Di Pier Pietro Brunelli estratto da “Psicologia della pubblicità” Carocci, 2008 AA.VV. Immaginario erotico e società dei consumi
La parola ‘archetipo’ è spesso impiegata nelle analisi massmediologiche e di mercato per indicare la radice psico-antropologica di modi di pensare e di comportamenti. In tal senso la pubblicità può essere analizzata e progettata ‘psicologicamente’ in base ad una concezione archetipica della psiche. Il concetto di archetipo è stato introdotto in psicologia da C.G. Jung (e sviluppato da molti altri studiosi tra cui E. Neumann, J. Campbell, J. Hillman, M. Trevi, C.S. Pearson) per dimostrare che la psiche è costituita da disposizioni innate, che assumono espressioni differenti in ciascun individuo, ma che sono però presenti potenzialmente in tutti gli individui (vedi Jung, 1934-1954). Dunque, gli archetipi non sono propriamente istinti (i quali sono ‘per natura’ immutabili) ma componenti relativamente invarianti dell’”inconscio collettivo”, le quali hanno funzione di ‘matrice psicoculturale’, che assume espressioni differenti a seconda della situazione storica, sociale e relazionale degli individui. Quando si parla di ’immagini archetipiche’, ci si riferisce sia a rappresentazioni che compaiono nei sogni e nelle fantasie individuali, e sia nei miti, nelle leggende e nelle “rappresentazioni collettve” (nozione con la quale Lévy-Bruhl – 1910 – denomina la primitive figure simboliche – cioè gli archetipi intesi, coerentemente con la loro etimologia, come ‘impronte iniziali’). Quindi le immagini archetipiche, sebbene siano fondate su una loro essenza noumenica universale e a-priori, si manifestano in forme fenomeniche variabili. Ad esempio personaggi storici e dello spettacolo possono derivare gran parte del loro successo dalla loro capacità di incarnare una immagine archetipica. Così, la parola archetipo viene usata un po’ sommariamente, e comunque con una certa efficacia, per indicare modelli psicoculturali dell’immaginario collettivo, ad esempio: Gandhi è archetipo della pace, Marilyn Monroe dell’eros, Che Guevara del ribelle, ecc.
La nozione di inconscio collettivo è dunque parallela a quella di ‘immaginario collettivo’, vale a dire quei processi immaginativi che sono fortemente influenzati dalle immagini mediatiche, riferite all’informazione, allo spettacolo e alla pubblicità. In tal senso Codeluppi citando G. Durand (1960) invita a riflettere su come le strategie di marca possano sollecitare le ‘strutture archetipiche’ e l’ immaginario’ (Codeluppi, 2001: 31-32).
La concezione archetipica della psiche e dell’immaginario collettivo può essere impiegata per la comprensione ‘psicoculturale’ di molti fenomeni massmediatici, tra i quali anche quelli relativi al marketing e alla pubblicità (vedi ad es. gli studi del CAPT “Center for application of psychological type” – Gainesville, Florida; vedi anche Mark e Pearson, 2001; Wertime, 2002; Brunelli, 2002; Cova 2003). Narrazioni, personaggi e oggetti delle campagne pubblicitarie tendono in modo, più o meno felice, ad impersonare aspetti archetipici della psiche. Jung, analizzando i miti di diverse culture, in modo comparato rispetto ai sogni e alle fantasie dei pazienti, ha individuato le fondamentali aree archetipiche della psiche. In modo ‘iperschematico’ indichiamo le principali figure impiegate da Jung per ‘spiegare’ gli arhetipi: la Grande Madre: corrisponde a sentimenti di fusionalità e totalità – il Puer: configura gli aspetti infantili, positivi e negativi, presenti nella vita adulta – l’Anima e l’ Animus: rispettivamente il femminile inconscio nell’uomo e il maschile inconscio nella donna – il Vecchio Saggio: relativo agli aspetti senex della psiche, anch’essi presenti in ogni età – la Persona: indica la parte della psiche che si relazione con gli altri e con la società in termini di immagine e di ruoli – l’Ombra:
