempre bene, è un buon segno affinché si possano trovare quei processi di elaborazione e maturazione per superare umanamente crisi, rancori e dissidi.
Professor Brunelli,
mi chiamo Francesca e in un momento di sconforto e di abbattimento emotivo ho cercato su goggle qualcosa che mi facesse capire il perchè di certi atteggiamenti da parte del mio compagno. Dopo l’ennessima discussione per motivi apparentemente futili mi trovo a riflettere sul xche scelgo persone con le quali non riesco ad instaurare un rapporto equilibrato dove entrambi al termine della discussione si mettono in silenzio ed ascoltano il loro interno…. Anzi fin troppo spesso mi accorgo che ad ogni fine discussione lui scarica su di me la colpa della litigata accusandomi di essere aggressiva ed impulsiva, difetti caratteriali che ho e che riconosco ma che non uso a scopo intenzionale. E’ sempre molto negativo e pessimista ed anche se sta passando un brutto periodo non ritengo motivo valido x piangersi sempre addosso ed appunto fare la vittima. Io lo ascolto e le sue problematiche sono sempre le stesse x cinque anni le ho ascoltate come amica e da un anno come compagna ma tutto quello che gli dico e gli aspetti positivi che nonostante le difficoltà ci siano state non vengono da lui percepite come tali .E’ come se facendogli vedere cose belle lui non fosse felice anzi ne rimane disturbato e scocciato!! E quando litighiamo lui utilizza il suo status per farmi sentire in colpa inadeguata ed ogni mio sforzo x stargli vicino si trasforma in un cane che si morde la coda. Dopo la discussione scompare si chiude in un mutismo quasi insopportabile pretende che lo cerchi ma al tempo stesso non risponde ai miei messaggi tanto che ultimamente ho smesso di farlo e mi sono detta aspetto che gli passi e poi con calma ne parliamo ma ci resta male e mi accusa di essere menefreghista!! insomma come faccio sbaglio e soprattutto che sono IO quella cattiva quella che non capisce quella che parla poi sempre troppo….. Sono un po stanca e non del fatto di volermi mettere in discussione ma del fatto che mi sembra che mi ci mi metto solo e sempre io ma fino a che punto è giusto tutto ciò?? Vorrei poter parlare con lui e discutere con lui senza mettere sempre in discussione noi stessi e il nostro amore o il nostro essere…. ma accettando la litigata come un conoscersi uno scambio di idee un qualcosa che non allontana ma semmai ci permette di capirci meglio e di prendere le misure giuste….e soprattutto di dire la mia ragione non è assoluta ne sempre obiettiva ma assolutamente personale, vediamo dove sta il nostro punto d’incontro…. xche accusare sempre gli altri di non capirci a cosa serve piangersi addosso così tanto da non riuscire più a vedere le cose belle che abbiamo? xche non ci guardiamo dentro e ammettiamo con noi stessi che abbiamo dei limiti ma che quegli stessi limiti sono il nostro punto di partenza e di forza se li accettiamo come tali.Lo amo così comè ma anche io voglio essre amata x quello che sono e non mi va più di dovermi scusare x cose che non ho detto o pensato e di ritrovarmi a dire va be passiamoci sopra passerà lui mi conosce e lo sa che sta esagerando….ma ultimamente credo di stare sbagliando qualcosa…. mi può aiutare a capire meglio? Mi rendo conto che sto di fronte ad un muro…. Grazie x avermi ascoltata le parole che ha usato sul commento della signora sono state chiare ed esaustive.
Un cordiale saluto
Francesca Pastore
Gentile Dottore, ero in cerca proprio di qualche informazione su questo tratto caratteriale, che contraddistingue in maniera spiccata una persona della mia famiglia. In passato io credo di essere stata la sua “consolatrice”, con tutto il meccanismo perverso che ne consegue, al punto che, impegnata per aiutare questa persona sono giunta da uno specialista il quale mi ha suggerito: a) di tirarmi fuori da questa situazione perchè stava nuocendo gravemente a me; b) di abbandonare l’idea di poter aiutare io questa persona, la quale avrebbe dovuto sviluppare da sè la condizione di chiedere aiuto, pena la validità dell’aiuto stesso. Fino ad oggi questa persona non è mai riuscita a intraprendere questo percorso e la sua situazione psicopatologica è peggiorata sempre più, di pari passo al suo grado di isolamento.
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>La mia domanda dunque è: come si fa ad uscire dai circoli viziosi innescati da questo disturbo? E’ chiaro che la persona isolata da sola non riuscirà mai a mettersi nella condizione di farsi aiutare…Qual è l’atteggiamento più corretto per chi è vicino a questo tipo di persone? Cosa si può fare per aiutarle senza farsi “divorare”?
