In termini psichiatrici la mania è un disturbo dell’umore che, con diversi gradi di intensità e con diverse sintomatologie, indica uno stato eccitatorio psicotico, o ‘quasi-psicotico’, nel senso che in fase acuta comporta un grado più o meno intenso di alterazione della personalità e dello stato di coscienza.
In un articolo di R. Vincenti, pubblicato recentemente nella rivista medica “Diagnosi & salute”, si offre una sintesi efficace del quadro sintomatologico che caratterizza il comportamento maniacale:
[…] la parola “mania” sta ad indicare un disturbo del tono dell’umore, che è caratterizzato da quello che, nel parlare comune, si definisce “essere sopra le righe”, e cioè:- uno stato d’animo di eccessiva euforia, buon umore, allegria
- una esagerata fiducia in se stessi, senza limiti e senza critiche al proprio operato
- progettare continuamente cose da fare nel futuro, e perdere il contatto con la realtà presente
- non stare mai fermi, parlare sempre, non badare a cosa ne pensano gli altri
- essere disinibiti, certe volte sfrontati o addirittura irritanti
- avere tutta una serie di pensieri, che si affacciano alla mente, passano, e poi si perdono, sostituiti da sempre nuovi pensieri e progetti
- provare una gioia di vivere istintiva e certe volte selvaggia
- sentirsi pervasi dalle energie sessuali e cercare di avere una vita sessuale molto intensa
- essere incapaci, talvolta, di portare avanti un discorso complesso, ed essere continuamente distratti da quello che avviene nell’ambiente
- fare continuamente associazioni mentali e saltare da un pensiero all’altro
- sentirsi continuamente spiritoso e vitale, ma, nello stesso tempo, confuso e, certe volte, disperato
In termini psicologici, quindi, si dice che una persona in stato di euforia, sta attraversando una “crisi maniacale”; se la crisi non è molto forte si indica come “stato ipomaniacale”; mentre, in termini comuni, chi ha una passione troppo forte per qualcosa viene chiamato “maniaco” (Vincenti, 2004).
In genere, lo stato maniacale di esaltazione e di iperattività del soggetto, si alterna ad uno stato di depressione (ciclotimia)[1]. La sindrome maniaco-depressiva è una forma psicopatologica cosiddetta ‘bipolare’, che può presentarsi in forme più o meno gravi. Si tratta di un disturbo che si manifesta con l’oscillazione di stati umorali depressi e stati di esaltazione, spesso senza che vi siano motivi contingenti ragionevolmente causali, e con cicli di alternanza che possono variare da alcuni giorni a diverse settimane.
RELAZIONARSI CON PARENTI, PARTNER, AMICI, COLLEGHI IN PREDA A STATI DI INVASAMENTO IN QUANTO MANIACALMENTE ESALTATI DA: LAVORO, POLITICA, ARTE, SESSO, IMPEGNO SOCIALE, RELIGIONE, SPORT, HOBBY, CREDENZE E CONVINZIONI ETICHE, ALIMENTARI, COMPLOTTISTE E A SFONDO PARANOIDEO (nemici dappertutto da sconfiggere), OVVIAMENTE NON E’ FACILE E QUALCHE VOLTA E’ INSOPPORTABILE… NON MI RIFERISCO A SOGGETTI CON MANIE PROPRIAMENTE PSICOTICHE, MA A SOGGETTI CHE COVANO DEPRESSIONI E FANTASIE NARCISISTICHE DI GRANDEZZA E POTERE, E CHE PER COMPENSARLE REAGISCONO ESALTANDOSI IN MODO ACRITICO, DISTURBANTE, TOTALITARIO E PRETENZIOSO RISPETTO A CAUSE E PALLINI, MASSIMI SISTEMI, PARTITI PRESI, GRANDI IDEALI E VALORI AL PUNTO DI PERDERE LA LORO IDENTITA’ PIU’ AUTENTICA E DISCONOSCERE QUELLA DEGLI ALTRI… ma vediamo di approfondire i sensi negativi e positivi della maniacalità, o meglio della ipomaniacalità e delle piccole e grandi manie che esaltano o divorano l’identità, i sentimenti, le passioni… e le confusioni.