costituisce la componente più incoscia, contraddittoria e conflittuale rispetto alla psiche conscia, ma anche la più ricca di opportunità trasformative – il Sé: consiste nell’ideale luogo di equilibrio psichico a cui dovrebbe tendere il processo di maturazione della psiche. Secondo Jung i ‘simboli’ – intesi come immagini, segni, raffigurazioni, elementi narrativi – sono ‘vivi’, quindi efficaci, quando esprimono una ‘energia archetipica’:
“Il simbolo vivo è la formulazione di un aspetto essenziale dell’inconscio, e quanto più universalmente questo aspetto è diffuso, tanto più universale è anche l’azione del simbolo, giacché fa vibrare una corda affine in ciascuno”
(Jung 1920: 528)
La possibilità di impiegare in modo mirato e consapevole una psicologia dei simboli e degli archetipi nella progettazione creativa di messaggi pubblicitari dipende dalla conoscenza più o meno approfondita delle modalità di rappresentazione e di narrazione che le configurazioni archetipiche possono assumere a livello della psiche individuale e collettiva. In tal senso, oltre allo studio delle fantasie individuali è di grande supporto transdisciplinare l’antropologia culturale, la storia delle religioni, la mitologia, l’etnologia e il folklore, poiché in questi ambiti disciplinare vengono evidenziati i fondamenti archetipici delle culture, e quindi la loro grande ricchezza in termini di variabili fenomenologiche, sul piano narrativo, artistico, filosofico e, più in generale, della molteplicità delle ‘visioni del mondo’. Questo patrimonio di conoscenze psicoculturali può essere di grande supporto alla pubblicità nei suoi aspetti creativi e progettuali e anche per la verifica qualitativa degli ‘effetti immaginativi’ nella dimensione archetipica e antropologica del pubblico.J. Hillman, fondatore della “Psicologia archetipica” (Hillman, 1975)è considerato lo studioso più autorevole di una concenzione archetipica della psiche individuale e collativa. Egli considera il mito greco, e la sua ripresa nei canoni rinascimentali, come la narrazione psicoculturale fondativa che consente ancora oggi di comprendere i tratti archetipici della ‘psiche occidentale’, in tutte le sue espressioni individuali e collettive. In tal senso la ‘psicologia archetipica’ consente di elaborare e di comprendere gli aspetti mitopoietici della pubblicità, e quindi la sua capacità di proporre narrazioni ‘mitologizzanti’. In effetti, si tratta di comprendere alla luce di una specifica disciplina psicologica quanto c’è di realmente psichico quando si dice che. Nike, CocaCola, Microsoft o altri marchi costituiscano (in termini popolari, ma anche in termini ‘colti’ – Barthes, Baudrillard, Dorfles et al.) i ‘nuovi miti’ del nostro tempo.
Narciso, Puer e Senex , Afrodite e Marte
La pubblicità è psicologicamente ‘regressivante’ in quanto si rivolge prevalentemente alla componente ‘archetipica’ Puer del consumatore, poiché è tipico della dimensione infantile il privilegiare il piacere e la soddisfazione di desideri di carattere ludico e fantastico, a discapito dei processi coscienziali (Siri, 2001:147 La psicologia infantile è caratterizzata da un naturale narcisismo, cosicché i bambini sono facilmente seducibili attraverso messaggi che esaltano la loro bellezza e le loro capacità. Del resto Narciso era un fanciullo, che annegò poiché l’ ‘autofascinazione’ causata dal rimirarsi nello specchio d’acqua di uno stagno lo fece distrarre e cadere.
Questa dimensione narcisistica Puer permane nell’inconscio della vita adulta, e anche nel conscio, seppure in forme sottili e variabili a seconda delle personalità e delle situazioni. Secondo Freud (1914), e in modo ancora più specifico secondo Kohut (1971) in ogni individuo esiste una componente narcisistica sana, indispensabile per il raggiungimento di un buon livello di autostima. (nonostante possano sussistere atteggiamenti o quadri di personalità narcisista francamente patologici). Secondo V. Packard i pubblicitari più preparati, sin dagli anni ’50, compresero che :
“Il narcisismo è una malattia molto diffusa, e il cliente (l’uomo) è attratto, più che da ogni altra cosa, da se stesso. Si poteva quindi indurlo a comprare una proiezione di sé”
(Packard, 1957: 52).