Per aiutare queste persone bisogna mettere in conto che occorre una forte capacità di sopportazione, uno spirito di sacrificio. E’ necssario nutrire questo spirito con fonti spirituali. Ma non si può abusare di esso. Occorre il giusto equilibrio. Ricorda che Gesù ha detto : “Ama il prossimo tuo, come te stesso’. SE per amare l’altro vieni meno a questo precetto, in quanto entri in conflitto con te stessa, vai contro questo precetto. Allora devi moderare l’aiuto, altrimenti la tua energia diminuirà sempre più sia per te e sia per chi vuoi aiutare, quella persona vittimista o altre. A volte se questo processo negativo è andato troppo oltre è giusto rinunciare ad aiutare e devi invece concentrarti di più ad aiutare te stessa. Poi potrai riprenere ad aiutare chi vuoi nella giusta misura quando sarai più forte. Molto dipende da cosa proietti verso questa persona vittimista. Cosa rappresenta per te, dentro di te. Solo se acquisisci coscienza di tale proiezioni potrai evitare che questa proiezione agisca inconsciamente e trasformi le tue buone intenzioni di aiuto in energia negativa. Questa proiezione si deve essere formata nella prima infanzia. Spesso i bambini si sentono responsabili dei problemi dei loro genitori e lottano in tutti i modi per curarli, ma con grande frustrazione. Da grandi possono ripetere questo processo con ulteriore frustrazione, nei confronti di una persona che ha un problema di vittimismo per cui essa non riesce a contraccambiare con una equilibrata gratitudine. Prova a a riconoscere quando e come e verso chi, seppure in forma molto diversa, da bambina ti sei sentita in difficoltà per l’impossibilità di trasformare con le tue sole forze una dimensione affettiva che percepivi come difficile e infelice, e non ci riuscivi. Non ripetere ancora questo processo. Acquisisci coscienza della influenza inconscia della tua condizione interiore, cominciata da bambina. Allora un po’ alla volta potrai emanciparti, comprenderti, provare a trasformarti. Allora, con le dovute precauzioni e misure, potrai aiutare il più possibile anche quella persona… ma non devi venire meno al precetto di ‘amare te stessa’.
Secondo me, il vittimismo di questa persona, che non può purtroppo essere dato per scontato, potrebbe essere una conseguenza di una psicopatologia o altra situazione più importante ed è su questa che bisognerebbe indirizzare i tentativi di portargli aiuto e fargli intraprendere un eventuale percorso.
Considera inoltre che in ogni relazione umana, anche quella di base tra 2 persone, esiste una specie di “triangolo perverso”, costituito da “vittima, carnefice e salvatore o come lo si voglia chiamare, “consolatore” “, che si riproduce costantemente, portando ad una alternanza, spesso inconscia, dei diversi ruoli. Per cui, tutti indistintamente, alcuni senza mai accorgersene, oppure pensando di esserne in diritto per via del loro ruolo, siamo e ci comportiamo a volte da vittime, a volte da carnefici (in senso lato), a volte da “salvatori” o “consolatori” (anche se non sempre le due cose coincidono in modo specifico) . Una domanda che il o la consolatrice (salvatore, salvatrice..) potrebbe e dovrebbe porsi quando si trova in certe dolorose situazioni, è :”Quale parte di me ho bisogno di nutrire, facendo quel che sto facendo?” e “Quale parte di me, vorrei fosse abbracciata e consolata attraverso l’azione di consolazione che cerco di portare all’altro?” Anche se l’altro sembra non “rispondere come io vorrei?” cioè mostrarsi consolato e grato invece che ad es., depresso, addolorato, frustrato ecc ..e “perché ho questo bisogno?”
Inoltre, questa situazione triangolare, relativa alla dinamica del triangolo “perverso”, che si sviluppa durante la nostra crescita nel primo rapporto con i genitori, si riproduce costantemente anche all’interno di noi stessi quando ci poniamo in relazione con altri, in modo diverso a seconda di come ci sentiamo e delle emozioni ed esperienze infantili che questo Altro ci suscita e smuove, per cui, potemmo cercare anche di vagliare ciò che proviamo e ricollegarlo ad esperienze della nostra vita.
So bene per esperienza che i bambini mettono grandissimo impegno ad es., per consolare e “salvare” genitori afflitti da qualcosa e poiché spesso non ci riescono se ci sono problemi gravi, provano un senso di sgomento e fallimento, accompagnato da colpa che li angoscia. Anche perché i bambini fino ad una certa età, credono davvero di poter riuscire in queste imprese. Spesso da grandi, questi bambini di allora, sentono poi il bisogno di “riparare” quei genitori inconsolabili in altre persone, parenti o no ed essendo esse più mature, a livello emotivo/cognitivo, si sentono, quando non riescono (piuttosto tipicamente, poiché ciò, questa situazione in cui ci si mette, rievoca la vecchia situazione familiare da “riparare” ) risucchiare o divorare. Quindi è giusto a volte allontanarsi un pò da una situazione che sicuramente è stressante per recuperare la propria energia, il contatto con se stessi. Ma è altrettanto giusto interrogarsi sui motivi che ci spingono a comportarci in modo molto ripetuto da “consolatori” ed anche se noi ci sentiamo e vediamo onestamente così, potremmo chiederci anche se davvero sempre siamo soltanto tali (attraverso il nostro linguaggio e comportamenti) al fine di capire meglio anche noi stessi, al di là dei nostri sforzi per capire la “vittima “che vorremmo appunto “consolare” . O che per qualche ignoto motivo, ci troviamo a consolare, cosa che richiederebbe un’approfondita analisi di sé e della situazione, sia per capire sia per uscirne. Capendo meglio noi stessi, possiamo poi sia consolare quando c’è bisogno, sia non farlo quando non serve, e capire ed indirizzare meglio l’altro che vogliamo aiutare senza esserne sopraffatti e senza opprimerlo. In ultimo, un’aspetto pratico. Se la persona a cui ti riferisci soffre di una psicopatologia realmente molto grave (anche la fobia sociale può portare all’isolamento ma è meno grave di altre patologie pur comportando grandi sofferenze ed isolamento, appunto), potete provare a prendere contatti con il CSM di riferimento per provare a portargli aiuto ed essere supportati.