Se si parla di disturbo maniacale in riferimento ad uno stato di psicosi acuta si intende la perdita del principio di realtà, con irrequietezza generale e manifestazione di comportamenti e pensieri riferiti a fantasie abnormi e allucinazioni. La mania di grandezza ad esempio, consiste nel credere di essere un‘autorità superiore, o un personaggio celebre. Anche la mania di persecuzione ha in fondo una base megalomane, in quanto il sentirsi perseguitati da potenti entità implica nel perseguitato la fantasia di essere molto importante. Il cosiddetto maniaco sessuale è una persona che, in modo più o meno assillante, è colto da fantasie erotiche morbose, e che può giungere alla messa in atto di comportamenti violenti e aberranti al fine di soddisfare tali fantasie. Il ‘raptus erotico’ offre una immagine parossistica della ‘mania’ in quanto fenomeno energetico che si impadronisce della volontà del soggetto, spingendolo ad agiti provocatorii e violenti. Nella mania ‘psicotica’, dunque vi è una perdita di controllo più o meno grave della capacità volitiva, questa vuole ciò che la mania ‘vuole’, e in tal senso il soggetto collude con la mania, quindi accetta coscientemente di essere da essa posseduta. Tuttavia manifestazioni parossistiche si evidenziano solo in fasi gravi ed acute della malattia. Molto più spesso il delirio maniacale non comporta una perdita delle capacità intellettuali ed emotive. Ciò è inquietante proprio perché il ‘maniaco’ appare lucido e sicuro delle sue idee, il che rende ancora più evidente quanto sia subdola la capacità della mania di impossessarsi della coscienza, lasciandone inalterate le principali aree di funzionamento. Lo psicanalista post-junghiano J. Hillman, fa notare che la mania, considerata come una forma di delirio paranoideo, è un disturbo che attiene all’area dell’attribuzione di significato (Hillman: 1985:15-19) Tale attribuzione, potrebbe derivare da una ‘teosi’ , cioè da una credenza su base psicotica di tipo magico-sacrale, che si traduce in una forma di possessione maniacale (vedi par. VI).
Hillman adopera la metafora “picchi e valli”, dalla quale si evince l’andamento ciclico dell’umore, che si protende verso alte dimensioni spirituali, per poi discendere verso le valli dell’anima/psiche, intesa come la terra di mezzo tra ciò che è umano e ciò che è mitico e spirituale. (cfr. Hillman, 1976). In tal senso la mania può essere intesa come l’irruzione dello spirito nell’anima, che viene elevata in una dimensione psichica irrealistica, di distacco terreno.
Nel seguente passo, Vincenti indica un possibile senso originario della parola mania che ben introduce una concezione platonica, junghiana e post-junghiana, della mania. Dice Vincenti:
Secondo una certa interpretazione, la parola “mania”, potrebbe derivare dalla parola “mana”. Per gli indigeni della Polinesia, “mana”, rappresenta la inarrestabile energia vitale, che proviene dagli Dei, e che è presente in una certa misura, negli uomini, negli animali, nelle piante e nei fenomeni della natura. Secondo questa interpretazione, se una persona presenta un comportamento maniacale, questo avviene perché in quel momento l’uomo è posseduto dagli Dei, è “invasato” come si soleva dire una volta, ed è quindi in preda ai mana (idem).
Quindi sono sinonimi di mania anche espressioni come ‘possessione’ e ‘invasamento’, che sono adoperate nella terminologia platonica e che meglio si adattano ad una visione junghiana della mania.[2] Jung considera l’idea di mana, delle antiche popolazioni della Melanesia, come la più antica elaborazione del concetto di energia. Il mana è ciò che è impressionante, sovraordinario, potente e che quindi agisce nella dimensione animica dell’ambiente e degli esseri umani (Jung, 1947-1954:250).
La parola invasamento esprime proprio l’immagine di un vaso che viene riempito di mana, vale a dire che la volontà personale (il vaso) acquisisce contenuto, qualità, azione, grazie ad una energia esterna che vi viene versata da alterità mitico-spirituali. Possessione e invasamento, in quanto antiche terminologie afferenti alla mania, presuppongono una spiegazione mitico-spirituale, secondo la quale la mania è l’espressione di entità superiori e iperurane, che invadono la persona imprimendole la loro volontà, la quale si traduce in desideri e comportamenti che comportano una esaltazione delle potenzialità umane. In termini scientifici, le alterità portatrici di mana, possono essere riferite agli archetipi dell’inconscio collettivo, con i quali vengono ad identificarsi aree complessuali della psiche individuale (vedi par. VI).
In tal senso il maniaco è come posseduto o invasato da un demone, così come si pensava nella tradizione filosofica greca e più in generale nelle diverse tradizioni d’origine, elaborate dal discorso di Platone nel Fedro. (Queste tematiche che evidenziano la continuità tra il pensiero platonico sulla mania e quello junghiano saranno meglio esposte nei paragrafi VI e VII).