Dunque, possiamo considerare il narcisismo come una umana predisposizione all’amor proprio, che può tradursi in una umana debolezza (o in una patologia vera e propria)… che i pubblicitari non si lasciano sfuggire.Oggi viene data particolare enfasi alla ‘eziologia pubblicitaria’ di diverse forme diffuse di narcisismo più o meno patologico, poiché la pubblicità provoca una distorsione dell’ ‘amore per se stessi’ in senso egoistico e megalomane (vedi Lasch, 1979 e Weill, 1986).Dunque, la pubblicità eserciterebbe una certa influenza psicoculturale in termini di puerilizzazione narcisistica. Tuttavia, secondo la psicologia archetipica di J. Hillman l’archetipo del Puer viene a interagire in modo anche compensatorio con quello del Vecchio Saggio (Senex) – (vedi J. Hillman, 1983). Ciò vuol dire che gli aspetti regressivanti del messaggio pubblicitario – gioco, divertimento, dolcezza – per non risultare banalmente puerili e quindi poco credibili, sono spesso compensati da un ‘effetto Senex’, cioè da contenuti psicologici ‘seri’, razionalizzanti e rassicuranti. Quando ciò avviene la pubblicità non si rivolge solo alla componente bambina inconscia e narcisista che c’è in ogni consumatore, ma anche alla componente ‘Vecchio saggio (Senex)’ che giudica, valuta, critica, compara, risparmia. Del resto questo ‘vecchio saggio’ è anche capace di esercitare un senso dello humor più sottile e per certi aspetti più caustico rispetto a quello del ‘bambino’. Dunque, gli aspetti ‘Senex’ del messaggio pubblicitario competono non soltanto alla credibilità e alla validità dei beni o dei servizi pubblicizzati, ma anche all’acume dei messaggi, alle sue idealità, astuzie e malizie. Un buon equilibrio tra ‘Puer’ e ‘Senex’ dovrebbe dunque sussistere nella psicologia narcisistica del messaggio pubblicitario, tale equilibrio può essere assai variabile a seconda delle strategie di comunicazione e del tipo di beni e servizi pubblicizzati.
Afrodite? Non solo sesso nel mito e in pubblicità.
In modo più o meno esplicito la seduzione erotica costituisce la più diffusa strategia psicologica della pubblicità Lambiase e Reichert, 2003). L’effetto erotico e il conseguente ’effetto scandalo’ sono una costante storica dell’evoluzione pubblicitaria, che ha determinato grandi cambiamenti nel ‘comune senso del pudore’. Possiamo però considerare almeno due modalità di erotizzazione pubblicitaria: la prima consiste semplicemente nel provocare una eccitazione erotica per ottenere l’attenzione del pubblico, la seconda è assai più sottile, perché mira ad eccitare fantasie che implicano un pathos ‘psicoculturale’, cioè una rielaborazione collettiva dei modi di pensare al sesso, alle perversioni, all’affettività, alle relazioni, ai tabù.
La ‘libido’ nelle pubblicità più provocatorie ed affermate (vedi: SEX & ADV3 non è mai ‘solo sesso’! Freud definisce la “libido” – come “l’espressione dinamica nella vita psichica della pulsione sessuale” (1922: 448).
Dunque Freud evidenzia la ‘natura fortemente psichica’ della sessualità umana rispetto alla sua ‘natura istintuale-pulsionale’. Tuttavia, mentre per Freud la sessualità è l’energia primaria che condiziona l’intera psiche, per Jung essa rappresenta un aspetto energetico-archetipico della psiche che va letto nel complesso delle diverse componenti ed espressioni archetipiche della psiche. Ad esempio tra sessualità e spiritualità non incorrono solo divieti e tabù, ma profonde correlazioni psichiche, come dimostrano riti e religioni delle culture d’origine.
Il mito esprime come lo psichismo della sessualità comporti una molteplicità di narrazioni che richiamano fenomeni di ordine simbolico che trascendono la specificità della pulsionalità sessuale. Del resto anche in senso platonico Eros è un dio che reca principalmente conoscenza. Così se si analizzano miti legati alla sessualità: Afrodite e i suoi molti amanti, Eros e Psiche, Demetra e Persefone, ecc. si scopre un immenso patrimonio di conoscenze che connettono l’ erotismo ad esperienze psichiche essenziali per la maturazione della coscienza. Anche il “complesso di Edipo”, scoperto da Freud, è una narrazione che spiega come la sessualità sia legata al destino dell’essere umano, ma Jung considera le diverse narrazioni mitologiche implicanti la libido come ‘rappresentazioni archetipiche’ che trascendono una significazione causale e finalistica di carattere strettamente sessuale (Jung, 1912-1952). Dunque, la potenza di Afrodite e di Eros in pubblicità non dovrebbe solo sussistere nella capacità di stimolare un desiderio sessuale, ma di sessualizzare il desiderio, nel senso di vivificarlo, di renderlo ricco di energia. L’impiego di immagini e di metafore sessuali in pubblicità dovrebbe essere capace di psichicizzare la partecipazione del consumatore e quindi di generare fantasie ed emozioni ‘non solo sessuali’. D’altra parte il sesso fa sognare e incanta quando esercita un’attrazione sirenide, gravida di magia, bellezza, passionalità, ma anche di enigmaticità, contraddizione, tremore e mistero. Se la provocazione sessuale in pubblicità non contiene il ‘pathos erotico di psiche’, allora essa è destinata a restare fuori dall’Olimpo dei miti pubblicitari, divorata dall’inflattivo susseguirsi di immagini meramente pulsionali che, eventualmente, possono dare un po’ di eccitazione, ma che non possono ‘miticamente’ sedurre.
