Il malato immaginario
L’ipocondria, è una preoccupazione eccessiva ed immotivata rispetto al proprio stato di salute, basata su una ipervalutazione in negativo di lievi disturbi fisici. Ciò può provocare anche una accentuazione di sintomi fisici di lieve entità, con una conseguente ulteriore intensificazione di uno generale stato ansioso-depressivo dovuto alla paura della malattia ma anche ad altri fattori di carattere nevrotico o anche organico. Quando i sintomi fisici non sono presenti, ma il paziente si sente in una situazione di forte pre-allarme rispetto ad una loro possibile comparsa, allora è più corretto parlare di patofobia, cioè della ingiustificata paura di sviluppare una grave malattia. Talvolta l’ipocondria può essere anche ‘rovesciata’, nel senso che essa sussiste a livello inconscio, ma non emerge, se non come formazione difensiva reattiva che si traduce nella assoluta non curanza della propria salute. In termini psichiatrici l’ipocondria può essere considerata una sindrome caratterizzata anche dall’accusare sintomi fisici sproporzionati rispetto ad una malattia organica eventualmente dimostrabile, dalla paura di ammalarsi o di essere malati, e dalla eccessiva ricerca di cure mediche.
A seconda delle situazioni possiamo diventare tutti un po’ ipocondriaci. Ma a prescindere dai motivi di reale preoccupazione è bene comprendere che questa si amplifica perché l’ipocondria consente di dare sfogo ad un conflitto interno non ben riconosciuto (una nevosi) che viene spostato su sintomi corporei. In buona sostanza una problematica interiore che non si riesce a riconoscere e ad affrontare viene vissuta attraverso una somatizzazione o una condizione di eccessiva preoccupazione ed ansia sui i sintomi somatici (che talvolta possono anche essere banali manifestazioni corporee scambiate per sintomi).
Se le idee ipocondriache dovessero perdurare nel tempo (nonostante le rassicurazioni di carattere medico) o dovessero addirittura proporsi in modo delirante, o in forma di ruminazione ossessiva, è indispensabile considerare il soggetto effettivamente malato, ed è quindi necessario individuare il quadro diagnostico generale da cui emergere il disturbo ipocondriaco e provvedere ad una terapia, che può essere di natura psicoterapeutica, o anche psicofarmacologica.
Dice Jaspers:
“Quantunque l’individuo non sia infermo fisicamente, tuttavia non è un simulatore. Si sente realmente malato, il suo corpo si modifica effettivamente ed egli soffre come infermo. Il malato immaginario è, in modo nuovo, proprio per la sua natura, veramente malato” (Jasper, K. Psicopatologia generale, 1913-1959)
Nevrosi e ipocondria
Secondo Freud l’ipocondria è una forma di “nevrosi attuale” cioè quelle nevrosi che hanno la loro causa non solo nei conflitti psichici della vita infantile (“psiconevrosi”), ma anche in uno stato di insoddisfazione sessuale contingente e che perdura nel tempo. La nevrosi attuale genera a livello inconscio uno stato d’angoscia e un senso di colpa fluttuanti, ovvero una situazione conflittuale che si sviluppa dalla contraddittorietà tra i desideri che provengono dagli strati più profondi dell’inconscio (l’Es), e le idee repressive e moralistiche provenienti dal Super-Io. Al fine di costruire una difesa contro questo conflitto nevrotico, il soggetto cerca un modo per rigettarlo e quindi esprimerlo. In altri termini, la psiche cercano vie per spostare uno stato di sofferenza da un livello inconscio ad un livello più vicino alla coscienza, la quale dovrebbe poter riuscire ad intervenire nel conflitto interno, non essendo completamente occultato nell’inconscio. Poiché tale operazione difensiva molto spesso non riesce (dato che il paziente compie tale processo difensivo senza un orientamento realmente cosciente e consapevole), essa sviluppa una nevrosi che può essere di carattere fobico. La fobia, cioè la paura eccessiva di qualcosa, deriverebbe dallo spostare un disagio e una paura che provengono da oggetti interni (cioè da questioni inconsce) su un oggetto esterno di cui si può essere consci. In un certo senso si desidera di aver paura di questo oggetto piuttosto che di ‘covare’ la paura intorno a qualcosa di cui non si ha coscienza e con cui non si è in grado di confrontarsi. Molto spesso questo oggetto ‘esterno’ da cui paradossalmente si desidera aver paura è il proprio corpo, che viene vissuto come bersaglio costante della malattia. Questo processo viene definito anche come somatizzazione, per cui sentimenti psichicamente dolorosi vengono trasformati in preoccupazioni di carattere salutistico, nel quadro di un generale stato ansioso-depressivo, che si esprime prevalentemente con ideazioni e atteggiamenti nosofobici/patofobici (paura delle malattie).