In termini psichiatrici la relazione tra mania e tempo è molto importante nella comprensione dei fenomeni maniacali, e ciò evidenzierebbe una loro particolare cogenza con i modi di pensare e di vivere il tempo libero. La percezione e la deformazione del tempo nello stato maniacale viene indagata in modo specifico dallo psichiatra fenomenologo L. Binswanger. Il principale riferimento va ad una sua opera che è ormai considerata ‘classica’: Melanconia e mania., pubblicata nel 1960. [3]
Apte at simpliceter ricordiamo che, secondo Binswanger, mentre la melanconia si manifesta attraverso una rimuginazione autoaccusatoria e infelice, sempre rivolta al passato o al futuro, la mania si manifesta come esaltazione del presente, euforica, precipitosa, caratterizzata da ipercinetismo mentale e “fuga delle idee”,[4] tipicamente incapace di relazionarsi con il flusso temporale. Dice Binswanger:
Mentre dunque il melanconico vive, per dirla in termini comuni, in un passato o in un futuro intenzionalmente turbato, per cui non perviene ad alcun presente, il maniaco vive solo “per il momento” (1960:111).
Dunque il tempo libero sembra essere anche il ‘tempo di eccellenza’ per il manifestarsi della mania. Infatti nel tempo libero vi sono diversi atteggiamenti e rituali volti all’esaltazione del presente. Si pensi all’esortazione del ‘carpe diem’, a cogliere ogni sorta di piaceri immediati, alla gaudente etica della deresponsabilizzazione rispetto agli impegni e alle ansie del passato e del futuro. La frequente evocazione di un futuro ricco ed esaltato è una modalità per enfatizzare l’importanza del presente, di trovarsi nella giusta tabella di marcia. Dunque il presente, non è vissuto nella sua pienezza, con obiettività e senso critico, ma come una esasperata percezione della attualità, funzionale a rassicurare le proprie capacità di dominio, e l’esaltazione della propria condizione umorale.
Il maniaco tende quindi a liberarsi dalla temporalità e quindi dalla sua ‘storia interiore’, che dovrebbe sancire la continuità e lo sviluppo delle sue azioni. Da qui il suo continuo iniziare attività e poi abbandonarle, il suo distrarsi attraverso continui impegni e attività che si esauriscono non appena mettono in gioco una progettualità necessariamente temporale. Tutto vale al momento, e quindi vi è un difetto di appresentazione ,[5] cioè di presentificare quelle componenti spaziali e temporali che, pur essendo assenti, danno effettivo senso ad ogni esperienza. Da ciò deriva che il maniaco percepisce il tempo come più corto e lo spazio come più piccolo. Questa riduzione maniacale, consente di provare un sentimento di grandezza, poiché lo spazio-tempo ridotto ad un presente ‘acritico e parziale’ e all’esaltazione di un qualche particolare oggetto di attenzione, dà la sensazione euforica di poter padroneggiare ogni cosa.
Ma il prezzo che contemporaneamente viene pagato è quello di sentirsi divorato, schiacciato, circondato dalle ‘angustie maniacali’ del tempo e dello spazio. Paradossalmente tutto viene ridotto come conseguenza della propria supposta grandezza.[6] Il maniaco dunque fugge da se stesso, fugge anche dal presente, ma alla ricerca di un ‘altro’ presente capace di ripristinare il tono umorale maniacale. Ciò spinge a fuggire dalla temporalità e dallo spazio complessivo dell’esistenza che non riesce a collocarsi in una dimensione spazio-tempo realmente soddisfacente. Viene allora esasperato l’isolamento di ciò che si considera interessante, elevandolo sotto la teca di una estenuante e apparentemente pregevole attualità. Laddove vi siano particolari doti intellettuali e una cultura elevata, il fenomeno della “fuga delle idee”, può passare per una notevole capacità discorsiva, la quale però finisce poi con il risultare tortuosa e quasi incomprensibile. Ma anche a livelli culturali non elevati, la iperdiscorsività maniacale consente di presentificare l’essere in comunicazione con se stesso e con gli altri, e quindi al fine di sfuggire alle temute tonalità depressive, che potrebbero derivare da un ponderato confronto con il fluire del tempo e con uno spazio contestuale oggettivamente più ampio. La mania, paradossalmente, nella sua tensione magnificatrice finisce con il limitare e impoverire lo spazio-tempo, invece di riuscire effettivamente ad ampliarlo e a valorizzarlo. Il maniaco, nel voler essere più grande di sé, riduce il suo spazio vitale e diminuisce il suo tempo.