Le fasi di evoluzione ‘psicologica’ della pubblicità
Se consideriamo la pubblicità come un ‘soggetto’ da analizzare, possiamo guardare alla sua evoluzione attraverso ‘fasi’ successive. In particolare possiamo sintetizzare tre fasi: a) fase dell’estetizzazione e dell’eleganza – b) fase della motivazione e della persuasione – c) fase dell’euforizzazione e della mitomania.
a) Fase dell’estetizzazione e dell’eleganza’
Il mito del ‘narcisismo pubblicitario’ si afferma sin dagli esordi della pubblicità, possiamo dire dall’Art Nouveau (fine ‘800) all’Art decò (gli anni ’20), quando ‘bellezza e eleganza’ erano la principale forma di strategia psicologica della pubblicità. Gli esordi della pubblicità, data la primarietà di una strategia estetizzante, che mira ad elevare marchi e prodotti conferendo loro ‘eleganza’ (da e-ligere: eleggere, scegliere), corrispondono ad una dimensione ingenua della pubblicità e del pubblico. La fascinazione estetica del flaneur e del passante dinnanzi alla bellezza dei grandi magazzini e dei manifesti pubblicitari era sufficiente a sollecitare proiezioni e desideri narcisistici.
b) ‘Fase della motivazione e della persuasione’
Un’ulteriore ‘fase’ di maturazione della ‘psicologia della pubblicità’ riguarda la consapevolezza che non è sufficiente stimolare le componenti narcisistiche del consumatore sul piano estetico, ma è necessario comprendere e sollecitare ‘motivazioni profonde’ inerenti a diverse situazioni esistenziali e a diversi quadri di personalità. Questa ‘fase’ corrisponde ad un’epoca che a grandi linee parte dal nuovo razionalismo nel campo del design affermatosi tra le due guerre, e si sviluppa fino al boom economico degli anni ’60 e ’70. In questo lungo periodo la pubblicità aggiunge ad una ‘psicologia della bellezza’, precedentemente consolidatasi, una psicologia dell’inconscio mirata a persuadere passionalmente e razionalmente i consumatori.
c) ‘Fase dell’euforizzazione e della mitomania’.
Una successiva fase che giunge fino ai giorni nostri si attesta come sofisticazione ulteriore delle fasi precedenti, ma il suo obiettivo psichico primario è quello di generare mitologie e ipomanie intorno a marchi e prodotti, cioè di esaltare la vita psichica del consumatore attraverso narrazioni ed eventi spettacolari e mitologizzanti. In questa ‘fase’ la pubblicità incontra un consumatore difficilmente manipolabile solo sul piano della ‘bellezza’ e della ‘persuasione’, nel senso che esso è ormai abituato ad una estetizzazione diffusa, ed è maturo rispetto al modo di pensare alla pubblicità, la quale non viene più concepita in termini di vero o falso, e quindi di credibilità.
Se nella fase della persuasione la pubblicità doveva presentare messaggi sufficientemente credibili e aderenti alle qualità dei prodotti pubblicizzati, in modo da orientare nelle decisioni e nelle scelte d’acquisto, nella sua fase più recente il punto psicologico cruciale non è più orientare e persuadere, ma esaltare.
La pubblicità di marchi e prodotti di successo deve offrire ‘fantasie leggendarie’, ‘narrazioni mitologizzanti’, e, in termini psicologici forme di mitomania capaci di euforizzare il tono emotivo e accentuare l’’entusiasmo psichico’ del consumatore. Significativa, nella sua metaforica romanticità, è la seguente affermazione G. Fabris:
Nelle strategie di marca le emozioni stanno assumendo un ruolo del tutto prioritario […] Al di là di astratte categorizzazioni le marca deve comunque essere vissuta in termini di coinvolgimento emotivo. Così come quando si vede, o si pensa, ad una persona amata il cuore batte più forte, spunta il sorriso, gli occhi si possono inumidire e l’orizzonte si tinge di rosa. Questo è il ruolo che la marca oggi deve svolgere” (Fabris, 2004:51).