Cara anna, spero tu possa riprenderti al meglio e che la situazione riesca un pò a districarsi.
Un caro saluto
Ottimo questo intervento che condivido nei contenuti e nella forma. Colgo l’occasione per sottolinerae che la ‘vittima’, intesa nella sua espressività vittimistica, e quindi che non si rende conto di accentuare e reteirare le sue lamentele – non si rende conto anche di quanto può risultare ansiogene e depressiva e destabilizzante nei confronti di chi la potrebbe aiutare o consolare. Tale effetto del viuttimismo può generare una tale frustrazione nel ‘consolatore’ o nel terapeuta che lo conduce ad un vero e proprio calo psicoenergentico per cui entra in un processo disfunzionale per la sua vit e il suo lavoro. Ci troviamo quindi in una forma particolare di ‘vampirizzazione’ che toglie energie al paziente e al terapeuta. Pertanto il vittimismo acuto o cronico è una versione diciamo ‘invertita’ del narcisismo patologico, in quanto l’energia psichica non viene investita nella relazione oggettuale in maniera equa rispetto all’investimento narcisistico. Il vittimista patologico investe la libido sul proprio Io al fine di richiedere una relazione che non riesce a costruire in modo oggettuale. La cura quindi consiste nel favorire la poissibilità di investimento oggettuale, nonos6tante il vittimismo inconsciamente attacchi proprio questa possibilità vampirizzandola. E’ una lotta che può rivelarsi lunga e micidiale, non sempre un terapeuta puòl farcela, ma certamente, se si impega con tutta l’anima e tutta la mente, può segnare un punto di svolta nell’esperienza del paziente, e dare avvio ad un cambiamento o ad una nuova consapevolezza.
ringrazio Elisa ed il Prof. Brunelli per le loro risposte, sicuramente ricche di importanti spunti di riflessione. In effetti i meccanismi che avete descritto sono in atto anche nel mio caso, questa tendenza a reiterare il ruolo della consolatrice, in casi più o meno gravi, come se fosse “il” ruolo appreso. Non sempre è facile porre la giusta attenzione su questi tipi di meccanismi che ci hanno investiti e che continuano ad investirci, almeno con intento risolutorio, al di fuori di un contesto terapeutico (che non sempre ci è possibile frequentare), perchè ci sono dei meccanismi di difesa nei confronti di ciò che provoca dolore. Senza dubbio però è importante ricordarsi di fare attenzione e avere un minimo di strumenti per saper leggere con un po’ di distacco situazioni in cui si rischia di rimanere talmente invischiati da non saperle affrontare. Ecco perchè io ritengo importante, sulla base della mia esperienza, l’auto di un terapeuta, perchè non sempre nei nostri contesti di provenienza è possibile ricevere una sufficiente, e indispensabile, educazione emotiva e sentimentale. Detto questo, l’intervento nei casi più gravi non è facile quando non c’è la collaborazione del diretto interessato e quando mancano a più persone del contesto familiare quegli strumenti di cui parlavo per poter affrontare situazioni come queste.
vi ringrazio ancora per i vostri interventi
Un caro saluto a tutte le persone che partecipano a questo forum. Un augurio affinché questo nuovo anno possa portare una nuova luce per ritornare ad essere nell’amore. Non lasciamoci sopraffare dal dolore provocato da dimensioni psicologiche disturbate e disturbanti. Manteniamo viva nel nostro cuore la speranza e la forza dei buoni sentimenti. Questa è la base affinché le esperienze negative servano per maturare ed evolvere nel bene. Giuliana
Grazie per la riflessione profonda e compassionevole, è un articolo stupendo, che personalmente mi riconcilia con la mia parte pigra e spaventata che troppo spesso ha soggiornato inconsapevolmente nel vittimismo. Il passo successivo una volta compreso questo è chiedere scusa, e lo farò, semplicemente e convinta, agli altri, a me stessa, alla vita a cui ho negato il suo valore di bene.