Estratto da ‘Manie del tempo libero’ di Pier Pietro Brunelli
(in Brunelli, P. Ferraresi, M. A cura di in La società del tempo libero, 2003 Arcipelago edizioni, Milano)
[1] Per una introduzione ‘psichiatrica’ della mania si veda : Henry, E. (ed.) Bernerd, P. e Brisset, Ch.: “Si definisce mania uno stato di sovraeccitamento delle funzioni psichiche caratterizzato dall’esaltazione dell’umore e da uno scatenamento delle pulsioni istintivo-affettive. L’impiego eccessivo e disordinato di energia si manifesta similmente nel campo psichico, psico-motorio e neurovegetativo (1972:201).
[2] In verità, il termine mania non viene quasi mai adoperato nella terminologia junghiana, mentre invece è spesso adoperato il termine ‘mana’ (vedi Pieri, “Mana”). Il concetto di mana viene da noi ripreso nel paragrafo VIII in relazione ad una interpretazione psico-antropologica sui fattori invarianti che caratterizza i trend socioculturali e di consumo.
[3] Binswanger teorizzò il metodo della ‘antropoanalisi’ sulla scorta degli insegnamenti della fenomenologia di Husserl. In estrema sintesi questa metodologia, detta anche “analisi esistenziale” mira a comprendere il soggetto umano nella sua capacità di intenzionare la sua esistenza e quindi di darvi un senso soggettivo, unico e irripetibile. Un altro tema fondamentale nella fenomenologia e nell’antropoanlisi è la temporalità. Percezione e produzione del senso del tempo e del suo flusso unitario caratterizza la soggettività intenzionale dell’esperienza umana, come ricordo e progettualità. Quindi i disturbi dell’umore vengono considerati come disfunzione dell’intenzionalità e della temporalità dell’esperienza soggettiva.
[4] Sul tema della ‘”fuga delle idee” di tipo maniacale, si veda Binswanger, 1933.
[5] Termine che Binswanger riprende dalla fenomenologia di Husserl. Per una introduzione a tali argomenti vedi Gentili, C., 1960.
[6] La mania di grandezza non può essere sempre riferita alla ostentatazione onorifica, espressa attraverso l’”ozio vistoso” e il “consumo vistoso”, secondo la logica dello status symbol, evidenziata da T. Veblen in op.cit. 1899. Nella megalomania non è determinante mostrare agli altri la propria supposta grandezza, ma è essenziale averne la sensazione. L’ostentazione serve innanzitutto a persuadere se stessi. Inoltre la grandezza può anche essere espressa con iperattività (riferita anche a lavori non prestigiosi) e con la capacità di ridurre la propria dipendenza dai consumi, quindi in opposizione ad ozio e consumo vistosi.
One Comment
Leave A Comment
You must be logged in to post a comment.
Mi piace pensare che esista in ognuno di noi una musica di fondo individuale, una partitura ritmica dove si alternano le pause, le ascendenze e le discendenze, e questo per modulare in modo assolutamente personale l’ energia vivente. Ognuno di noi è come uno spartito e questa immagine credo piacerebbe anche a Jung, che ha sempre cercato di adottare termini e metafore non convenzionalmente medico-scientifici, per rispetto credo, della sacralità dell’ esistenza e del suo insondabile mistero. Anche questo articolo mi è sembrato pieno di rispetto e per questo mi è piaciuto molto, sa parlare di un tema cosi fastidioso (data l’ insopportabilità di certi tratti maniacali come l’ esaltazione logorroica) e anche doloroso, senza porre troppe etichette. Come al solito è sempre la capacità di fare diagnosi riservata allo psicoterapeuta che permette di riconoscere un’ altalenarsi di umore “normale” da uno “patologico”, ed è anche questione di saper vedere ad esempio dietro una teosi la voglia di conoscere e integrare certe alterità percepite dentro se stessi. Credo che spesso il nostro mondo rifugge troppo dai “picchi” e il linguaggio e l’ espressione di se stessi, si riducono ad una pochezza veramente limitante. Non ci sono purtroppo solo picchi e valli parafrasando Hillman, ci sono purtroppo anche molti “sotterranei” dove il dialogo aperto è fortemente inibito. E’ facile allora che questa tensione verso l’ alto si costituisca e si oggettivizzi in un “altro” come dice l’ antropologia, l’ altro da sè che abita il sè e si pone il problema per la persona di conoscerlo e dialogarci. Sarebbe bello poter approfondire sempre di più questo discorso.
Intanto grazie!