Un’altra concezione sull’origine della ipocondria può essere riferita alle considerazioni che Bion ha sviluppato circa la relazione madre-bambino. Compito della madre primario, non è solo quello di dare cibo e amore al bambino, ma anche di curarlo nel senso di ‘purificarlo’ da quelle che sono le sensazioni e le produzioni sgradevoli del suo corpo. Pulire il sedere al bambino, ad esempio, lo fa sentire protetto rispetto alla possibilità che il suo stesso corpo possa determinare dolore e fastidio. Se per qualche ragione, non necessariamente dovuta all’incuria della madre, ma ad una qualunque situazione che abbia potuto generare un deficit nella percezione dell’accudimento, tale funzione materna protettiva e purificante non si è ben radicata nella psiche del bambino, una volta adulto tenderà a percepire come potenzialmente più pericolosi i sintomi lievi e a considerare il suo corpo più incapace di reagire.
Vi è poi un’ulteriore considerazione sull’ipocondria da un punto di vista junghiano ed archetipico. Essa sembrerebbe il sintomo di un disequilibrio che non riguarda direttamente la relazione con il materno della propria infanzia, ma con le forze materne originarie, con la Grande Madre. Essa è per sua natura ambivalente in quanto dà la vita, ma anche la morte e solo attraverso una dimensione simbolica tale ambivalenza può essere armonizzata. Per cui l’ipocondria indicherebbe una carenza e una disarmonia della propria relazione simbolica e spirituale con il mondo, e quindi anche un conflitto tra quelli che sono i propri principi e valori, che possono essere anche di elevato senso simbolico e spirituale, ed uno stile di vita che li tradisce, non li incarna sufficientemente nella quotidianità e nel modo di compensare lo stress e la povertà simbolica della vita di tutti i giorni e quella che si desidera nella visione del futuro.
Perciò una buona psicoterapia, capace di sciogliere le nevrosi, ma anche di accogliere i contenuti problematici e dolorosi del paziente al fine di restituirgli possibilità di rielaborazione e di trasformazione, è determinante per una cura efficace dell’ipocondria. Nello stesso tempo è fondamentale ripristinare una relazione simbolica con ‘madre natura’ ed in particolare con la sua energia lunare che riguarda gli aspetti mitici e immaginali della salute psicosomatica. Ciò a prescindere da quelle che sono le proprie eventuali scelte religiose, in quanto qui si parla di porsi nella condizione di elaborare una propria relazione simbolica con forze archetipiche originarie che riguardano il materno originario di ogni cosa vivente, e quindi anche del proprio Sé.
Sintomi e ipocondria
I più comuni sintomi fisici implicati nell’ipocondria sono: muscolo-scheletrici, gastrointestinali (indigestione, costipazione), cefalee. Le parti del corpo più afflitte sono in genere: la testa e il collo, l’addome e il petto, ma anche orecchio, naso e gola, possono essere colpiti da tipici sintomi fisici di esclusiva derivazione psicogena. Talvolta la fobia ipocondriaca può riguardare anche l’ipotesi di essere affetti da malattie mentali, e quindi dal timore di essere pervasi dalla follia. Nelle sue forme più acute e prolungate l’ipocondria deve dunque considerarsi non tanto come un disturbo fisico fine a se stesso, ma come una sindrome sintomatica di uno stato ansioso-depressivo generale, che può manifestarsi anche con sintomatologie parallele a quella ipocondriaca.