La fase della mitomania e dell’euforizzazione è dunque una fase in cui la pubblicità esercita una psicologia delle emozioni rivolta a determinare una fascinazione di tipo euforico e mitomaniacale. In tal senso il concetto di ‘merci di culto’ esplorato da F. Carmagnola e M. Ferraresi (1999) esprime come la pubblicità e il branding producano nella ‘psiche collettiva’ proiezioni mitologizzanti e un clima di intensa eccitazione emotiva tipico della fascinazione maniacale (vedi Brunelli, 2004; Cova, 2003). Significativa per una evidenziazione della pubblicità nella ‘fase mitomaniacale e dello spettacolo’ è la seguente dichiarazione dello psicanalista junghiano C. Risé :
[…]viviamo in una società dove il valore centrale è la continua espansione del consumo. Ciò richiede la diffusione e il mantenimento di una posizione ‘euforica’: solo attraverso questo atteggiamento psicologico si può convincere la gente a spendere sempre di più, consumare sempre di più, lavorare sempre di più, in modo da essere in grado di consumare il richiesto. Anche il valore dato da questa società all’’immagine’, è appunto una caratteristica dell’atteggiamento “maniacale”, a base narcisistica, ed è legato alla necessità di continuare a sviluppare i consumi. Se le masse non diventano maniache ed euforiche i consumi ristagnano, le borse non salgono, il sistema si ferma. Il sistema, per sopravvivere, crea l’euforia (Intervista a C. Risé, a cura di S. Zoli, Il Corriere della Sera, 17 marzo 2000).
Conclusioni diagnostico-analitiche
Una volta si usava dire: la pubblicità è l’anima del commercio”, oggi si potrebbe dire che ‘la pubblicità è il commercio di anime’ in quanto essa esalta la psiche (anima) in ogni sua dimensione esistenziale e fantastica.
In tal modo la pubblicità tende a compensare le ‘ferite narcisistiche’ del consumatore, a ‘rinforzare’ le sue ipomanie, e quindi a proporsi come antidoto alla depressione e come fattore soterico contro ansie e paure. Con questo non si vuole intendere che la pubblicità esprima una panacea di rimedi psicoterapeutici, ma che esercita una sorta di funzione consolatoria e compensatoria rispetto alle svariate possibili ‘patologizzazioni’ dei consumatori. In tal senso la pubblicità comporta un ‘rafforzamento del pathos’, e quindi anche delle dimensioni complessuali relativamente patologiche. La pubblicità è consapevole che la ‘parte bambina’ del consumatore non è considerabile entro una dimensione di innocente ingenuità, ma come componente inconscia complessuale dell’adultità. Quindi la pubblicità mira ad esercitare le sue ‘leve psicologiche’ più profonde al di là di un immediato ‘principio del piacere’, per evocare il ‘pathos’ del consumatore nella sua complessità e nelle sue molteplici sfumature, dalla paura all’ebbrezza, dai desideri di trasgressione a quelli di purezza e di santità, dal bisogno di potenza e di affermazione a quello di ‘normalità’ e sicurezza, dai tabù del desiderio erotico alle fantasie ascetiche di pace dei sensi. Dunque la pubblicità suggerisce possibilità e modi di patologizzare (cfr. Hillman, 1975), nel senso di accentuare la ‘psichicità’ della vita, aggiungendo al consumo un fascino che resterebbe altrimenti inesperibile in virtù della sola materialità funzionale ed estetica dei beni di consumo.
Essendo la pubblicità una forma di comunicazione sociale ne deriva che la psicologia ‘profonda’ della pubblicità dovrebbe essere orientata ad una conoscenza dell’”inconscio collettivo” (Anima mundi), cioè di quei fattori ‘archetipici’ che, pur assumendo un senso e un valore soggettivo nella psiche di ciascuno sono potenzialmente presenti in tutti gli individui come predisposizioni innate a pensare e ad agire.
BIBLIOGRAFIA
La bibliografia ed altro si può richiedere a Pier Pietro Brunelli pietro.brunelli@fastwebnet.it oppure in “Psicologia della pubblicità” Carocci, 2008 AA.VV. Immaginario erotico e società dei consumi
Pier Pietro Brunelli ha svolto attività di docenza e ricerca per diverse università italiane e straniere, nonché di consulenza e formazione a favore di importanti aziende multinazionali – pertanto si possono richiedere consulenze e documentazioni per progetti creativi di comunicazione e di marketing, programmi radiotelevisivi, articoli e tesi.