Ora non intendiamo dire che se si hanno dei sintomi vanno sottovalutati o siamo solo immaginari, ma che la loro interpretazione e valutazione viene ingigantita dall’ipocondria, la quale può diventare assai più disturbante dei sintomi stessi. Inoltre anche per meglio affrontare la malattia, attraverso un maggior equilibrio emotivo, di certo l’ipocondria non è una buona cosa, in quanto fa aumentare stress e posizioni depressive, rendendo la situazione più penosa e l’organismo relativamente più debole.
Al fine la guarigione dal’ipocondria non dipende dal curare con accanimento i sintomi e quanto meno di non curarli con quell’ansia eccessiva dalla quale si può essere travolti, ma di riarmonizzare il proprio mondo interiore e la propria relazione con la natura, in senso simbolico e vitale; ciò del resto contribuisce anche a migliorare la propria condizione psicofisica e quindi ad affrontare i problemi di salute con maggior equilibrio.
Ipocondriaci: attenzione ai medici… e viceversa.
Va considerato che il concentrarsi del paziente su sintomi somatici, i quali occultano quelli emotivi e cognitivi, crea una sorta di ‘collusione’ con il sistema sanitario, che per la sua impostazione teorico pratica tende alla somatizzazione. In tal senso si deve evidenziare che c’è il forte rischio che il medico ‘creda’ alla narrazione del paziente – solo, o prevalentemente – in termini di disturbo fisico, ed in tal senso si faccia promotore di analisi e di terapie esclusivamente centrate su fattori di carattere organico. In tal caso la relazione con il medico può diventare ‘iatrogena’, cioè può fortificare la sindrome ipocondriaca del paziente. D’altro canto va anche detto che ipocondria ed effettiva malattia fisica possono coesistere, per cui, al fine di escludere ogni dubbio circa lo stato di salute fisica del paziente, si dovrebbe orientare la diagnosi in una duplice prospettiva, sia psichica e sia organica.
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xnotifiche degli articoli, grazie
Molto interessante questo articolo sull’ipocondria – generalizzando un pò il termine da parte mia, data la complessità dell’argomento -a partire dalla diversa impostazione con cui questa patologia fu “osservata” e curata da eminenti studiosi della psiche e dell’esperienza umana, quali karl Jaspers per la prospettiva fenomenologica e Sigmund Freud per la prospettiva psicoanalitica di cui fu fondatore. E’ interessante conoscere l’esistenza, attraverso anche un altro articolo del blog, di una ipocondria “al contrario” intendendola cioè, anzichè come l’esistenza di un eccesso di attenzione ai sintomi ed alle possibili cure, come evitamento delle stesse con la convinzione che il problema posto dal corpo attraverso la domanda del sintomo possa “magicamente” sparire non pensandoci o non rivolgendovi attenzione. Spesso è anche purtroppo vero che i medici, per formazioni e per “ragioni burocratiche””non sanno ascoltare” il paziente che ha paura di un sintomo fisico a causa di ciò che esso rappresenta per lui – per via della sua proiezione di qualcosa dal proprio interno all’esterno, che glielo rende apparentemente affrontabile -e non di per sè stesso, anche quando talvolta il sintomo è addirittura solo “immaginato” ma esperito come reale (tipo il “Malato Immaginario” appunto) e che ciò li porta a colludere cioè a dare al paziente ad es. farmaci inutili per il sintomo che descrive, richiedendo esami quando non addirittura interventi invasivi che possono peggiorare la salute ed allo stesso tempo, esacerbare la paura del sintomo anche a causa di possibili altri “nuovi, reali” che ne emergono come effetto iatrogeno di cure mediche inutili. E che lasciano intatto il problema di fondo della persona amplificando magari il suo stato ansioso depressivo qui descritto. Anche se pure il medico può fare lo stesso errore “al contrario” del paziente, non prestando ascolto a sintomi che sono fisicamente veri e che meriterebbero attenzione e valutando frettolosamente il paziente come un nevrotico ipocondriaco, privandolo della necessaria assistenza, fisica e psicologica.
D’altra parte, sarebbe giusto secondo me, essere aperti a varie possibilità integrando gli interventi medici e psicologici, come spiega l’articolo, nella sua parte finale.
Volevo segnalare dei bei lavori sulle problematiche dei “teatri del corpo” – che è anche il titolo anche di un suo libro -che sono stati condotti dalla psicoanalista neozelandese Joyce Mc Dougall, che è stata lei stessa affetta da vari disturbi psicosomatici. L’autrice avendo lavorato molto su queste tematiche, ha formulato l’ipotesi che vi siano dei pazienti affetti da forme di “psicosi” corporee (essa parte anche dall’idea di desaffection du corpus di Lacan) cioè persone che pur non essendo strutturalmente psicotiche ma nevrotiche vivrebbero però un’esperienza di tipo psicotica “nel”ed “attrverso ” il corpo affetto da molti disturbi, con sintomatologie realmente presenti, come nel caso di certe evidenti allergie cutanee ( superficie di contatto e di “tatto” con e per il mondo esterno e confine tra interno ed esterno del corpo stesso ), delle esperienze cioè di “non integrazione”, come nelle psicosi pur differenziadosi per tutto il resto questi pazienti da esse – costoro, per il resto, sono mentalmente integrati invece rispetto agli psicotici.
Ella ritiene che ciò possa derivare da una mancata ed insufficiente esperienza di una fase che D. Winnicott definisce dell’oggetto transizionale e che in questi casi, a causa di questa grave carenza, oltre che nelle cure primarie, il corpo in mancanza di un oggetto utilizzabile (l’oggetto transizionale del cui uso sono stati per interferenze esterne alterati i ritmi) allo scopo di rendere possibile l’immaginazione crativa ed il “prendere forma” tramite la stessa, di un confine tra interno ed esterno nel bambino, il corpo, dicevo,venga assunto come “oggetto transitivo” -al posto dell’oggetto transizionale -non potendo più, però successivamente essere utilizzato come tale – corpo nella sua normale evoluzione – in modo naturale ma piuttosto come un “oggetto” di proiezioni interne non diversamente contenibili ed elaborabili che lo saturano privando il soggetto della possibilità di viverlo come tale e con una normale affezione (o, anche amore) per lo stesso. Infatti, nello sviluppo è – secondo questa ipotesi di lavoro- venuta a mancare l’esperienza del “sogno” che rende reali e riconoscibili, in quel periodo, i confini interno/esterno e le cose che all’uno ed all’altro appartengono per il bambino/futuro adulto ; quindi le proiezioni di cui esso è investito, con relativa energia ad esse legate, non adegatamente rappresentabili a livello mentale, fanno poi ammalare e soffrire – anche moltissimo – il corpo, finchè almeno, con un’adeguata terapia, l’individuo non inizia a poterne comprendere il senso ed a migliorare, secondo l’Autrice fino alla scomparsa anche, di sintomi importanti, come certe gravi allergie respiratorie e cutanee o patologie gastrointestinali o genitourinarie o cardiocircolatorie non diversamente derivabili da motivi internistici.
Spero di essere ruscita a spiegarmi data la difficoltà e delicatezza dell’argomento, in modo comprensibile e ringrazio questo blog per la ricchezza degli spunti di riflessione e secondo me, di introspezione, che offre a tutti noi.
Un caro saluto a tutti